7. Begegnung - incontro

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Portare me ad una festa, a Berlino, nel millenovecentoquarantadue?

E come dovrei presentarmi... con i miei shorts di jeans e le scarpe da ginnastica? Non era previsto che dovessi restare tanto a lungo, quindi l'idea di imbucarmi ad un evento mondano non mi pare proprio allettante, anche perché, di certo, non passerei inosservata. 

Non oso immaginare cosa accadrebbe se dovessi ritrovarmi nella stessa situazione di oggi pomeriggio, ma in un covo di nazisti, dove nessuno potrebbe permettersi il lusso di difendermi. 

«Lo prendo per un no?» La sua voce squillante mi riporta gradualmente in questa stanza. 

Già prima mi perdevo nei miei pensieri, figuriamoci adesso che sono "incastrata" in quest'epoca. Che poi, proprio nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale dovevo essere rigettata? Ho capito che la TV stava mandando in onda un film di guerra, però avrei preferito mille volte approdare in un altro periodo; il Rinascimento, ad esempio. Almeno avrei avuto l'occasione di conoscere Raffaello, Michelangelo... Qui, male che mi vada, incrocerò i brutti baffetti di Hitler. 

«Ho detto qualcosa di male?» 

«No, è che non posso venire.» Rispondo, sospirando. «Ti ringrazio per l'offerta, ma non credo sia opportuno.» 

«E perché?» 

Ti prego, non guardarmi così, Fried; mi fai sentire una persona orribile. 

«Come perché? Guardami, dai! Sono impresentabile. Ci vorrebbe un miracolo per trasformarmi in una bambolina tedesca, per non parlare di questa!» Alzo leggermente la maglietta, così da fargli notare la cintura con la bandiera inglese.

Lui mi guarda divertito e capisco di avere di nuovo quell'espressione infantile stampata sul volto.
Di grazia, come faccio a farmi prendere sul serio?

Sbuffo frustrata, sprofondando nel morbido materasso. Friederick si siede accanto a me, attorcigliando tra le dita un ricciolino castano.

«Non voglio nascondere a nessuno il fatto che tu sia italiana; non è mica una vergogna, sai?» Sussurra, accennando un tenero sorriso. Io mi tiro su con i gomiti e lo guardo stupita. «Puoi vestirti come vuoi, cintura esclusa.» 

A primo acchito, non mi era sembrato un ragazzo petulante, eppure proprio questo suo insistere mi fa capire quel che sarebbe disposto a fare pur di trascinarmi a quella festa. 

«Basterà qualche piccolo accorgimento e sarai perfetta e, se qualcuno dovesse importunarti, ci penserò io. Non temo nulla, a parte che venga fatto del male a te, come lo è stato fatto a me.» 

Ci siamo conosciuti solo poche ore fa e lui già mi promette mari e monti, proclamandosi il mio "angelo custode".

Non vorrei che questa gentilezza gli costasse cara, ma non intendo neppure deluderlo; ci tiene così tanto, che mi pare una crudeltà non accontentarlo. 

«Va bene, hai vinto.» 

Vedere quegli occhioni celesti illuminarsi è davvero impagabile e non mi fa affatto pentire della mia decisione. Sono belli e limpidi, come il cielo di Berlino e, questa mia concessione, gli ha dato la carica per ridere e comportarsi come un qualunque ragazzo della sua età. 

«Che aspettiamo allora? Prepariamoci.» Lo invito, stiracchiando le labbra all'insù.

Lui mi conduce in una stanzetta adiacente a quella in cui ci trovavamo, adibita a cabina armadio. Le pareti sono completamente bianche e dalla piccola finestrella ovale penetra una fioca luce color arancio: la vista che offre, del sole che tramonta sulla città, è a dir poco suggestiva. 

Unsere Schatten - Le nostre ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora