Given up

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L'acqua continuava imperterrita a scorrere, rendendo sempre più evidente il suo colore tutt'altro che limpido. La lampadina del bagno ronzava come una mosca assonnata, e ogni tanto prendeva la simpatica iniziativa di lampeggiare, minacciando di entrare in eterno sciopero di lì a poco.

L'unico altro rumore che ogni tanto si univa a quella decadente sinfonia era il clacson di una macchina che malediceva la dittatura di un semaforo o la sfrontatezza di qualche prostituta.

Un bell'accompagnamento per una serata di merda, pensò Brian.

Alzò lo sguardo verso lo specchio che sovrastava il lavandino scheggiato, e chiuse l'acqua; si osservò attraverso lo specchio per qualche istante, mentre le ultime gocce d'acqua battevano in ritirata nello scarico.

Miserabile, ecco l'aggettivo che per tanto tempo aveva cercato e che finalmente gli calzava a pennello.

"Congratulazioni." disse fra sé e sé, mentre spostava lo sguardo verso il suo braccio destro; guardò per un attimo i buchi che lo costellavano come i crateri di un campo di battaglia, poi, mosso da un'emozione mista tra rabbia e sconforto uscì dal bagno e si tuffò a faccia in giù sullo squallido letto al centro della camera.

Rimase in quella posizione per quelli che potevano essere stati cinque minuti come venti, cercando (inutilmente) di non pensare a nulla. Com'era quella frase? Doveva suonare tipo: "Prova a non pensare a un elefante rosa, e quella fottuta bestiaccia continuerà imperterrita a presentarsi davanti ai tuoi occhi".

I clacson erano l'unico strumento dell'orchestra che continuava a suonare, seppur con lunghe pause tra una performance e l'altra.

"Miserabile." pensò, avvertendo un formicolio all'altezza del ginocchio, come se qualcosa lo avesse sfiorato. Sperò con tutto il cuore non fosse un altro scarafaggio.

Alzò la testa e a seguire il resto del corpo con uno sforzo immane, per mettersi infine seduto sul bordo del letto. Lasciò vagare il suo sguardo per la stanza: quel motel non era certo rinomato per la sua qualità, né tantomeno per la sua pulizia: accanto al letto matrimoniale vi era un piccolo comodino tarlato, con appoggiata sopra una lampada che non funzionava. Davanti a lui c'era la porta del bagno e alla sua destra un armadio che puzzava di naftalina e muffa. L'unica finestra (a cui mancavano le tapparelle, sostituite da una tenda) offriva una vista spettacolare sui Wards, completa di condomini abbandonati o mai terminati e vicoli ricolmi di spazzatura.

Brian tastò con le mani il lenzuolo, madido di sudore, che aveva ospitato i suoi incubi tormentati fino a pochi minuti prima; solo allora udì che un nuovo musicista si era unito all'orchestra e anzi, con molta probabilità, c'era sempre stato.

Guardò l'orologio appeso sopra la porta del bagno: ticchettava una volta ogni due secondi, e segnava le 23:37; facendo due conti, doveva mancare qualche minuto a mezzanotte.

A Brian quel ticchettio fuori fase non piaceva, ora che lo aveva notato. Sembrava dilatasse il tempo, e lui desiderava solo che quella notte passasse il più velocemente possibile.

"Sì, così possiamo tornare a farci."

Eccola lì, era tornata. A Brian piaceva chiamarla la voce della coscienza.

"Esatto." rispose Brian, ad alta voce. "Non vedo l'ora di tornare a farmi." continuò, fissando il muro.

"Non siamo obbligati a farlo." disse la voce, ferma.

Brian rise, nervoso: "Ah, davvero? Beh, cosa suggerisci allora? Tornare a casa? Andare in ospedale? Presentarsi in ginocchio davanti a una chiesa?"

La voce tacque un momento, e Brian sorrise per quella sua piccola vittoria interiore.

"Lo sai, vero, che se andiamo avanti così prima o poi la fortuna finirà? Creperemo di overdose tra qualche sacco di spazzatura o accoltellati da uno spacciatore perché abbiamo finito i soldi. Ti ispira questa prospettiva?"

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⏰ Last updated: Mar 31, 2020 ⏰

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