Silver e Santiago

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Mio caro ed amatissimo nonché stimato nipote, permettimi di cogliere l'occasione di salutarti e di ringraziarti – poiché desumo che sarai arrivato a questo punto della mia lettera, immagino che avrai deciso di dedicarle degna lettura, anziché cestinarla e ciò rappresenta per me, lasciamelo dire, motivo di ammirazione. Sono passati anni dai fatti che hanno spaccato in due la nostra famiglia, riducendola a pezzi, fatto di cui, mi dolgo con tutto me stesso; molte cose sono state dette su di noi, spregevoli dicerie sono state sparse sul velo immacolato della nostra quiete familiare.

Non prenderò la palla al balzo, servendomi di questa lettera per rimarcare concetti già affermati da me in sedi più consone, dirò qui semplicemente che il mio dispiacere ed il rammarico per ciò che accadde si rinnova ogni giorno. Pongo la mia fede in tutta la tua capacità di discernere e di scindere il bene dal male, sperando che la tua memoria possa valicare i confini dei brutti avvenimenti intercorsi, potendo giungere a più dolci memorie.

Non sono entrato sin da subito nella vostra famiglia, essendo io quello che può essere, a ragion del vero considerato, un parente acquisito, ma sin dal primo momento in cui sono stato ammesso, prima in casa di tua zia e poi nella più ampia cerchia familiare, non ho potuto fare a meno di constatare la magnanima la natura del vostro modo di essere, di quello di tutti voi.

La prima volta che vi ho incontrato, i tuoi genitori e te, in occasione di quel rinfresco dato da Ginevra, tua zia, be' tutto ciò acquisisce un valore unico nel mio cuore.

Non so se sarai venuto a corrente del fatto che da quando sono uscito dal carcere – essendo stata una esperienza particolarmente pesante, come la sarebbe per ognuno, presumo – le mie condizioni di salute non hanno fatto altro che peggiorare: tutto quello che è avvenuto, penso sia stato deleterio e corrosivo per la mia psiche e per il mio corpo: tutti quegli anni ad indossare una maschera, davanti ai media, lo sguardo vigile e irreprensibile di tuo padre in aula, i processi interminabili: tutto ciò non ha per niente giovato alla mia salute.

Penso che questo, tutto questo, mio caro, non abbiano fatto altro che spingere un uomo come tuo zio, il quale sino ad anni fa non sarebbe potuto essere certamente tacciato di debolezza, verso un declino inevitabile. E cosa ci può essere di peggio – di questa situazione, si intende – se non l'essere recluso in una stanza, intubato, braccato dalle grinfie sterili di un macchinario il quale dicono ti tenga in vita, a passare la giornata divorato dai rimorsi e dai dubbi, con solo i tuoi fantasmi più biechi a farti visita. Cosa ci può essere, dimmi tu, peggio di tutto questo? Mentre attendi lentamente la tua fine, divorato da un male angustiante e perfido come solo lo spegnersi di un uomo può essere.

Ti scrivo qua oggi, come negli ultimi mesi ho scritto a molte persone, le quali ritengo essere le ultime a potersi rendere quantomeno lontanamente partecipi del mio dolore, per raccomandarti quella che potremmo chiamare come un'ultima grazia, prima che questo mondo mi si richiuda sulle spalle.

Anni fa, quando i sospetti della fine del nostro idillio familiare erano ancora ben lontani, ricevetti in dono un paio di cani, dei più amabili che si potessero mai ricevere. Esseno il primo cieco come un pirata ed il secondo di discendenza da una razza spagnola decisi di chiamarli Silver – come Long John Silver, il pirata – e Santiago, il primo nome echeggiante come spagnolo nel quale la mia mente si imbatté. Sono sicuro che tu li abbia visti, almeno in un paio di occasioni, sebbene io avessi deciso di non portarli a casa di tua zia – essendo la sua residenza in centro non ritenuta alla altezza di "due bastardi", come diceva lei -.

Nel caso non ti dovessi ricordare del loro aspetto, allegherò qui alla mia lettera una foto di entrambi, in maniera che tu possa familiarizzare con il loro volto – per non dire muso.

Con mio grande rammarico dovetti affidarli, entrambi, alle cure di un conoscente, durante gli anni – seppur pochi – passati dietro le sbarre. Con mia gioia scoprii in seguito, che sebbene invecchiati, i due erano sopravvissuti alle mie sventure. Purtroppo non essendo io nelle condizioni di recarmi personalmente ad accudirli, né avendo io una casa sufficientemente spaziosa per poterli ospitare, decisi di darli via definitivamente, tramite una associazione senza scopo di lucro che si occupa proprio di questo.

I sette raccontiWhere stories live. Discover now