La giornata passò lentamente, anche troppo per i gusti di Draco ed Hermione, nervosi come lo si è prima di un esame. Tra una lezione e un'altra erano riusciti, molto discretamente, a darsi appuntamento alle 18:00 in punto al cortile dell'ala Est, piano terra.
Erano le 17:54 ed Hermione era già lì, appoggiata alla fontana centrale, con la braccia incrociate al petto e la testa tra le nuvole. I suoi stessi pensieri l'avevano sospesa nel tempo e nello spazio. Rifletteva sulle parole di Dumbledore e riusciva solo a pensare di fare letteralmente ciò che aveva chiesto. Molto spesso capitava che le parole del potente mago non avessero bisogno di interpretazione, benché il significato denotativo di ciò che diceva fosse assurdo. Quando il biondino arrivò, lei neanche se ne accorse. Dovette sventolarle un paio di volte le mani davanti alla faccia prima che potesse accorgersi della sua presenza.
«Granger, sapevo che fossi stupida, ma non fino a questo punto.» la mora alzò gli occhi al cielo e cominciò a camminare.
«Ehi! Dove stai andando?» Chiese il giovane alzando la voce, già innervosito dal comportamento della compagna di scuola.
Lei, in tutta risposta, continuò a camminare come se nulla fosse. Draco si ritrovò, quindi, costretto a seguirla e, con un paio di falcate, la raggiunse. Camminavano fianco a fianco come due amici avventurieri. Ma tutto erano, tranne che amici. Nel bene o nel male non lo sarebbero mai potuti essere. L'espressione di Hermione era quella di una leonessa: forte, determinata, inarrestabile. Draco la guardava, per la prima volta, incerto. Non capiva da dove prendesse tutta quell'energia, quella forza d'animo che lui, come tanti altri, non aveva. Hermione era quella forza della natura capace di distruggere qualsiasi cosa le intralciasse il sentiero, ma capace anche di intenerirsi dinanzi alla risata di un bambino. La guardava, e in lei vedeva una guerriera dall'armatura dorata, piena di ammaccature, di ferite, ma ancora bellissima.
Con più calma, ripose la stessa domanda che aveva fatto solo qualche minuto prima.
«Dove stiamo andando?» La riccia non lo guardò, ma rispose.
«Praterie.» Il biondo agrottò le sopracciglia.
«Perché stiamo andando alle praterie?» chiese, cercando di capire il motivo per il quale non si trovassero già in biblioteca, con i tomi più voluminosi della sezione proibita davanti il naso e con i sederi accomodati sulle sedie scomode.
«Perché- cominciò con il suo solito tono saccente- dobbiamo seguire le foglie.» Affermò con sicurezza, marciando verso la meta. Una risata divertita e genuina, però, le arrestò i piedi, che smisero di rispondere ai comandi.
«Cosa?» Chiese Hermione, infastidita, voltandosi per la prima volta, da quando era arrivato, a guardare il biondo. Rimase con il respiro mozzato e le labbra schiuse. Rideva, ed era bello. Aveva i denti bianchi, perfetti, contornati da labbra carnose e piene. L'espressione divertita, gli occhi brillanti. Poco le importò che stava ridendo per ciò che aveva detto.
«Vorresti davvero seguire le foglie? Insomma, per essere stata denominata la strega più brillante della sua età direi che la realtà delude l'aspettativa. Non ci porterà da nessuna parte inoltrarci nelle praterie e improvvisamente diventare degli ambientalisti.»
Disse con sufficienza il biondo. L'altra incrociò le braccia al petto, sospirando, come se quello che stesse per dire fosse ovvio.
«Caro Malferret, da come parli ho la certezza che tu non conosca affatto Dumbledore come lo conosco io. È dal primo anno che dà indizi a me, Harry e Ron come se fosse lui l'artefice di tutto, indizi che, delle volte, andavano interpretati, altre, e direi la maggior parte, no.» Il mago alzò un sopracciglio, seccato.
