CAPITOLO 17

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Invece di celebrare un felice matrimonio e unirsi alla splendida Nadâ, Osman fu costretto a partire per respingere l'attacco del fratello ed eliminarlo in modo esemplare, così come aveva fatto con i traditori. Chiunque doveva capire che non conveniva sfidare il terribile Osman e che sarebbe stato meglio averlo come amico e alleato piuttosto che come avversario.

Dopo aver affidato ad Ahmelek l'incarico di rimanere a palazzo ad occuparsi di tutto e soprattutto vegliare sulla sua futura sposa, a malincuore Osman si mise in viaggio. Anche stavolta portava al collo la collana di Nadâ, sperando che anche stavolta gli portasse fortuna.

Per sua sfortuna dopo un intero anno ancora la guerra non era terminata, e le sue truppe faticavano a contrastare gli avversari. In alcuni momenti il sultano fu tentato di tornare indietro e lasciare la situazione in mano a qualche visir. Ma ci teneva a distruggere personalmente Ali e farlo pentire di essersi messo contro di lui.

Durante l'anno trascorso il suo esercito era riuscito a vincere numerose battaglie, ma ne aveva perse altrettante. Erano riusciti ad impedire ai nemici di conquistare Adrianopoli, anche se gli avversari erano riusciti ad espugnare qualche città minore.

Inquieto per l'andamento della guerra, Osman si riunì con Mustafa, uno dei suoi visir più abili nelle strategie di guerra per decidere che tattica adottare per concludere finalmente il conflitto con una vittoria.

«Mio sultano, se mi permettete eviterei di agire in modo avventato. Le cose non stanno andando poi così male».

«Se continuiamo così, rischiamo che passi un altro anno senza concludere nulla!» sbottò Osman.

«Credo di sapere cosa fa al caso vostro» suggerì cautamente Mustafa. «Non molto lontano da qui c'è un piccolo villaggio, dove potreste concedervi qualche piccolo svago! È un posto sicuro e ci sono donne stupende. Io stesso ci sono stato e ne sono uscito ritemprato!».

«Non è questo ciò di cui ho bisogno! Dobbiamo vincere la guerra in fretta. È questa l'unica cosa che vi ho chiesto, ma evidentemente non siete in grado di farlo! Forse dovrei sostituirvi con qualcuno meno incapace!» urlò il sultano in preda alla furia cieca. Poi, prima di commettere qualcosa di cui si sarebbe pentito, lasciò la tenda dove si era riunito con il visir e si allontanò rapidamente per sfogare il nervosismo.

Ignorando i consigli saggi del visir decise di sfruttare il favore della notte per far avanzare le truppe e si accampò a breve distanza dai nemici, in una pianura protetta e nascosta da alberi fitti.

Il sultano trascorse una notte agitata, rimuginando in continuazione sul da farsi. Nonostante il parere di Mustafa, decise che il giorno seguente avrebbe fatto avanzare i suoi uomini verso il nemico, anche se questo li avrebbe esposti a maggiori rischi. Forse sarebbe stata una pessima idea, invece di rivedere al più presto la sua amata, rischiava di non vederla più. Ma era stanco di stare immobile, aveva bisogno di sbloccare la situazione.

Poco prima dell'alba finalmente Osman riuscì ad appisolarsi un po', anche se il suo sonno fu agitato da numerosi incubi nei quali non riusciva a tornare sano e salvo e rivedere Nadâ. Nei suoi sogni la donna trovava consolazione tra le braccia di altri uomini, in un incubo si trattava di Ahmelek, in un altro di Omar, in un altro ancora addirittura di Ali.

Il suo sonno agitato venne interrotto da una fredda lama che gli toccava la gola. Osman aprì gli occhi di colpo e vide davanti a sé i gelidi occhi di Ali che lo fissavano soddisfatto. Il suo primo istinto fu quello di pregare Allah perché vegliasse su Nadâ e la rendesse felice, facendola rimanere possibilmente nubile. La voleva felice, ma non fino a questo punto. Se non poteva averla lui, non doveva essere di nessuno. Avrebbe dovuto rimanere affezionata a lui per il resto dei suoi giorni e in futuro si sarebbero ricongiunti in paradiso.

La rugiada del desertoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora