Una marea di ricordi

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Una marea di ricordi

Continuavo a guardarmi intorno, cercando qualcosa che non sapevo nemmeno io. Ogni oggetto in casa mia era un ricordo.

Da quando ero stata trasformata in vampira la mia memoria umana era leggermente annebbiata, quindi era normale non ricordarsi esattamente tutto quanto. Bastava la mia camera a farmi tornare in mente un sacco di cose: nell’armadio c’era la scatola di riserva con le boccette d’acqua santa, insieme alle rose – ormai appassite – che mi avevano mandato Derek ed Henry.

Il letto era legato principalmente a Gabriel: la sera che lo portai a casa mia, svelandogli la verità sui vampiri. Oppure quando gli avevo detto di Megan e lui aveva confessato di esser stato adottato. Quando eravamo seduti sul bordo del materasso...

Sarebbe da egoisti volere sia la mano che il braccio? Io vorrei che Megan fosse ancora qui, che mia madre fosse umana e che noi due ci fossimo conosciuti. È troppo?

“No, non sarebbe affatto da egoisti. Sarebbe magnifico.”

Guardando le foto mi ricordai ogni volta che Gabriel si soffermava ad osservarle. In particolar modo quella di mia madre, sulla scrivania. E tornai ancora al letto, quando mi coccolava prima di addormentarmi, oppure il suo modo di distrarmi.

“Gabriel, fermati o non mi fermerò più io.”

“E chi dice che voglio fermarti? Hai paura?”

“Ho paura di non sapermi controllare.”

Scossi la testa. La mia paura era stupida in confronto a quello che poteva succedere ora, sotto forma di vampira. Paura di non sapermi controllare veramente di fronte a lui, paura di fargli del male, o addirittura di ucciderlo.

Sfiorai la superficie delle lenzuola, stiracchiando le labbra. Quando Derek voleva che gli sparassi...

“Ho detto di spararmi.”

“Non posso, Derek. Non posso ucciderti.”

“Ho rischiato di dissanguarti, tu devi uccidermi. Ora!”

Uscii dalla stanza, facendo un grosso sospiro. Mi sembrava di rivivere quelle sensazioni in prima persona, come se le stessi vedendo realmente davanti ai miei occhi.

Entrai nell’armeria, per poi continuare nel sotterraneo. Davanti alle armi mi ricordai del discorso fatto a Gabriel, quando gli avevo spiegato il significato delle lettere in maiuscolo, che distinguevano le armi mie da quelle di mia madre.

“Cosa significano le lettere sotto le armi?”

“Era per distinguere le mie armi da quelle di mia madre.”

“Come si chiamava?”

“Hilda.”

“Hilda... bel nome.”

O nell’armeria con Gabriel, non molto tempo prima. Quando lo avevo trascinato lì per dirgli che non sarei più potuta rimanere con lui.

“Kim, non posso lasciarti. Io non posso vivere lontano da te, non posso.”

Andai oltre, scendendo le scale. Potevo ancora sentire il cambio di temperatura, ma era sempre più insignificante. Se non avevo freddo quando ero ancora umana era impossibile sentirlo ora. I miei allenamenti da sola, le prove di mira con la Socom e la mia fedele compagna Excalibur. E quando Gabriel aveva iniziato gli allenamenti, stupendomi per le sue capacità combattive.

“Beh, io avevo detto che avrei fatto di tutto pur di proteggerti. Devo essere ben allenato per battere uno più forte di te. O perlomeno, al tuo livello.”

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