𝕍. 𝙹𝚎𝚊𝚕𝚘𝚞𝚜𝚢

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𝕍.  𝙹𝚎𝚊𝚕𝚘𝚞𝚜𝚢

«Non voglio abbandonare Katsuki di nuovo, ora so che non posso farlo. E non voglio abbandonare questo bambino.» Le spalle d Izuku si incurvarono a quelle parole.

«Capisco.»

«Ma non voglio abbandonare neppure te.» mormorò inginocchiandosi al suo fianco e avvolgendogli le braccia intorno alla vita in un abbraccio affettuoso, quasi come se temesse la sua reazione. Ma Izuku non si spostò, non si tirò indietro.

«Vi voglio entrambi.»

Midoriya trattenne il fiato, restò in silenzio per alcuni secondi, che per Shōto sembrarono un'eternità, prima di parlare: «Non so se lo posso fare.» ammise sollevando appena lo sguardo su di lui, quasi a volersi scusare, a voler chiedere perdono per quella sua incertezza. Avrebbe dato anima e corpo per stare con Shōto, per essere parte del suo mondo anche solo per un altro giorno, ma quello era un passo enorme. Era qualcosa che non aveva mai neppure preso in considerazione, nonostante sapesse benissimo che la poligamia tra alfa e omega era una realtà concreta nel loro mondo. Ma nonostante la sua incertezza Shōto gli sorrise gentilmente, sorprendendolo.


«Lo so.» Mormorò accarezzandogli una guancia con dolcezza «Ma puoi provarci? Puoi almeno prendere in considerazione questa possibilità?» Chiese implorandolo con lo sguardo. E nei suoi occhi Izuku riuscì a scorgere il timore all'idea di perderlo, di ricevere un rifiuto da parte sua.
Per la prima volta sentì di essere lui quello desiderato, bramato; capì che Shōto lo voleva tanto quanto lui, ed era una consapevolezza così nuova ed inattesa che si ritrovò ad annuire debolmente.

«Sì, posso provarci»

****

Quando più tardi, quella stessa sera, si ritrovarono tutti seduti intorno ad una ricca cena tipicamente americana, Katsuki non riuscì a non notare il cambiamento tra i due. Lo sconforto e il dolore che aveva visto negli occhi di Izuku poche ore prima erano completamente scomparsi, sostituiti dalla complicità e da quell'amore così profondo da sembrare quasi venerazione che lo aveva sempre contraddistinto.
Katsuki sentì il sangue ribollirgli nelle vene mentre infilzò con rabbia un involtino di zucca. Per un momento aveva pensato di aver vinto. Si era illuso che la notizia della gravidanza sarebbe stata abbastanza da distruggere qualsiasi cosa ci fosse stata tra i due. Ma si era sbagliato. Oh, se si era sbagliato.
Si infilò l'involtino in bocca e lo masticò lentamente, fissando il ragazzo dagli occhi verdi in cagnesco, mentre la sua mente si riempì di domande e congetture. Non riusciva ad impedirsi di pensare a cosa avesse fatto Shōto per fagli cambiare umore così in fretta. E quando i suoi occhi caddero su un piccolo ma perfettamente riconoscibile segno rosso sul suo collo, gli fu btutto improvvisamente chiaro.

La gelosia lo travolse come un'onda di marea. Gli divora lo stomaco e la mente. Sbatté le posate sul tavolo con forza, facendo sobbalzare i proprietari della casa. Il silenzio calò su di loro, tutti gli occhi erano puntati su di lui.

