24. Eden

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La ferita si cicatrizzò. La crosticina sottile si disperse durante il cammino e la sera, davanti al fuoco, Eva mostrò come la pelle sotto fosse di nuovo intatta. Era rimasta solo una striscia rosata, un marchio indelebile di quell'incontro.

I ragazzi osservarono il miracolo, ammutoliti.

Un conto era sentirne parlare, un conto era vederlo di persona: il processo di guarigione.

«Perché gli Antichi hanno smesso di guarire?» chiese all'improvviso Shani, rivolta verso Hans.

Il ragazzo raddrizzò gli occhiali e arrossì. «È una domanda a cui nessuno ha una risposta sicura. Si possono solo fare delle supposizioni...»

«Quali?» insistette a sua volta Tomas.

«Inquinamento, stress, contaminazioni, antibiotico-resistenza, pandemie, intossicazioni... Non c'è una risposta univoca. Il titanio sembrava la soluzione, non ci si è soffermati sull'eziologia.»

«Tua madre non era Umana?» chiese Tomas a Eva.

«No, nemmeno le mie sorelle. Per quanto ne sappiamo, nemmeno mio padre. Ma io non l'ho mai conosciuto» rispose evasiva la ragazzina.

«È morto?» le domandò Shani, senza vergogna.

«No, è ignoto.» Sorrise Eva. Ma i suoi occhi erano tristi. Non per il genitore sconosciuto, ma per aver evocato le sorelle. Più passava il tempo, più diveniva lacerante quella separazione. Le sentiva appartenenti a un mondo lontano, una dimensione irraggiungibile. Perse per sempre. Si ripeteva che erano vive, che stavano bene, sull'Arca. Ma questo non bastava a consolarla. Non le avrebbe mai più riviste...

«Abbiamo un problema con le provviste. Sono quasi finite. Dobbiamo trovare urgentemente una soluzione» dichiarò Hans, rivolto soprattutto a Ulrik. Il capitano fece un cenno di assenso con la testa. Era seduto con le gambe divaricate, i gomiti appoggiati alle ginocchia e lo sguardo fisso sul fuoco acceso davanti a lui.

«Io vi consiglio le mele!» esclamò Tomas, tirando fuori dallo zaino un frutto verde chiaro, non più grande del palmo della sua mano.

«Sono ancora acerbe, inoltre non sappiamo se...» cercò di spiegare, per l'ennesima volta, il professore, ma fu interrotto.

«Sono la cosa più buona che io abbia mai mangiato! Perché non vi fidate? Non hanno niente a che vedere con la frutta sull'Arca, assolutamente niente! Al primo impatto sono troppo aspre, fibrose, hanno un odore troppo intenso. Ma poi ti ci abitui e, alla fine, ti rimane un sapore dolce in bocca. Inoltre hanno tutte una bontà diversa! Cioè, mangiarne una non è come mangiarne un'altra! Mi spiego: quelle rosse sono un po' più dolci, quelle piccole hanno un gusto più forte, le verdi sono più acidule. Ma due mele di uno stesso albero non sono assolutamente uguali. Né per consistenza, né per sapore. Ce ne sono di più succose, di più croccanti, alcune sono più acide di altre, altre sono più polpose, altre ancora sembrano farinose. Sull'Arca ci siamo abituati a quelle mele grosse, turgide, acquose, uguali e identiche come biscotti preconfezionati. Qua non è così! È vero, queste sono piccole, bruttine, bucherellate. Le nostre erano molto più belle, più grandi e di un affascinante rosso intenso. Ma questa è la versione originale e non ha eguali!»

«Ti paga qualcuno per questa pubblicità?» sbuffò Shani.

«Avete altre opzioni? Come ci sfameremo nei prossimi giorni? Leccherete la carta delle vostre barrette?» rispose contrariato Tomas, poi azzannò il suo piccolo pomo.

«Un'opzione c'è...» replicò Hans. Con lo sguardo cercò Ulrik, che però sembrava ancora perso nei meandri della sua mente. «Dovremmo andare a cacciare.»

UMANA ∽ Ritorno sulla TerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora