24. LA FEDE DI FILADELFIA

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Urlò nuovamente il suo nome. Ancora e ancora. In quell'urlo stridulo, solo il gusto amaro di un addio e la consapevolezza di non poter vedere più il suo sorriso e quegli occhi verdi.

Joshua era diventato solo un nome.

«Gesù...» pronunciò, mentre una lacrima lambì le sue labbra; una preghiera, in ginocchio, quando l'angoscia picchiava la speranza, cercando di convincerla che non ci sarebbe stato più nulla da fare.

Tuttavia il cuore attese, ugualmente.

Fissò l'ingresso ai sotterranei che aveva risalito, con gli occhi che bruciavano per la polvere e il pianto. Poi, una figura scura occupò la sua visuale. L'ombra di un uomo che, in ginocchio si avvicinava verso di lei, strofinando le ginocchia tra i vetri; quell'ombra a cui non riusciva a dare un volto - tanto era offuscata la sua mente- era Nathan.

Lei con lo sguardo perso nel vuoto non si accorse di nulla. Con le braccia lungo ai fianchi e le mani tremanti, completamente impolverato e scosso, appena di fronte a lei, Nathan tese una mano per farle una carezza, ma la ritrasse, subito dopo.

Di fronte a lui non c'era più la giovane e coraggiosa Ariel, ma una foglia secca, che un soffio lascia volare via dal suo ramo. Lo sguardo di una bambina impaurita dalla notte e, in quegli occhi grandi vide quelli di sua figlia e quell'impeto paterno lo destabilizzò.

Si chinò su di lei, affidando alle braccia il compito di sorreggere un'anima sfregiata da una terribile una lotta tra la speranza e la voglia di morire alla disperazione. L'abbracciò, portando il suo capo al petto. Avrebbe voluto ingoiare quel calice amaro da solo, ma, al solo pensiero che Simon l'aspettava dietro il cancello di Filadelfia, lasciò andare le forze per abbandonarsi al pianto. Nella sua mente solo parole per la Madre che non si stanca di avere fede:

"Quanta fede hai, Filadelfia?

Quante lacrime hai gettato per i tuoi figli rapiti?

E il tuo custode, come un Padre

cura i tuoi piccoli,

li annaffia,

li nutre,

anche se li vedrà strappati dalle mani del male,

per poi continuare a sperare con nuove nascite,

per farti essere di nuovo amore

di nuovo Madre."


Pensò a Caleb, alle indagini, ai blocchi burocratici, ai pugni sui tavoli dei servizi sociali imbavagliati dai ceti alti dei Lucifer.

Non poteva essere successo di nuovo!

Lacrime copiose bagnarono il volto del Ministro, incapace di proferire suono. Era arrivato tardi, di nuovo e, questa volta, non c'era perdono: né da parte di Simon, né da parte della Chiesa di Filadelfia; il primo a non poter perdonare era proprio colui che l'avrebbe guardato ogni mattina allo specchio.

Le labbra strette ai denti, la fronte corrugata in un'espressione di dolore e i denti serrati non riuscirono a trattenere i fiumi che, incontrollati, corsero fino al mento barbuto. Poi, con una certa urgenza, decise di alzarsi e far uscire la ragazza da quell'inferno.

Fece leva sulle ginocchia per alzarla e portarla via prima che potesse succedere un'altra tragedia. La prese dalle braccia, ma alla sua resistenza dovette esercitare una certa forza per riuscire a trascinarla con sé, senza però farle del male.

«Non è morto! Nathan, non è morto! Dobbiamo andare... Dobbiamo...» piangeva lei, con voce spezzata, mentre affondava le unghie nel braccio del ministro per convincerlo a tornare indietro. Quei graffi non erano niente in confronto a quel che avrebbe dovuto affrontare di lì a poco e, con voce autorevole «Basta, Ariel!» le urlò in viso, stringendo le sue braccia esili e pallide.

Ariel lo osservò intensamente, a labbra schiuse: gli occhi venati di rosso e gonfi, le labbra strette nascoste sotto la barba sfatta, il naso arrossato...

Il forte e irreprensibile Ministro di Simon...Pensò, al sentore di un macigno sul petto, quasi come se avesse potuto leggere in quegli occhi neri il libro delle angosce di un uomo che fa di tutto per essere forte, per gli altri e mai per se stesso. «È ora di andare...» le sussurrò, abbozzando un sorriso.

Si drizzò e la aiutò a percorrere quell'ambiente reso sinistro dalla poca luce che si incanalava tra le fessure delle serrande rotte; in quel caos polveroso, notò un movimento tra le macerie e i cumuli di intonaco. Probabilmente, Acab e il ragazzo del bar erano rimasti intrappolati lì.

Si mosse cauto, spostando con i piedi pezzi di tavole di legno. Dei tonfi alla porta di ingresso, la cui uscita era bloccata da parte del soffitto caduto proprio di fronte all'uscio, suggerirono a Nathan l'impegno del suo collaboratore nel far di tutto per liberare il passaggio.

«Signore!» urlò la voce distante dell'agente. «Siete vivi?!»

«Sì!»

«Ci sono feriti, Signore?»

Nathan roteò il capo verso l'ammasso di calcinacci e intonaco e, sentendo un rantolo, si accovacciò sulle ginocchia iniziando a levare gran parte di materiale. Ariel se ne stava immobile con gli occhi persi nel vuoto come assente e indifferente a tutto quel stava accadendo, stringendo le braccia al petto.

Quando Nathan scorse i capelli neri di Acab, iniziò a ringraziare Dio; in fondo, quel povero ragazzo aveva fatto di tutto per salvarli. «Sì!» rispose al collega. «Ma non in gravi condizioni. Me ne occupo io!»

Tirò su il giovane, avvolgendogli le braccia al petto da dietro la schiena; nel farlo, Acab avvertì una pressione nel torace che lo indusse a tossire residui di polvere. Nathan lo aiutò a sedersi sul pavimento e quando Acab alzò il capo fissò lo sguardo su Ariel per poi rivolgersi a Nathan: «Avresti dovuto lasciarmi lì.»

Nathan mosso da un leggero senso di pietà fece un mezzo sorriso. «Cosa ti avevo detto in merito al dar fiato alla bocca?»

Quello girò il capo impolverato verso di lui, e aggrottando le sopracciglia cercò di sostenere quello sguardo misericordioso con uno di disapprovazione, ma, dopo un paio di secondi, dovette rivolgere gli occhi ai suoi jeans neri strappati e pieni di aloni grigiastri.

Nathan si voltò indietro e si impegnò a spostare con le mani altro materiale, ma del giovane barman nemmeno l'ombra.

«Chi era quel ragazzo? Lo conoscevi?» Gli chiese con voce paterna.

Acab lo guardò un istante, per poi alzare gli occhi lucidi al soffitto, fortemente provato.

«È uno degli ultimi acquisti di Judas.»

«Acquisti?» domandò l'altro, inarcando un sopracciglio.

Lui lo fissò quasi contrariato da quel tono sarcastico.

«Come se tu non sapessi che noi abbiamo il controllo del traffico di organi e di esseri umani.»

«E come mai è scomparso?»

«Sarà stato già iniziato ai nostri poteri...»

Si accorse troppo tardi di aver sputato via dalla sua bocca tutto ciò che sapeva senza alcuna remora. Si morse la lingua tra i molari, sbarrando gli occhi increduli prima di rivolgerli a Nathan.

«Bene. Non credevo potesse uscire così facilmente una cosa del genere dalla tua bocca» gli sorrise soddisfatto, dopo una pacca sulla spalla. «Mi hai colpito!»

Acab fece per alzarsi, quasi a voler scappare dalla prima persona che aveva avuto la capacità di indurlo a dire la verità, ma non appena puntellò le mani al suolo, ricadde all'indietro, preda di un capogiro improvviso.

Alla fine, con un ultimo colpo di spalla ben assestato, il collega di Nathan si guadagnò gli occhi spauriti dei tre presenti. 

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