«E con questo vorresti dire che dovremmo metterci a seguire delle inutili foglie come dei cani, solo perché ce l'ha detto un vecchio pazzo defunto?» Con uno scatto fulmineo e poco prevedibile, Hermione gli puntò una bacchetta al collo.
«Non - lo guardò dritto negli occhi, senza paura, senza vergogna- insultare- gli sollevò il mento con la bacchetta, mentre il ragazzo la fissava, senza battere ciglio- Albus- lei indurí l'espressione - Percival - lui ghignò - Wulfric - lei aggrottò le sopracciglia - Brian - lui fece scivolare una mano tra i capelli caramellati della ragazza, provocando una distrazione in lei - Dumbledore - il ghigno della serpe si allargò, mentre tirava fuori la sua bacchetta, senza farsi notare da Hermione - in mia - lui le puntò a sua volta la bacchetta alla gola, mentre con uno scatto la afferrò per un braccio e fece scontrare la schiena della riccia contro il suo petto - presenza.» Draco continuò a puntarle la bacchetta, mentre teneva un braccio della strega fermo. Lei sentiva il suo fiato caldo sul collo, e le venne voglia di dargli una testata, ma la sua altezza piuttosto scarsa, rispetto a quella del biondo, non permetteva. Il contatto non durò molto, infatti presto tornarono a camminare l'uno di fianco all'altro, a distanza di sicurezza, ognuno con i propri pensieri.
Qualche minuto dopo arrivarono alle praterie ma, al contrario di come Draco pensava, non si fermarono lì. La mora proseguì, infatti, in direzione dell'entrata Sud del castello. E nei pressi dell'entrata Sud c'era...
«Il Platano Picchiatore.» Dedusse il biondo ad alta voce. Tutti sappiamo che l'imponente e secolare Platano di Hogwarts non è un normale albero. Ciò significava che, probabilmente, neanche le sue foglie lo erano.
«Quello non è un qualsiasi albero, penso che ci porterà da qualche parte.» Erano ormai arrivati, quando il Serpeverde aggrottò la fronte.
«Non ne hai la certezza? Per Salazar, e io che mi sono fatto trascinare.» Hermione alzò un sopracciglio, piccata.
«Oh, mi scusi signorino Malfoy se un'umile strega non si sia minimamente avvicinata alle sue aspettative. Se è più bravo lei, la prego di tirare fuori qualche idea, sua maestà.»Lo beffeggiò l'altra, con tanto di inchino, con un sorrisetto sarcastico, ma l'espressione infervorita, con i capelli leggermente in disordine e lo sguardo tagliente, che dipingevano su di lei una figura a dir poco maligna, senz'anima.
«È ovvio che qui il genio sono io, stupida Sanguesporco. Mi hai portato qui, senza alcuna motivazione valida, davanti un albero che non è un normale albero, e che potrebbe farci rimanere secchi in due secondi, per Morgana!» La voce di Draco si alzò di un'ottava, le vene del collo cominciarono a pulsargli e la voce si fece ancora più sprezzante.
«Stupido furetto che non sei altro, ma non lo capisci? È l'unica opzione che abbiamo, come fai a-» le parole di Hermione vennero stroncate dal suo stesso respiro violento, che buttò fuori come un enorme macigno. Quasi non le arrivava più ossigeno e tutto girava intorno a lei. Si sentiva frastornata e completamente in confusione. La terra non era più sotto i suoi piedi, letteralmente e le cose non facevano altro che correre veloci, come razzi. Le mani stavano toccando qualcosa di ruvido, grosso e largo. Poi realizzò: come al terzo anno era già successo, il Platano, o meglio, un suo ramo, l'aveva colpita direttamente allo stomaco e ora lei si ritrovava aggrappata ad esso, mentre quest' ultimo si divertiva a farla girare in aria come una trottola, provocando le urla della giovane e le risate del biondo.
