Ed io urlavo così tanto, la mia anima sembrava fuoriuscire dal mio esile corpo e ciò che mi rimaneva era quella volontà di tornare nel mondo reale, nel mondo in cui io nascondevo la paura. In questi incubi, infatti, essa si faceva sentire più che mai, ed era come si sentisse libera, una libertà che può provare soltanto nei momenti come questi, perchè in vita non ha spazio, non ha tempo per presentarsi. E come la rabbia di una bestia provocata dal lungo periodo di prigionia in una gabbia, così la paura era nei miei confronti. Era pronta a farmi a pezzi, a lasciarmi nell'oblio dei miei lati più oscuri se solo avesse potuto, a farmi divorare da quei mostri che padroneggiano le mie più incognite oscurità, le mie piccole ombre che porto con me ogni giorno e che plasmo a mio piacimento,contenendole in una parte di me che nessuno vede.
Il dolore era straziante, era paragonabile ad avere una ferita aperta e il sangue colava via dal mio corpo, ma in realtà era qualcosa che faceva molto più male, perché era qualcosa di interiore e di irreparabile.
In questi incubi anche il tempo mi sorrideva e si prendeva gioco di me, infatti, esso sembrava infinito, pareva scandire quel dolore ogni secondo in ogni variazione di intensità. Ma ciò che cambiò quel mio moto di inerzia, fu una voce. Una voce chiara, limpida, pura in un mondo in cui la chiarezza, limpidezza, e la purezza sono quasi un' utopia. Tale voce riecheggiava così tanto che sembrava mi stesse invogliando a seguirla, a trovare una sorta di via di uscita.
E come Orfeo ambiva sulla sua pelle l'amore di Euridice, tale da scendere nell'inferno per poterla salvare, io ero innamorato del mio vero me, e del mondo che tanto mi aspettava, pertanto seguii quella voce, dolorante e privo di qualsiasi forza vitale.
Man mano che camminavo, essa si faceva sempre più suadente e ai miei lati si stagliavano statue che sembravano avere vita, che parevano fissarmi. Queste erano messe in fila, ognuna rappresentava qualcosa di diverso. Dalla gioia, alla pura felicità, dall'affetto all'amore, dal dolore, all'assoluta angoscia. Alcune rappresentavano uomini soccombere, altri sembravano prendersi gioco di qualcosa e altri ancora guardare questo qualcosa con disprezzo. Quando mi resi conto che l'oggetto di tali azioni era una statua posta al centro, accerchiata dalle altre, molto più complessa, imponente e importante, mi avvicinai. Un angelo caduto soffriva e attorno a sè aveva un denso strato di nebbia, come se volesse oscurare il suo modo di essere, la sua paura. In basso vi era un'iscrizione, che sembrava essere incisa da molto tempo: "Vivere nascosti".
Allora un rumore improvviso, mi fece sobbalzare, le statue iniziarono, come delle carte, a cadere l'una sull'altra e a frantumarsi. Sembravano avere un'unica meta: Me.
Iniziai a correre, una corsa affannata come se qualcuno stesse tentando di uccidermi. Mi voltai e una nebbia aveva preso posto di quelle statue, e questa sembrava fosse alla mia ricerca. Più correvo e più essa sembrava andare veloce, più affamata della mia volontà di opprimere la paura, la cercava, la desiderava, l'avrebbe ottenuta e, per questo, mi arresi.
Caddi a terra e in pochi secondi fui avvolto da quella nebbia di un colore più scuro, quasi nero. Questa mi era entrata nel corpo e non riuscivo a respirare, ero all'interno di un vortice che ruotava in molteplici sensi, come se essa stesse festeggiando. Quando iniziai a chiudere gli occhi e in lontananza notai quella statua con le ali spiegate e quel me con gli occhi lucenti che si prendeva gioco di me.
Non riuscii a fare altro che soccombere.
Al posto del sangue nelle mie vene scorreva una nuova sostanza, un qualcosa che un essere vivente non poteva avere, e la cosa strana, era che sentivo tutto. Quel lento fluire nel mio corpo mi faceva prendere sempre di più la consapevolezza che ciò che si celava nel mio piccolo abisso doveva risorgere e rivelarsi a tutti. E come uno schiavo è soggetto ad un padrone, io ero soggiogato dalla parte più intima di me.
La paura iniziò ad assalirmi, e per la prima volta, non tentai di nasconderla perchè era molto più forte di me e della mia volontà di renderla debole e la nebbia, che mi circondava, iniziò a formare delle catene di ombre ed io ero ancora di più intrappolato a terra.
Ed ecco che venivo trafitto, ancora, da quella voce, che come una spada cercava invano di invocarmi, per approdare in un mondo a cui mai sarei riuscito ad arrivare.
Ero a pezzi e
Tentavo di respirare, respirare, respirare.
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Il mio piccolo inferno
RandomEd ecco a voi il mio inferno, quello che io di più temo. Un viaggio tra quegli incubi che mi tormentano, mi rendono debole e frantumano la mia anima.