Intro

94 10 1
                                    

Se a settembre mi avessero detto che avrei terminato il mio quarto anno di superiori da dietro uno schermo, senza poter uscire di casa o vedere i miei familiari e i miei amici, probabilmente sarei scoppiata a ridere. Se mi avessero detto che un virus arrivato dalla Cina, così lontana da noi, sarebbe arrivato in Italia e nel giro di poche settimane mi avrebbe impedito di fare la maggior parte delle cose che amo e vedere le persone a cui voglio bene, avrei scosso le spalle dicendo che non era possibile.

Eppure eccoci tutti qua, ognuno in casa propria, circondati soltanto dai familiari con cui conviviamo o costretti a tenerci compagnia da soli. Non è una situazione facile, e nemmeno una situazione a cui potrò mai fare abitudine. E io sono molto fortunata: ho un giardino in cui posso uscire a prendere un po' sole nei giorni che sembrano gridarmi di fare una passeggiata oltre il cancello di casa, nel parco a poche centinaia di metri; ho un telefono e internet per tenermi in contatto, per quanto possibile, con i miei amici, il mio ragazzo, il resto della mia famiglia. Sono fortunata perchè nessuno, tra le persone che ho più a cuore, lavora ogni giorno rischiando la propria vita negli stipati reparti di terapia intensiva, e sono consapevole che moltissimi, là fuori, stanno facendo di tutto per salvare più vite possibili.

Fino ad adesso, restare costantemente a casa era sempre stato il mio sogno; come quando ti svegli la mattina troppo stanco per andare a lavorare o a studiare vorresti soltanto una scusa per poter rimanere a dormire qualche minuto in più. O come quando la tua agenda è stipata di impegni, luoghi in cui andare, persone da incontrare, cose da dire, e vorresti soltanto sprofondare nel divano per rilassarti.

Ma non appena mi è stato tolto tutto quello che avrei potuto fare al di fuori di casa mia, subito mi sono resa conto di quanto le cose più faticose fossero quelle che mi rendevano la vita interessante.

Non avrei mai pensato di poterlo dire, ma mi manca andare a scuola.

Mi sento come a inizio settembre, quando non vedo l'ora di tornare tra i banchi insieme ai miei compagni; soltanto che questo settembre è infinito e ogni giorno è uguale al precedente e al successivo. È inutile ribadire come "fare lezione" virtualmente non sia la stessa cosa: manca avere qualcuno di reale seduto a destra e a sinistra del tuo banco, mancano le penne prestate, gli appunti chiesti, i suggerimenti dati, i segreti raccontati sotto voce durante un'ora di lezione non particolarmente avvincente. Manca la parte umana, la parte sociale, la parte che ci tiene vivi in quelle cinque ore tra una lavagna e un compito in classe.

I giovani, io compresa, danno spesso la scuola per scontata, garantita; dopotutto, è l'unica costante delle nostre giornate, l'unica che non cambia mai, così ci auto-convinciamo che almeno nessuno potrà togliercela. Ci rendiamo conto di quanto una cosa per noi semplice, come la possibilità di fare esperienze sociali, insieme alla nostra educazione abbiano un ruolo fondamentale nelle nostre giornate solamente quando ne veniamo privati.

Se c'è una cosa di cui sono sicura è che questa pandemia avrà degli enormi risvolti positivi sulla nostra prospettiva sulla vita. Stiamo capendo, chi più e chi meno, che la nostra libertà è il bene più prezioso che abbiamo, che un abbraccio o un bacio sono sempre da dare come se fossero gli ultimi, che andare a trovare i tuoi nonni e saperli in salute non è cosa da poco.

Da questa situazione ne usciremo più consapevoli, più uniti, più coraggiosi, più pazienti, e forse con qualche capacità culinaria in più. Ne usciremo da paese che non ha mai abbassato la testa lasciandosi scoraggiare dagli eventi più tragici della propria storia.

Ne usciremo insieme.

Ma, per adesso, restiamo a casa.


You've reached the end of published parts.

⏰ Last updated: Apr 07, 2020 ⏰

Add this story to your Library to get notified about new parts!

Parole da casa al tempo del CoronavirusWhere stories live. Discover now