«Malfoy! Malfoy, dannazione, dammi una mano» Urlò disperata, mentre cercava di afferrare la bacchetta senza cadere.
Ma il ragazzo non ne voleva proprio sapere, voleva godersi quella scena così esilarante, ma l'altra, innervosita dal suo atteggiamento, non era della stessa idea.
Con forza, appena gli fu vicino, lo afferrò per il colletto della camicia e, in un attimo, si ritrovò anche lui sbalzato in quella situazione in cui tutto girava ed era confuso. L'albero, però, si comportò in modo strano ed Hermione se ne accorse immediatamente. Sembrava che il ramo su cui si trovavano lei e il Serpeverde, volesse lasciarli in un punto preciso. Infatti le sue foglie cadevano in un modo bizzarramente ordinato, disponendosi in una specie di percorso che terminava in prossimità di quella cavità che Hermione sapeva perfettamente essere l'entrata d'ingresso della Stamberga Strillante. Capí in un attimo che era lì che dovevano andare, quindi afferrò di nuovo Draco e si lanciò a capofitto nella cavità, provocando violente imprecazioni da parte del biondo, che la mora mai si sarebbe sognata di sentir uscire dalle sue labbra. Dopo un momento di spossatezza, provocato dalla caduta, entrambi si ripresero. La strega guardò il mago, in un attesa, forse non intenzionale, di sentirlo lamentarsi dei pantaloni firmati, ora spiegazzati, della camicia non più perfettamente bianca, dei capelli non più in rigido ordine. Attese, guardandolo, cercando un segnale di fastidio in lui. Non sapeva in quel momento perché lo stesse facendo ma, in seguito, col senno di poi, fu costretta ad ammettere che era in continua ricerca di un cambiamento in lui, di un cambiamento reale, sepolto sotto lo sprezzo e la compostezza.
Il ragazzo non si accorse che era oggetto delle attenzioni dell'altra e, con nonchalance, si guardò attorno e iniziò a salire le scale, come se fosse solo, come se non esistesse la presenza della riccia, come se fosse tutto diventato distorto. Lei lo seguí e con la mente ripercorse quella sera del terzo anno, quando con Harry entrò nella stanza malandata e trovò Ron in preda alle lacrime, infermo e con lo sguardo terrorizzato. Si ricordò da quanta tenerezza e preoccupazione il suo cuore era stato sfiorato, alla vista della sua cotta in quelle condizioni. Erano sentimenti che, ormai, non la toccavano più da molto tempo e si domandò il perché. Con Ron avrebbe sempre dovuto provare quelle sensazioni, ma erano ormai troppi mesi che non succedeva. Che cosa c'era di sbagliato? Era lei, era lui, erano entrambi? Andò in confusione, persa nei suoi pensieri, non sentí la voce del platinato, né vide quello che stava facendo.
Continuava a rimuginare e rimuginare. Perché non aveva più la sintonia di un tempo con Ron? Perché quando lo vedeva non sentiva il cuore esplodere, disgregarsi in miliardi di pezzettini e uscire fuori dal suo petto? Per una ragazza nel pieno della sua femminilità, nel fiore dei suoi anni, sarebbe dovuto essere normale, scontato. E invece...
Guardò la schiena ampia del mago, che le stava parlando, ma non lo udiva. Vedeva, in tutto quel biancore della camicia, qualcosa di infinito e mistico, e, come ipnotizzata, si avvicinò, senza mai distogliere gli occhi dalla sua schiena. A due passi dal suo corpo, il giovane si voltò e le parole gli si ingarbugliarono in gola, per non uscire.
«Granger?» Hermione parve ridestarsi e balzò all'indietro. Non si era resa conto di quello che aveva fatto dal momento in cui i suoi pensieri avevano preso il sopravvento. Era una cosa che, ormai, capitava troppo spesso.
«Hai detto qualcosa, Malfoy?» Chiese lei imbarazzata, cominciando a guardarsi intorno e subito qualcosa che non tornava le saltò all'occhio. Era tutto troppo in ordine.
