Capitolo 2

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"Ma cosa combini in quel bagno? Lo butti giù e lo ricostruisci ogni volta che ci entri?", mi riprendette mia madre mentre si affrettava a prendere tutte le scartoffie per l'ospedale.

"Scusami, sono stata intrappolata dalla doccia"

"Ah si? E da chi?", uno sguardo fugace ai miei occhi per poi chiudere la cartelletta rossa con un elastico.

"Dalla tremenda bellezza di stare sotto l'acqua calda", sghignazzai perchè vidi che ero riuscita a farla ridere. Da quando successe quel che è successo insomma, cambiò radicalmente umore. Era sempre presa dal suo lavoro di avvocato. Non che prima fosse spensierata, chiaramoci, ma si dedicava più a se stessa: andava in palestra, si svegliava presto per correre la mattina, trovava il tempo per cucire ogni tanto e, quando le capitava, dipingeva qualcosa. Mio padre diceva che a  farlo innamorare era stato proprio questo lato energetico della mamma: mi raccontava spesso, da piccola, che la mamma non si fermava mai e che assomigliava proprio a quel buffo personaggio di un cartone che mi guardavo da piccola. Mia mamma lo sgridava quando lo diceva in sua presenza e quindi io e papà ci mettavamo a ridere. A volte vorrei proprio che tornasse come quel mio vecchio personaggio preferito.

Ha cominciato a non prendersi più cura di lei da quando a sedici anni ebbi la mia prima insufficienza respiratoria. Ricordo che è stata l'esperienza più brutta della mia vita: erano circa le tre e venti del mattino e mi svegliai tutto d'un botto senza fiato, come se la mia testa fosse stata sotto l'acqua. Riuscivo ad insipirare poca aria, il giusto per non morire e a tentoni mi diressi nella camera di mia madre; il suo sonno leggero fu dalla mia parte e quando mi vide in piedi davanti alla sua porta e cadere sul pavimento priva di sensi qualche istante più tardi l'ha spaventata a morte.

Da quel giorno ho imparato ad apprezzare la vita ancora di più. Sono sempre stata una ragazza che amava la vita, proprio come mia madre. Insomma, come quando era giovane per lo meno. Ho sempre preferito vedere il lato positivo in tutto e non mi sono mai fatta scoraggiare da nulla; ho sempre stretto i denti anche quando non ne potevo più. Con la vita avevo una questione in sospeso io: quella malattia non mi avrebbe mai permesso di avere dei rimorsi quando sarebbe giunto il mio momento.

Sarebbe arrivato quel momento, ne ero consapevole. A dire la verità ne ero terrorizzata, ma cercavo di non pensarci. Avrei voluto vedere a colori fino a quando ne avessi avuto la possibilità, non avrei mai sprecato le opportunità che la vita mi avrebbe messo davanti e avrei assaporato questa vita fino ad essere piena da scoppiare.

"Dai sbrigati che Phil ci aspetta in macchina", da quando i miei divorziarono, mia madre decise di chiamare mio padre per nome. E' stata una scelta che ha preso qualche tempo dopo il divorzio, ha aspettato che crescessi un po' a dire la verità.

"Signorsì".

"Ecco chi si rivede, buongiorno guerriera", appoggiato alla sua macchina cromata, stava attendendo il mio arrivo con la comapgnia della sua eterna pazienza. Mi aspettava per accogliermi a braccia aperte.

"Buongiorno comandante, la vedo in forma", eccolo lì, pronto a spuntarmi un sorriso a trentadue denti. Dopo avergli strizzato i bicipiti ancora gonfi dal suo passato da nuotatore mi infilai nel sedile posteriore della macchina.

Io e mio padre ci dammo questi nomignoli, che tanto ignoli  non erano. Quando ero piccola e non ero a conoscenza della carriera da militare, vidi nell'armadio di mia mamma una divisa da militare. La indossai e andai in cucina dai miei genitori. Si misero a ridere e mi dissero che ero bellissima. "Sai di chi è quella divisa?", mi chiese mamma ed io scossi la testa, mentre ero ancora avvolta in quella divisa senza ombra di dubbio cinque volte più grande di me. "Era del nonno", rispose lei. "Quello che è in cielo?", chiesi. "Sì tesoro. La usava per fare del bene al posto in cui vivi", mi rispose sistemandosi alla mia altezza. "Anche io voglio farlo mamma! Mi diverte questa giacca grandissima!".

Da quel giorno, papà mi spiegò tutto sui militari ed io ebbi davvero il sogno di arruolarmi. Sapevo che il mio carattere determinato sarebbe stato adatto. Poi arrivò la leucemia, e la divisa di mio nonno era tutto ciò che mi sarebbe per sempre rimasto di quel sogno.

Beh, la divisa e il nomignolo che mio padre mi aveva affibiato da quel giorno. Diceva che io ero una guerriera e che era ancora più importante di essere un militare; perchè avrei combattuto per la mia vita. Insomma, di sicuro non avrei potuto combattere per il bene di tutto il popolo, però abrei potuto provare ad essere forte per proteggere me.

"Forza Loren!", urlò mio padre dal finestrino della macchina.

"Poi sono io quella sempre in ritardo eh mamma!", urlai anche io dal finestrino.

"Ma piantatela!", stava finendo di chiudere la porta di casa, ma metterle fretta mi divertiva.

"Dove si va?", chiese mio padre rivolgendo lo sguardo verso mia madre.

"Dai Phil, finiscila che siamo già in ritardo", mia madre sbuffò.

Mio padre mi guardò dallo specchietto retrovisore e mi abbozzò un sorriso, io risi a mia volta e poi appoggiai la testa al finestrino quando partì.

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