•capitolo terzo•

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~Adam

Continuava ad abbracciarmi e ad inondarmi del suo profumo alla lavanda. Le sue braccia mi cingevano appena la vita, e la sua testa era appoggiata sul mio petto. Avevo le mani chiuse a pugno, e le braccia lungo i fianchi. Rimasi impassibile. Volevo ricambiare l'abbraccio, ma il mio cervello non era connesso tanto da permettermi di reagire. La collana fatta di swaroski mi dava i brividi..anche se in realtà era un bracciale. Helais si allontanò da me, con il volto visibilmente preoccupato, guardandomi dritto negli occhi, mi chiese -Cos'è che non va Adam?- non risposi alla sua domanda, chiusi soltanto gli occhi lasciandomi sfuggire un lungo sospiro. Quel sospiro diceva molte cose, che però lei non sapeva fino in fondo. Avevo sempre avuto paura che se le avessi raccontato la verità lei mi avrebbe creduto diverso, un'altra persona. Però, di certo, ora non potevo più nasconderlo a tutti. Lei doveva sapere, d'altronde era la mia migliore amica. Le sue dita lunghe e affusolate, mi toccarono il polso, con la mano, poi, me lo strinse, portandomi dentro casa. Chiuse la porta e mi guardò con un occhiata d'intesa, con le sopracciglia alzate, come per dirmi "allora?!". Io non sapevo come spiegare, anche perché non riuscivo. Avevo chiamato Carlile da poco, volevo fosse lui a spiegarle tutto. Carlile...mio padre, se così potevo definirlo. Alto, biondo, pelle molto chiara, occhi verdi; era un uomo affascinante, che però, non mi assomigliava affatto, per il semplice fatto che lui mi aveva adottato, salvandomi da una futuro pieno di rabbia, dolore e, sicuramente poco dignitoso. Era un medico, precisamente un chirurgo, ed anche io volevo seguire i suoi passi, soprattutto perchè "quella" non mi aveva voluto con se. Finalmente mi decisi a risponderle qualcosa, dopo un lungo silenzio nello spazio circostante -Quella...- farfugliai -è solo colpa sua tutta questa storia!- Sbraitai. -Mi ha solo rovinato l'esistenza, e...e..- Balbettai. - Quella, quella, quella, è solo colpa sua!-. Le parole mi uscirono violente, ma tutto finì in un piccolo singhiozzo strozzato. Mi portai le mani sul volto, come per nascondermi da qualcosa, o da qualcuno. Helais aveva lo sguardo cupo. Mi sfiorò il volto con il dorso della mano chiedendomi -"quella" chi Adam?...non capisco..- -Lo so...non te l'ho mai raccontato, come potresti mai capire di chi parlo- risposi. Mi girai andando verso il divano al centro della stanza, mi accomodai sui cuscini color panna, che riprendevano i giochi di colore del divano sotto di me, poggiai i gomiti sulle ginocchia abbassando il capo verso il parquet color mogano, assumendo così una aria pensosa e sconsolata. Lei prese posto, davanti a me, sulla poltrona nera. -Adam...- mi riprese lei. In quel momento sentimmo uno smanettare di chiavi nella toppa della porta di casa era Carlile. Helais si alzò andandogli incontro -Helais! Cara, come stai?- fiatò mio padre dalla bocca, allargando le braccia come per stringerla in un abbraccio. -Carlile, tutto apposto grazie tu?- le rispose lei dolcemente, rispondendo all'abbraccio -Oh tutto bene, tutto bene-. Carlile mi guardò con aria interrogativa -Adam...chi tel'ha detto?- -Ne parla tutto il condominio, e in più, come se non bastasse, l'ha postato su Twitter..- ringhiai -Scusate...ehm...ma di cosa state parlando..?- si intromise imbarazzata Helais -Non le hai parlato?- Mi chiese Carlile -...No..- risposi un pò confuso -Vorrei fossi tu a spiegarle la storia....ne sai di più di me....io cerco di dimenticarla, e poi...non ce la faccio..-  -Va bene Adam...fammi un favore, portaci qualcosa di fresco da bere-  rispose lui. Mi alzai andando lentamente in cucina....che cosa potevo offrirle? Per prima cosa dovevo calmarmi.

~Carlile

Non lo potevo vedere così distrutto. -Helais...è una stroria molto lunga, e credo che Adam non te l'abbia mai raccontata-. -No infatti non ne so nulla..- si giustificò lei. -Ehm..ok...allora...all'incirca diciannove anni fa, ero stato assunto come tirocinante in una clinica privata prima di diventare chirurgo a tutti gli effetti. Avevo iniziato a studiare anche psicologia, e molti pazienti venivano da me a chiedere consigli. Un giorno sentii per le scale un rumore di tacchi. Entrò nel mio studio una ragazza sulla ventina, mentre io all'epoca ne avevo trentadue. Era mora, alta, occhi chiari come quelli di Adam, bella, anzi, più che bella. Era truccata in modo molto appariscente e non era molto vestita. I tacchi che avevo sentito erano i suoi, molto alti e leopardati come il corpetto che indossava. -E' lei il Dottor Levine?- mi chiese -Sì, prego mi dica- le risposi in modo cortese. -Devi togliermi questo maledetto bambino!- mi urlò in faccia buttando le mani sulla scrivania e facendo volare tutti i fogli che si trovavano sopra di essa. -Credo abbia sbagliato persona, signora- le risposi calmo e imperturbabile. -Senta, io non ho tempo da perdere, io ho bisogno di soldi e questo è il mio lavoro- mi disse sbattendomi un foglio di carta sotto il naso. Riuscii a cogliere tre parole che mi fecero capire tutto "Marlen Vineder escort" -Deve togliermi questo bambino, è stato un errore, è una mia scelta e lei deve fare come le dico, se non vuole che la denunci!- Forse, l'unica cosa che mi ero ripromesso di non fare nel mio lavoro, era proprio quello di togliere vita alla vita. -Non le toglierò il bambino!- risposi in modo freddo. -Non si permetta, lo lascerò per strada se non me lo vuole togliere- minacciò lei. -Lo adotterò io signora, ma non si permetta di fare stupidaggini-. Da quel giorno le stavo sempre dietro ogni cosa che facesse ed ero sempre pronto a consigliarle il meglio per quello che sarebbe stato mio figlio. Naturalmente aveva molti vizi, fumava, beveva e non pensava alle conseguenze che questo avrebbe avuto per il bambino ed io ero diventato la sua balia. Lo facevo solo per la creatura che sarebbe nata che cercavo di proteggere dal momento in cui ne ero venuto a conoscenza in quanto anche io ero stato adottato. Finalmente, dopo otto lunghi mesi arrivò il fatidico giorno della nascita, Marlen era andata in coma etilico perchè durante una festa si era ubriacata ed il bambino rischiava grosso. La portai in ospedale e feci in modo che avesse tutte le cure necessarie per il bambino. Mi ero affezionato a lui, ero diventato io la sua mamma, non potevo permetterle di rovinare il mio sogno. Due giorni dopo del coma, venne rimandata a casa, il bambino per fortuna era rimasto illeso. Il parto era stato programmatto una settimana dopo ed io andai a casa sua per accompagnarla in ospedale, ma quando arrivai lei non c'era. La cercammo in tutte le cliniche di Melbourne e Adelaide, ma niente. Non avevamo traccia nè di Marlen nè del bambino. Dopo mesi di ricerche la polizia mi contattò dicendomi che avevano avuto una segnalazione di una donna sola con un bambino piccolo che corrispndeva alla sua descrizione a Roma. Non ebbi un attimo di esitazione. Insieme ad un mio carissimo amico e collega decisi di prendere il primo volo per Fiumicino per andarci a parlare. Dovevo vedere quel bambino mi mancava troppo! Dopo qualche ora di aereo arrivammo a Fiumicino, prendemmo un taxi per Roma, e ci recammo all'indirizzo che ci aveva indicato la polizia. La Polizia era già sul posto e suonammo al campanello. Non rispose nessuno. Suonammo ancora, ma niente. Allora la Polizia decise di entrare in quanto avevano un madato di perquisizione. La porta era socchiusa, ma quando dentro ci rendemmo conto dello stato di degrado e sporcizia in cui versava l'abitazione. L'arredo era molto spartano, era tutto in disordine, avanzi di cibo ovunque, vestiti sparpagliati in ogni ambiente e piatti e stoviglie anche in bagno. Di Marlen nenche l'ombra. Ad un tratto sentimmo un lamento provenire dalla stanza da letto e trovammo in un lettino un fagottino avvolto in una copertina a colori. Tirai un sospiro di sollievo, quel bambino era ancora vivo per fortuna! Lo presi in braccio, era davvero bellissimo, assomigliava alla madre! Vidi un bracciale di swaroski attaccato al suo minuto polso, forse l'unico ricordo che la madre le aveva lasciato. Stavamo per uscire dalla stanza con il piccolo quando vidi un foglio di carta attaccato alla porta. Lo aprii e lo lessi.

-Caro Carlile, sapevo che saresti venuto a prenderlo. Non lo voglio, come non lo volevo dall'inizio, tienilo tu, è stato solo un errore e sicuramente non sarò io a 22 anni a prendermi cura di lui. Non mi interessa la sua sorte. L'ho chiamato Adam, come mio padre che venne ucciso in un attentato. Non mi interessa, non voglio avere notizie di lui, e tu non avrai più notizie di me. Marlen-