«Ci sono delle ammaccature sulle assi del pavimento.»
Hermione era confusa.
«È tutto troppo in ordine.» Malfoy rise sarcasticamente.
«Stai davvero pensando all'ordine, adesso? Sei assurda.» la riccia sbottò.
«Taci. L'ultima volta che sono stata qui è stato quattro anni fa, Sirius Black si nascondeva qui e tutto era a soqquadro. Le assi del pavimento non avevano solo qualche ammaccatura. Alcune c'erano, altre no, erano sporche, graffiate, sfondate.» Il biondo sollevò un sopracciglio, scettico.
«È chiaro che Dumbledore, probabilmente, sia venuto a dare una sistemata.» Questa volta fu Hermione ad essere scettica.
«Un genio come Dumbledore si sarebbe preoccupato di dare una sistemata ad una casa infestata da fantasmi? Seriamente, Malfoy? Qui qualcuno deve essere riuscito ad aggirare i fantasmi come Sirius aveva già fatto al terzo anno. E deve essere qualcuno molto bravo con gli Incantesimi e con le parole. Probabilmente anche maniaco dell'ordine. Questa persona è probabilmente il mittente delle lettere e quell'asse ammaccata non è stata lasciata così per caso. Lui o lei voleva che noi arrivassimo qui.» La mente di Draco andava a tutta velocità. Si stavano accumulando molti indizi, sull'identità del mittente. Era una persona particolarmente vicina a lui, aveva detto il vecchio preside, e ora scopriva che era persuasivo e bravo in incantesimi, ed era ciò che ci voleva per ingannare i fantasmi, e un maniaco dell' ordine. A quel punto tutti i tasselli andavano al loro posto, fino a formare un'unica immagine, un unico stemma.
«Serpeverde.»Mormorò lui.
«Cosa?» chiese l'altra.
«È ovvio, a questo punto. Il mittente o la mittente è un Serpeverde. Torna tutto: astuto, intelligente, perfezionista. Si, è senza dubbio un Serpeverde.» La mora si rabbuiò.
«Ciò significa che da questo momento in poi dovrai tenere gli occhi e le orecchie ben aperti, Malfoy. Voi Serpi siete furbi, fin troppo e, per quanto possiamo saperne, cloui o colei che stiamo cercando potrebbe essere anche il tuo migliore amico.» Draco dovette ammettere di trovarsi d'accordo. Ovviamente sapeva che non poteva essere Blaise, lui non avrebbe mai messo in scena tutto questo. In qualche modo avrebbe trovato la maniera per dirgli ciò che doveva dirgli senza troppi marchingegni. Doveva essere qualcuno di particolarmente subdolo, ma, in un covo di serpi, era quasi impossibile trovare qualcuno che non lo fosse.
Doveva indagare su ognuno di loro, ma doveva farlo senza destare sospetti e senza sembrare invasivo. Doveva farlo con la sua eleganza. Ma c'erano delle cose che i furbi capivano prima di tutti, delle cose che insospettivano prima loro e poi gli altri. Lui era scaltro, sapeva che nessuno si sarebbe accorto di nulla, finché si limitava a testare il territorio, osservare e sfiorare. Ma attaccare, agire e afferrare... Non poteva farlo lui, semplicemente perché non era un comportamento da Serpe. Era un atteggiamento da leone. La Granger gli serviva.
