Appena aprii delicatamente gli occhi, fui accecata dal bagliore del primo sole.
I raggi filtravano dal piccolo finestrino dell'aereo dipingendomi il volto ed evidenziando le sfumature verdi smeraldo dei miei occhi assonnati.
Colpiti da quella luce, i capelli biondo platino che delicati ricadevano sulle mie spalle parevano quasi trasparenti e tra le labbra rosee spiccavano i denti bianchi come la neve (che negli ultimi due anni mi erano costati tanti trattamenti). Quando finalmente sentii la voce di una hostess raccomandarsi di allacciare bene le cinture, tirai un sospiro di sollievo pensando all'imminente decollo.
Un'ora e mezza dopo ci trovavamo di fronte al lussuoso appartamento di mio padre; era da ormai 5 anni che non venivo a Boston, da quando quella pazza di mia madre, dopo aver tradito papà, ha deciso di abbandonarlo per trasferirsi con Edward in Georgia e costringendomi ad andare con lei.
Non ho mai potuto far nulla per impedirglielo, ero ancora minorenne e, a costo di tenermi con sé, ha fatto in modo che per tutto questo tempo mio padre fosse completamente tagliato fuori dalla mia vita.
Ma ora che avevo finalmente raggiunto la maggiore età, non avrei trascorso neanche un secondo di più in quella casa del terrore: il mio corpo fu attraversato da un brivido di disgusto non appena riaffiorarono alla mia mente i ricordi di ciò che quei vermi mi avevano fatto. Ricacciai subito indietro quel pensiero e tornai a contemplare lo straordinario appartamento che finalmente avrei ricominciato a chiamare casa.
Appena aprii la porta di ingresso subito mi corse incontro Sparks, il mio adorato cagnolino, che a causa delle lunghe unghie col tempo aveva lasciato sul parquet bianco piccoli graffietti. Era rimasto tutto proprio come ricordavo; appena entrati ci si trovava subito nel salone, al centro del quale vi era un divano nero in pelle con tanto di sedili allungabili, affiancato da due poltrone dello stesso materiale posizionate proprio davanti al gigantesco televisore a cinquanta pollici che mio padre mi aveva regalato insieme ad una vagonata di libri il giorno del mio tredicesimo compleanno (l'ultimo trascorso insieme). La cucina era collegata all'immenso soggiorno tramite una graziosa porta vetrata, mentre voltandosi sulla destra si potevano scorgere la sala adibita alla palestra, lo studio di papà e due bagni per gli ospiti.
Al piano superiore vi erano invece le camere da letto, ciascuna fornita di un piccolo bagno privato.
Abbandonai così Sparks in salotto e mi diressi velocemente verso la mia stanza, buttando la valigia in un angolo della camera e lasciandomi andare sul letto, sfinita. La mattina seguente sentii una mano leggera che con delicatezza mi scuoteva la spalla, cercando di svegliarmi dal profondo sonno in cui ero sprofondata la sera precedente alle 20:00 (non avevo fatto neanche in tempo a cenare); quelle cinque ore di volo mi avevano sfinita.
Quando vidi il volto giovane e rilassato di mio padre a pochi centimetri dal mio viso, sul viso mi spuntò il sorriso più sincero degli ultimi anni della mia vita. Il cuore mi batteva forte, per tanto tempo non avevo avuto la possibilità di risentire quel calore. Mia madre è come una lastra di ghiaccio; fredda, rigida, insensibile. Insieme ci affrettammo in cucina a fare colazione; dopo qualche minuto di silenzio imbarazzante, prendemmo a parlare di tutto quello che non ci eravamo potuti raccontare, mi sembrava quasi un sogno averlo lì davanti a me, dopo che una lacrima mista di gioia e malinconia cadde lungo il mio viso, corsi ad abbracciarlo e lo strinsi con tutte le forze che possedevo.
Rimanemmo così per minuti che sembrarono infiniti: quel semplice gesto racchiudeva tutte le emozioni che provavo e i cinque anni che ci avevano divisi parvero scomparire all'improvviso, ed ero sicura che da quel momento in avanti nulla mi avrebbe più separato da lui.
Dopo qualche altro minuto levai la testa dalla sua spalla, lui mi prese il mento fra l'indice e il pollice e disse -ora però credo sia il caso di iniziarti a preparare per la scuola, l'entrata è fra 45 minuti- -cavolo papà, quando avevi intenzione di dirmelo che oggi sarei dovuta andare a scuola!?- mio papà scoppiò in una fragorosa risata mentre io mi affrettai a salire le scale.
Ero sempre stata una maniaca dell'ordine e non sopportavo non avere le cose sotto controllo, mi sentivo più vulnerabile.
Entrai in bagno, mi feci una doccia veloce e corsi in camera a prepararmi: dovevo essere perfetta. Optai quindi per un paio di pantaloni neri piuttosto attillati che slanciavano parecchio la mia figura, infilai la maglietta rossa con un leggero scollo e completai il tutto con un paio di tacchi neri e una giacca di jeans chiaro. Applicai un sottile strato di fondotinta, il mascara, una netta riga di eye-liner nero e un rossetto rosso ciliegia; bisogna sempre cercare di emergere, di apparire al meglio agli occhi degli altri, è il modo migliore per mascherare le proprie debolezze.
Mio padre mi lasciò proprio davanti all'entrata, facendomi coraggio uscii dalla macchina assumendo un'espressione sicura e decisa, impenetrabile: stavolta nessuno mi avrebbe abbattuta.
Appena varcai l'ingresso,sentii gli occhi di tutti gli studenti puntati addosso, come fossi un nuovo giocattolino.
Passai a testa alta di fianco ad un gruppetto di ragazzi che schiusero leggermente le labbra e iniziarono a fischiare all'unisono.
Così mi fermai di botto, mi rigirai nella loro direzione e sbottai -non avete mai visto una ragazza? O semplicemente siete così senza palle da non riuscire a rivolgerle la parola e pensate che fischiare sia un buon modo per attirare la sua attenzione? Beh vi do uno scoop, sembrate solo un branco di ritardati, quindi andate a fischiare ai vostri cani e non rompete il cazzo a me.-
mi rigirai e continuai a camminare decisa finché non andai a sbattere contro qualcuno.
Mi voltai leggermente per capire chi fosse, quando notai una folta chioma bionda e due enormi occhi azzurri fissarmi preoccupati.
Alzai gli occhi al cielo e mi rialzai velocemente, ignorando il fatto che la ragazza in questione mi avesse porto la mano per aiutarmi. -s-scusa- bisbigliò lei con un filo di voce.
-non ti preoccupare, ma la prossima volta fai più attenzione.
Qual è il tuo nome?- - beh, mi chiamo Eliza, ma tutti qui mi chiamano Lily. Tu invece come ti chiami?- -piacere, il mio nome è May Paris-
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Il mare nei suoi occhi
RomanceMay Paris si è da poco ritrasferita a Boston con suo padre. All'apparenza sembra essere una ragazza decisa e sicura di sé, ma cosa nasconde dietro questa maschera? E Trevor William, il solito puttaniere dal carattere complicato, è davvero così insen...