Epilogo

510 26 70
                                    

Vanno a prenderlo una mattina all'alba, mentre Francesco annaspa nel sonno tra immagini di sangue e di morte. Sono in cinque, armati, come se non ne bastasse uno solo a far di lui qualsiasi cosa. Come se fosse ancora un giovane in forze, e non un mucchio di ossa senza più volontà.

Riconosce un paio di loro, sono stati suoi carcerieri per qualche notte, ma nessuno fa parte degli uomini di Lorenzo. Uno lo solleva dai capelli, Francesco sibila a corto di fiato e quelli ridono: «Chi ti salverà questa volta, Pazzi?». Un altro lo spinge a terra.

La sua mente lo ha abbandonato da un bel po', le allucinazioni si confondono con gli incubi, gli incubi con i ricordi, i ricordi col presente; non è nemmeno sicuro che ciò che sta accadendo sia reale. Non sa quanto sia passato dall'ultima volta che ha visto Lorenzo, però immagina che non sia più di qualche giorno, considerando che oramai trattiene il passato a fatica. Quei momenti, invece, sono ancora incredibilmente vividi.

Un calcio lo colpisce allo sterno, qualcosa si incrina. Francesco prova a gridare ma la sua bocca si riempie di sangue. È Lorenzo che ha voluto questo?

Qualcuno lo tira per le braccia fuori dalla cella, la polvere lo avvolge e gli si appiccica alla pelle. È sveglio o sta sognando?

Cerca di aggrapparsi a qualcosa, ma le sue unghie si spezzano contro le pareti mentre gli uomini lo tirano, le sue gambe non collaborano: alzarsi in piedi è fuori discussione, fare resistenza impossibile. Le ginocchia urtano contro gli scalini di pietra e Francesco ha l'impressione che si spezzino ad ogni colpo.

Quando lasciano la presa, il suo corpo sbatte con violenza sul pavimento di sassi, non risponde più ai comandi. Se non fosse per la paura logorante che gli ribalta lo stomaco, penserebbe di essere già morto.

È Lorenzo che ha voluto questo?

Passano solo pochi secondi prima che il portone davanti a loro si spalanchi, lasciando entrare l'aria fresca del mattino. La luce fuori è ancora tenue, ma per Francesco, che non vede il sole da un'eternità, è come un pugnale che gli trafigge gli occhi attraverso le palpebre. Dopo tutto quel tempo a desiderarlo, non pensava che rivedere l'alba avrebbe fatto così male.

L'aria pulita gli frizza nei polmoni: se quelli sono i suoi ultimi respiri, almeno non saranno pregni di umido e di muffa. Anche il sapore ferroso del sangue sembra meno intenso così.

Lo afferrano di nuovo per le braccia, il bruciore alle spalle è a mala pena sopportabile. Mentre lo trascinano in strada la sua vista si adatta gradualmente alla luce, i suoi occhi lacrimano intensamente ma Francesco non è in grado di individuarne la causa: forse è per il sole, forse è per la polvere, forse è perché sta morendo e Lorenzo non c'è.

Lorenzo. Dov'è Lorenzo?

Gli uomini lo tirano più forte, si muovono rapidamente, sembrano di fretta. Una folla si apre al suo passaggio, si agita attorno a lui e grida insulti; qualcuno gli sputa addosso, qualcun altro lo strattona, ma i suoi aguzzini gli fanno scudo con il corpo e continuano a camminare.

Francesco prega che ovunque lo portino ci sia Lorenzo ad aspettarli.

La scorge quando sono ormai vicini, la corda spessa di un cappio che penzola nel vuoto, già pronto e fissato saldamente. Sono su Ponte Vecchio, riconosce le botteghe dei beccai, nella confusione si distingue persino lo scroscio dell'Arno, costante, familiare. Una musica gentile, un bel modo per andarsene.

Sorride, Francesco. Sembra quasi che Firenze voglia dargli una morte serena, con gli occhi e le orecchie pieni di tutto ciò che in vita aveva amato così tanto, in un giorno di sole.

È una tregua, quel pensiero, ma dura solo pochi istanti.

Un'esecuzione come quella non l'aveva mai vista, non all'alba, non certo sul ponte.

Di doman non c'è certezza - Francesco PazziDove le storie prendono vita. Scoprilo ora