«Io posso intrufolarmi nei loro sussurri, nei loro sguardi sfuggenti, nei loro tocchi fugaci, nelle loro menti contorte. Posso capire dove vanno, cosa fanno, perché lo fanno, quando lo fanno, come lo fanno. Posso capire con chi parlano, con chi urlano, con chi si confidano e chi guardano. Posso capire i loro segreti più intimi e le loro passioni più sfrenate. Ma non posso agire di conseguenza. Penso che tu sappia che nella nostra casata non fa parte di noi farsi prendere dalle passioni terrene. Noi riflettiamo, calcoliamo il minimo dettaglio, anche quello più infimo. Strisciamo come serpenti, ci confondiamo con il buio, possiamo essere invisibili e onnipresenti. Ma facciamo agire qualcuno per noi. Granger, se tu dovessi scoprire che il tuo ragazzo ti tradisse, andresti immediatamente da lui e lo spediresti sulla luna. Se a me succedesse la stessa cosa, la mia sarebbe una vendetta lenta e dolorosa. Farei terra bruciata attorno a quella persona, poi la lascerei. Funziona così.» Parlò il giovane, con lo sguardo assorto fuori dalla finestra.
«Cosa stai cercando di dire?»
«Sto dicendo che sarò occhi e orecchie, ma tu dovrai essere il braccio. Se io dovessi fare un passo falso sarebbe evidente come inchiostro su neve. Se lo dovessi fare tu non risulterebbe così strano.» Hermione rifletté. Draco aveva ragione, era la cosa migliore da fare.
«Ok, hai un piano?» chiese, iniziando a testare l'asse ammaccata.
«Li pedinerò e spierò uno ad uno, ma tu devi dire ai tuoi amichetti che hai scoperto che il mittente è un Serpeverde. Sono sicuro che soprattutto San Potter comincerà ad indagare come un pazzo e farà domande insistenti ai Serpeverde. Di sicuro le farà anche al nostro ricercato, solo che non lo sapremo.» La risata sarcastica di Hermione lo interruppe.
«E questo a cosa ci porterà, sentiamo?» Il biondo sbuffò apertamente, riprendendo a parlare, marcando più le parole. «Ciò non solo distoglierà l'attenzione da me, ma mi permetterà anche di ascoltare le loro conversazioni e capire chi mente e chi no.» Alla strega sembrava un buon piano. A dir poco perfetto. Ma non l'avrebbe mai ammesso, non davanti a lui. Intanto continuava a testare le assi, cercando uno spazio tra l'una e l'altra, per sollevarle.
«Io inizierò dalla Greengrass bionda.» affermò Hermione, al che Draco si straní.
«Come mai vuoi iniziare proprio da Daphne? Non mi pare che abbiate alcun tipo di rapporto.» Solo che lui non sapeva della chiacchierata, ed era meglio così.
«No, infatti.» il dito della Grifindoro s'incastrò tra due assi. Con forza le sollevò, attirando l'attenzione dell'altro, che si avvicinò.
La ragazza vide subito una scatoletta grande quanto il palmo della sua mano, quindi l'afferrò.
«Alhomora» pronunciò Draco tirando fuori la bacchetta. La scatola si aprí, rivelando ciò che conteneva.
«Un'altra lettera.»Angolo autrice.
2 maggio 1998. Seconda Battaglia di Hogwarts.
Cari lettori, ci tenevo particolarmente ad aggiornare oggi. Potrà sembrare strano e assurdo, ma in questa giornata mi sento triste. So che, purtroppo, Harry Potter è solo frutto della fantasia di una donna meravigliosa come Zia Row, ma tutti noi siamo cresciuti con il Bambino Sopravvissuto, e siamo finiti per affezionarci ai personaggi, fino a piangere al momento della loro morte.
Harry Potter ha lasciato un segno indelebile dentro ciascuno di noi, un segno che ricordiamo con affetto, perché ci ha fatti stare bene.
E ricordare ciò che è stato, seppur si tratti di pura invenzione, è un modo per farci sentire vicini, nonostante la distanza.
In qualunque posto del mondo siate, vi invito, con me, ad alzare le bacchette, perché più di una vita venga ricordata.
Con affetto,
-M💕

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Life.||Dramione
FanfictionTratto dal prologo: "Probabilmente vi sarete chiesti innumerevoli volte che cosa sia la vita. Lo avrete cercato nei libri, lo avrete chiesto ai vostri genitori, avrete desiderato così tanto saperlo da non accorgervi che la risposta è proprio sotto...