Cosa ne è stato di quel sognatore?

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Sera della domenica di Pasqua


Danze, canti, giocolieri e saltimbanchi.

La piazza antistante il Duomo era gremita di persone festanti. Tutta Firenze pareva essersi raccolta lì in quello che era il giorno più sacro dell'anno. Di certo per la città era uno dei più festosi.

I più estrosi avevano indossato costumi e maschere stravaganti. Ovunque le fiaccole rilasciavano una calda luce scarlatta, i cui riflessi andavano ad intrecciarsi – a modellare quasi – i corpi e volti di chi era presente quella notte.

Uno sputafuoco diede mostra delle proprie abilità sui gradini del Duomo e per un istante le tenebre scomparvero dal volto di Cosimo, a pochi metri di distanza.

Sorrise e, come il resto degli spettatori, applaudì.

Era questione di minuti perché la consueta cerimonia dello scoppio del carro avesse inizio e, come ogni anno, l'esplosione del brindellone era accolta con feste e bagordi che, iniziati già dal pomeriggio, duravano fino all'alba.

Osservò un gruppo di giovani ballare in cerchio a poca distanza. Bottiglie vuote abbandonate a terra, vesti bianche lunghe fino ai piedi tenute insieme da spille e corde e corone di fiori a cingere i capi. Gli udì ridere di gusto e poi cantare a squarciagola la canzone popolare in quel momento suonata dal menestrello più vicino. Non poté fare a meno di pensare che solo qualche anno prima si sarebbe unito a quei giovani senza esitare un istante: come era cambiato tutto così in fretta. Di quel ragazzo che viveva di sogni – di un foglio scarabocchiato alla volta –, con le mani perennemente nere di carboncino o rosse di sanguigna e la camicia puntinata di macchie di pittura dalla più svariate sfumature, ora non rimaneva più nulla. Osservò in alto, dritto davanti a sé: il tamburo ottagonale del Duomo era illuminato sulla sommità da fiaccole che da quella distanza sembravano formare un cerchio. Con la sua forma tozza ed incompleta rappresentava uno sberleffo nei confronti di tutti i fiorentini, così presuntuosi da credere di riuscire a superare gli antichi e costruire la più grande cupola che la storia avesse mai visto.

Che cosa aveva detto una volta a suo padre? Che ci avrebbe pensato lui a costruirla.

Gli venne quasi da ridere. Ma essa era la risata amara di una persona a cui avevano tarpato le ali ancora prima di spiccare il volo. Essa sapeva di sogni infranti e desideri repressi.

Gli pareva fossero passati decenni tra l'uomo dal volto severo in piedi di fianco agli altri membri della famiglia Medici e quel sognatore.

Che cosa gli era accaduto? Era iniziato tutto con il suo soggiorno a Roma: l'elezione del nuovo papa, la bottega di Donatello... lei...

Lorenzo, al suo fianco gli diede una gomitata nelle costole cercando di apparire discreto, ma guadagnandosi le occhiatacce del fratello e del padre. Prima che Cosimo potesse chiedergli cosa gli fosse preso, gli indicò un punto non precisato tra la folla: il corteo che scortava la torre pirotecnica – il brindellone – era giunto all'imbocco della piazza.

La musica cessò e la gente si mise verso il margine, permettendo così alla coppia di buoi bianchi che trascinavano il carro su cui era adagiata la torre di arrivare fino al punto prestabilito: tra il Battistero e le porte serrate del Duomo, a esattamente 150 metri in linea d'aria dall'altare maggiore di quest'ultimo. Era questa la distanza che la colombina – nient'altro che un razzo che con un volatile aveva ben poco a che fare – percorreva ogni anno. La corda che avrebbe funto da guida fu tesa e agli spettatori non restò altro che attendere l'arrivo del resto del corteo.

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