Siamo solo io mia madre in stanza, la 222. Ci sono due posti letti, ma uno è stato lasciato libero ieri pomeriggio. Gabriele, che era stato ricoverato per una brutta influenza (ho sentito i medici parlare di meningite ma non so che cosa sia) se n'è andato e mi ha lasciato solo. Abbiamo condiviso la stanza per qualche giorno, lui parlava poco ed era sempre a letto. Quando sono andati via, la mamma e il papà piangevano a dirotto, come se non volessero lasciare l'ospedale. Chissà perché, io non vedo l'ora di andarmene da qua! I dottori e le infermiere sono bravi con me (tranne quando vengono con l'ago e mi rubano il sangue), tutto sommato il cibo non è male anche se sento altri bambini lamentarsene, e mamma mi ha portato la mia raccolta di libri "Piccoli brividi" per farmi passare il tempo. Ma stare a casa è un'altra cosa, mi manca perfino la scuola e i miei amichetti. Qualche giorno fa è venuta a trovarmi la maestra Berenice, poi sono venuti anche Gigi e Mariano insieme ai loro genitori. Li ho sentiti dire ai figli di stare lontani da Gabriele, di salutarmi in fretta e andar via. Anche mia madre non voleva che mi avvicinassi a lui e anzi, ha litigato col primario del reparto perché voleva farmi cambiare stanza. Povero Gabriele, tutti volevano stargli alla larga. Forse avevano paura che gli mischiasse la febbre, vai a sapere.
Mamma dorme su una sedia a sdraio di fianco al mio letto. È tardo pomeriggio e tra poco verrà svegliata dall'arrivo delle cena. Scommetto che mi porteranno una ciotola di pastina, bastoncini di pesce, carote, un panino e una mela. Non hanno molta fantasia alla mensa ma è meglio di niente.
Tutta la mia famiglia è in pensiero per me, forse perché – prima che io nascessi – avevo un fratellino che non ho ancora conosciuto, che è stato in ospedale come me e che non è mai uscito. Non ho mai capito cosa volessero dire con quella frase. Chissà dov'è andato, forse è diventato un infermiere? Spero un giorno di conoscerlo.
Sento gli altri bambini gridare e fare baccano nella stanza dei giochi che sta di fronte alla mia. È un grosso stanzone in cui ci sono altalene, scivoli, libri da disegnare e persone vestite da clown. Ma io non posso andarci, perché lì c'è troppa polvere e non mi fa bene. Poi se gioco con gli altri bambini rischio di avere un "attacco d'asma", così lo chiamano i dottori quando non riesco più a respirare.
«Buonasera e buon appetito!» dice la cuoca con il camice bianco, lasciando il vassoio sopra il tavolino di fronte al letto. Mamma si sveglia e scatta in piedi dalla sedia.
«Tranquilla ma', è solo la cena» le dico e inizio a giocare col telecomando del letto. Alzo lo schienale, poi lo abbasso e lo rialzo di nuovo. E rido, fingendo di stare su una giostra o sullo scivolo nella stanza dei giochi, dove non mi è permesso andare.
Ho una gran fame, meglio mettere qualcosa sotto ai denti. Sento già il profumo dell'insipida pastina e la puzza di pesce. Più tardi mi metterò a leggere un libro dell'orrore mentre aspetterò il giro degli infermieri, proverò ad addormentarmi e un'altra giornata in ospedale passerà.
Stamattina i medici mi hanno detto che sto migliorando. Gli ho chiesto se potevo andare anch'io nella stanza dei giochi e loro hanno acconsentito. Mi hanno soltanto ricordato di non sudare troppo e di non affannarmi. Il posto è stato pulito e la polvere cattiva è stata cacciata via, e questo solo per me! Per permettermi di giocare con gli altri bambini e magari fare nuove conoscenze.
Ora sono lì, davanti alla porta di vetro della stanza e spio gli altri. Ho vergogna a entrare, ho passato così tanti giorni a immaginarmi lì dentro e ora ho paura a realizzare quel sogno. E se poi mi sento male? E se scopro che non è poi tanto divertente? E se non vengo accettato dagli altri? Ho paura.
Una donna vestita da clown si accorge di me e viene ad aprirmi.
«E tu che ci fai lì impalato!? Entra, dai!» dice, poi mi trascina di forza nella stanza.
È bellissimo qui! È come un vero paese dei balocchi! Il pavimento è fatto di gomma e ci sono piccole casette in cui giocare, scivoli, altalene e perfino una playstation!
So che non dovrei esagerare, ma mi sembra di essere vivo per la prima volta! Voglio fare tutto, non voglio perdermi niente. I bambini ridono e si rincorrono, altri disegnano sui fogli bianchi, seriosi e concentrati.
E così vado sullo scivolo, sull'altalena, rincorro e vengo rincorso, coloro e disegno, gioco alla playstation, ballo e canto insieme agli altri. E penso che per quanto sia rilassante leggere "Piccoli brividi" da solo, niente mi diverte come far parte di un gruppo, sentirmi accettato, normale, semplicemente stare insieme a qualcuno che condivide le stesse passioni.
Non voglio più essere malato, diverso, un po' come lo era Gabriele. Nessuno voleva stargli vicino, mentre io voglio essere accerchiato da persone che mi amano! E ridere e scherzare insieme a loro, mentre il sole arde in cielo e il venticello fresco mi smuove i ricci.
Qualcosa cambia, mi sento strano, mi allontano dal gruppo e vado a sedermi in un angolo.
Il sudore gocciola dalla fronte. Che cosa mi aveva raccomandato il medico?
Sento le forze venire a mancare e respirare si fa pesante. Nessuno si accorge che sto male, i bambini pensano a giocare e gli adulti gli stanno dietro. Cado a terra e il pavimento di gomma mi fa rimbalzare, la vista si fa sfocata e il respiro si blocca di colpo. Chiudo gli occhi.
Ho come la sensazione che ora conoscerò quel fratellino che è rimasto in ospedale e che non è mai tornato a casa.
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Asma allergica
Short Story"Il grembo materno" è una raccolta di racconti che snocciola i traumi e gli incubi d'un anima persa, che - attraverso l'autoterapia e l'accettazione del sé - intende ritrovarsi. Si tratta della mia prima pubblicazione, ed è acquistabile sul sito de...