Seduti al tavolo gli altri parlano di qualsiasi cosa. Il nuovo acquisto della Juve si mischia ai progetti di una vita. Nascono e muoiono idee che cambieranno il mondo. Io sono lì e ascolto. Voglio vedere fin dove arrivano. Dall'altra parte del tavolo c'è Emma. È bellissima. Anche lei sta in silenzio. I suoi occhi verdi hanno qualcosa in più. Guarda le persone come se non si aspettasse niente da loro. Come se ne fosse già delusa.
Mi squilla il telefono. È mio padre. Dice che è pronta la cena. Mi incammino verso la fermata del bus. In queste serate d'estate prendere il bus è quasi bello. I finestrini abbassati. L'aria fresca in faccia. Sembra di essere in una canzone di Cremonini. Scendo a Rebbio. Mi passa tutto davanti così in fretta. Sono le sette e mezza ma fa ancora caldissimo. Entro nell'ascensore e mi guardo nello specchio. Mi fisso dritto negli occhi ma non vedo niente. Sento solo fischiare le orecchie. È l'ascensore che si ferma. Fa così da quando sono piccolo.
Arrivo a casa. Dall'ingresso sento l'odore del ragù. A cena stranamente non sento il telegiornale. La voce della conduttrice è sovrastata da quella di mio padre. Sta dicendo a me e a mia sorella che con mamma è finita e che presto se ne andrà di casa. Lo guardo ma non riesco ad ascoltarlo. Quando parla gli si forma una strana bava bianca ai bordi della bocca. Giulia piange. La mamma piange. Finisce la cena e me ne torno in camera. Fisso il soffitto per un po'. Provo a dare importanza alla cosa ma non ci riesco. Provo a piangere ma non ci riesco.
Mi sveglio. Sono sudato. Questo caldo mi uccide. Guardo il telefono. Il Quaglia sta organizzando un bagno al lago. È una vita che non ci vado. E poi devo pensare un po'. Probabilmente sto solo cercando una scusa per andarci. Per fare qualcosa di diverso. Questa provincia mi uccide. Preparo lo zaino al volo. Mentre esco noto delle valigie sulla porta. Il "presto" di mio padre è oggi a quanto pare.
Quando scendo ci sono già il Quaglia e Cuoz ad aspettarmi. Mi piace stare dietro in macchina. È come se non fossi lì veramente. Arriviamo. La chiesetta di Ossuccio è nostra oggi. Stendo l'asciugamano e mi tuffo. L'acqua è gelida. Si sentono solo i battelli che passano di rado. Fumo sdraiato mentre guardo il cielo. Respiro questi momenti. So che non si ripeteranno. Arrivano altri. Hanno portato da bere. Guardo in alto verso la strada. E lì la vedo. Emma. Si toglie il casco della moto. Lascia cadere quei capelli scuri come il fondale del lago lungo le spalle. Poco dopo siamo tutti in cerchio, seduti. E di nuovo si parla di tutto. E io non parlo affatto. Neanche Emma parla molto. Per un secondo incrociamo gli sguardi. Lei rimane impassibile. Io poco dopo sorrido e abbasso gli occhi.
Non riesco a smettere di pensarci. Abbiamo condiviso di più che un semplice sguardo. Lei mi ha detto qualcosa. Non ho voglia di uscire di nuovo. So che però ci sarà anche lei stasera al Libe. Devo rispondere a quel qualcosa. Per un soffio io e gli altri prendiamo l'ultimo bus per Bellagio. Non sono a mio agio in questi vestiti eleganti. Il colletto della camicia mi soffoca. Mi perdo nel riflesso delle luci sull'acqua del lago. Arriviamo. C'è meno gente del solito. Riesco ad entrare quasi subito.
Musica spagnola e gente che balla sudata. Io come al solito sono in disparte. Osservo. Arrivano il Quaglia e Cuoz. Mi trascinano di forza in pista. Io finisco in fretta il drink ed entro. Fa un caldo tremendo. Seguo con la testa il ritmo. Non ho bevuto abbastanza per lasciarmi andare. Ad un certo punto la vedo. Emma. Balla come se fosse sotto la doccia. Come se non ci fosse nessun altro. Questo menefreghismo le sta benissimo. Devo trovare il momento giusto per andare a parlarle. Lei si gira e mi vede. Ci guardiamo. Non è sorpresa di vedermi o almeno non lo fa vedere. Cammina verso di me. La musica assordante e la puzza di sudore se ne vanno. I suoni diventano ovattati. Lei si avvicina e senza dire una parola mi bacia. Solleva le punte e mi abbraccia. Io non ci sto capendo niente. Ho il cuore che batte. Senza sosta. Una mano. Sulla spalla. Mi strattona. È Cuoz, ubriaco. Urla, è disperato. Non capisco se quello che ha in faccia è sudore o sono lacrime. Mi dice che il Quaglia ha fatto a botte. L'hanno sbattuto fuori. Dobbiamo uscire anche noi. Mi giro per salutare Emma. Lei è già sparita nella folla. Fuori c'è il Quaglia con il naso sfondato. Dobbiamo aspettare il primo bus della mattina. Non riesco a smettere di pensare a lei.
Siamo fuori insieme. Il tempo mi sembra così dilatato, ogni azione dura secoli con lei. Siamo seduti su una panchina e guardiamo entrambi nel vuoto, senza dire nulla. Un po' sono spaventato da lei, dalla sua sicurezza. "Simone, tra noi non può funzionare." Mentre lo dice non riesco a guardarla in faccia. "Ti ho baciato perché volevo provare qualcosa di nuovo. Perché questo mondo è sempre uguale e volevo fare qualcosa per cambiarlo". Ho un sacco di cose da dire. Ma dalla mia bocca non esce nulla. Continuo a guardare il vuoto. Le sue parole rimbombano nella mia testa. Sento solo il suo deodorante. Io non ho mai fatto nulla per cambiare questa schifo di vita. Ho sempre corso in cerchio, come un pilota di Nascar.
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NASCAR
Short StoryUn ragazzo di provincia fa di tutto per salvarsi dalla monotonia della periferia