«Io ho finito» ringhiò tra di denti alzandosi di scatto, la cena praticamente intoccata nel piatto. Non riuscì a stare lì un secondo di più.
Shōto aprì la bocca per replicare, per fermarlo forse, ma non gliene diede il tempo. Fuggì dalla stanza a grandi passi, il battito accelerato e il sangue che gli pulsava nelle orecchie.
Quando si rese conto di non avere più una camera sua in cui rifugiarsi, si sentì quasi soffocare. Sarebbe stato costretto a passare la notte insieme a loro, dopo che Shōto lo ha così palesemente tradito per l'ennesima volta. Il solo pensiero gli provocava le vertigini. Spalancò la porta con rabbia e si lascia cadere sul letto, annaspando. Non voleva star male di nuovo, ma dentro di lui c'era un oceano di emozioni in tempesta: da quando era rimasto incinto sembrava tutto amplificato. Non solo gli odori e i suoni, ma anche le emozioni, ciò che prima lo irritava semplicemente, ora lo faceva esplodere, ciò che lo rendeva malinconico, lo gettava in un abisso di disperazione e le piccole cose che gli donavano gioia, ora gli facevano riempire gli occhi di lacrime per la felicità. Era come avere i nervi scoperti, costantemente. Era estenuante e spaventoso e lo faceva sentire perso, alla deriva.
In quel momento, con la mente invasa dalla gelosia e l'odio per quel ragazzo insulso che in qualche modo era riuscito a rubargli l'unica persona per cui potesse dire di aver mai provato amore, l'unico pensiero a cui riusciva ad aggrapparsi era la vendetta.
Focalizzarsi su quel singolo pensiero lo aiutò a calmarsi. L'ira si placò mentre si guardava intorno alla ricerca del modo perfetto per vendicarsi. Voleva fargli del male, voleva distruggerlo, annientarlo, una volta per tutte.
Il suo sguardo cadde sui premi, le medaglie che costellano un angolo della stanza, frutto di una vita di sacrifici. «Non sono nemmeno la metà di quelle che ho io.» pensò con soddisfazione, avrebbe potuto rubarle, avrebbe potuto prenderle tutte e andare a gettarle nel Michigan. Gli avrebbe dato sicuramente una grande soddisfazione gettare i riconoscimenti della sua squallida carriera nel lago. Immaginarlo gli fece piegare le labbra in un ghigno, ma il pensiero di quanto Shōto si sarebbe adirato se avesse fatto una cosa simile lo riportò bruscamente alla realtà.
Si allungò sul letto. No, doveva trovare qualcosa di meglio. Affondò il viso nel cuscino e sospirò pensieroso. Un profumo fin troppo familiare gli riempì le narici: acqua di colonia costosa e shampoo al muschio bianco. Sorrise inconsciamente, spingendo il naso contro la federa. La sua mente si riempì di ricordi, così vividi da sembrare reali. Memorie di letti ed altre lenzuola, camere d'albergo e dormitori che avevano visto consumarsi innumerevoli notti di passione. Il suo corpo si scaldò e si tese. Premette il bacino in basso contro il materasso e un sospiro gli sfuggì dalle labbra. Un ricordo più di tutti gli altri spiccò nella sua mente. Una camera minimalista e tradizionale, deliziosamente arredato con mobili raffinati; l'impagabile vista sulla città, imbiancata di neve, un grande futon morbido, lenzuola candide e quel profumo ovunque.
Chiuse gli occhi, sospirò, Shōto sembrava così vicino.
Un respiro tremante gli sfuggì dalle labbra. Lasciò scivolare una mano in basso per toccarsi, ma non lo fece. Si fermò appena prima di raggiungere l'orlo dei pantaloni. Artigliò le lenzuola e gemette frustrato, avrebbe potuto farlo, avrebbe potuto benissimo farlo, ma la sua mano non si muoveva. Non aveva mai ceduto in tutti quei mesi, nemmeno una volta, nemmeno quando si svegliava caldo e bagnato dopo un sogno a luci rosse, nemmeno quando gli sembrava di morire per quanto lo desiderava.
Non aveva certo intenzione di cedere ora.
Strofinò la sua dolorosa erezione contro il materasso, inalando a fondo l'odore di Shōto che permeava le lenzuola e d'improvviso la consapevolezza di ciò che quello significava, lo fece restare senza fiato. Il profumo di Shōto era dappertutto in quella stanza e in quel letto. Katsuki spalancò gli occhi, coma aveva fatto a non capirlo prima?
In quel momento lo sentiva chiaramente, c'era un altro odore mischiato al suo, una  fragranza più dolce, meno maschile ma ugualmente forte: profumo di legno, forse, e agrumi. Il respiro gli si bloccò in gola mentre scattò all'indietro. Non riusciva a credere di essersi quasi toccato su quel letto, quel letto in cui, ora se ne rendeva conto, Shōto lo aveva tradito per chissà quante notti con un altro uomo.
Si sentì disgustato e ferito e colpevole mentre si alzava di scatto, quasi come se, d'un tratto, il letto stesse brucando.

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