La Polizia la cercò a lungo ma di lei non si ebbe più traccia. Non pensavo che tanto menefreghismo potesse essere nel cuore di una ventenne sulla strada sbagliata. D'altro canto, per adottare Adam, avevo bisogno di una moglie, che però io non avevo. Conobbi, dopo qualche mese che Adam era stato affidato temporaneamente alla famiglia del mio collega, una donna bellissima dalla carnagione scura, di nome Nahatascia. Era un avvocato molto stimato. Dopo 1 anno decidemmo di sposarci. Finalmente potevo adottare quel piccolo fagottino. E così fù. Dopo alcuni anni a Nahatascia venne offerta una proposta di lavoro in America, a San Francisco. Lei naturalmente accettò, ma durante il viaggio dall'aeroporto a S. Francisco, morì in un incidente frontale con un camion il cui autista era ubriaco. Rimasi distrutto da quel duro colpo, ma la cosa più importante, che mi portò avanti, fu avere Adam con me.-

Helais aveva lo sguardo assolto di chi ha fortuna di avere una vera famiglia. Stavo per continuare a parlare, quanto sentimmo un rumore tonfo dalla cucina. Helais sobbalzò, alzandosi di scatto dalla poltrona e dirigendosi verso la cucina, altrettanto feci io, che, girato l'angolo, vidi Adam con gli occhi strabuzzati sul suo telefono, e il vassoio con i bicchieri per terra. Mi avvicinai al suo telefono strappandoglielo dalle mani, vidi sullo schermo luminoso un post su Twitter con scritto -Marlen Vineder torna nella sua città natale- Stava tornando?! Adam si abbassò per terra a riprendere i bicchieri, ormai, rotti e pulì con una spugna il succo sul pavimento avorio. Helais lo aiutò, mentre io continuavo a meditare su quel post. Dopo poco Adam mi disse -Papà sono le 17.20, penso che dovresti tornare in clinica...-  -Sì...lo credo anch'io-  risposi senza pensarci troppo su.

~Helais

Prese il giubbino, la sua borsa di pelle e uscì salutando con un -Mi raccomando fate i bravi, a domani, penso farò il turno di notte-. Guardai Adam con lo sguardo labile. Lo abbracciai dicendogli -Mi dispiace..- -Non è colpa tua piccola- mi rispose con un sorriso debole. Mi prese dal polso portandomi in camera sua. Il letto al centro della stanza, era coperto da un piumino blu come l'oceano. Cacciò dal comodino vicino il letto una sigaretta, l'accese e mi fece segno di sedersi sulle sue gambe. Mi adagiai sul letto, accoccolandomi al cuscino. Continuava ad inspirare ed espirare profondamente quella maledetta sigaretta. Lui non fumava, ma penso che dopo aver letto un messaggio del genere, il minimo che potesse fare era mettersi a fumare. Lo continuai ad osservare, e di tanto in tanto mi osservava e io facevo finta di essere incuriosita dal fumo che danzava per la stanza. -Comunque sei bellissima questa sera- mi disse di punto in bianco. Rimasi spiazzata arrossendo senza volerlo. Lui mi accarezzò le guance bordeaux con due dita, con un sorriso malizioso in viso mi chiese -Stai arrossendo piccola- -No, no è che qui fa caldo..- cercai di rimediare alle mie emozioni. Stupide emozioni! -Vuoi che ti presti una mia maglietta più fresca?- mi disse lui calmo. Oh Dio no. Di male in peggio, non riuscivo a nascondere una bugia in modo realistico? L'unica cosa era annuire. -Okay..- mi uscì dalle labbra. Si alzò dal letto, aprì l'armadio e cacciò fuori una maglietta gigante, nera, con disegnata al centro una croce bianca e sotto scritto "Die" -Mh, carina- fu la mia esclamazione -Vedi se ti sta bene- mi disse porgendomela. Adam uscii dalla stanza accostando la porta -Vado a prendere qualcosa da mangiare- esclamò -Ok,va bene-  risposi. Mi tolsi la mia maglia rossa, e misi quella di Adam. Era davvero enorme! Mi arrivava a metà coscia, ma aveva un odore buonissimo, non so, un misto tra muschio e Vétiver. La odorai un paio di volte per poi lasciarmi sfuggire un grande sospiro di soddisfazione. Uscii dalla stanza e mi diressi verso la cucina. Appena entrai Adam si voltò verso di me con le sopracciglia alzate e la bocca aperta -Waw..- gli scappò dalla bocca., facendo finta di non aver sentito chiesi -Allora? -facendo un giro su me stessa- come sto?-  -Sei..sei..fantastica..o di più(?)-  farfugliò avvicinandosi a me. Mi irrigidii quando mi abbracciò tirandomi più su. -Sei bellissima- mi sussurrò all'orecchio. Quando mi lasciò toccare di nuovo il pavimento, liberandomi dall'abbraccio mi chiese serio  -Omelette o pizza?- scoppiai a ridere e lui di conseguenza.

ANGOLO AUTRICE

Hey!! Ecco il terzo capitolo come promesso. Voglio sapere se vi piace o meno con i commenti. Il quarto lo pubblicherò tra una settimana come gli altri. Bacioni :*

Sono forte come un lupoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora