Capitolo 6. L'eterno indeciso

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«Oh mio Dio, Charles Leclerc pende come la torre di Pisa», disse Margherita abbassandosi gli occhiali da sole sul naso, così da poter osservare meglio la scena che aveva di fronte.

«Che intendi?» chiesi. A differenza sua feci di tutto per non guardare quello che stava succedendo: erano solo le dieci del mattino, non volevo rimettere la colazione. O peggio, compiere un massacro facendo un uso improprio della limetta per le unghie che la mia amica aveva appoggiato sul tavolino posto tra le due sdraio.

«Intendo che a Charles piace di più il cazzo», mi spiegò. Oh, ma dai? «Ma come fa a non darti fastidio?», aggiunse subito dopo ed io alzai le spalle, in un gesto che avrebbe dovuto descrivere il mio totale disinteresse. Invece, mi interessava eccome! 

Charles aveva trovato un passatempo migliore di me. Perché questo mi aveva preso alla sprovvista? Davvero avevo pensato che volesse me, perché ero io? Ero stato stupido, ma mi dicevo che sarei stato ancora più stupido se gli avessi dato ancora il culo. O no?  

Comunque non aveva più senso continuare a cercare risposte a tutte quelle domande, perché mi bastava guardare davanti a me per trovarle tutte. 

«Dio, quanto lo odio!» bisbigliò Margherita, incrociando le braccia al petto. Si stava riferendo a suo cugino Cesare. E pure io lo odiavo in quel momento, ma per ragioni diverse dalle sue. Margherita non lo sopportava perché cercava sempre di rubarle la scena, io perché mi stava rubando gli sguardi che Charles era solito buttarmi, pensando che non lo notassi. 

Era arrivato qualche giorno prima, allo stesso di Charles, senza alcun preavviso. E ironia della sorte, appena si sono adocchiati, qualcosa è scattato in entrambi. Questo ve lo posso assicurare, perché ero presente ma non credo loro se ne siano accorti.

In quel momento Cesare era seduto in piscina, con le gambe a penzoloni in acqua e una mano tra i capelli di Charles, che invece era appoggiato contro il bordo.

L'arrivo di Cesare aveva riportato il nostro rapporto a come era prima che finissimo a letto: un alternarsi continuo di indifferenza e battutine taglienti. E non c'era più nemmeno l'ombra di quella notte che avevamo passato insieme. 

«Vado a prendere da bere, vuoi qualcosa?» chiesi e la mia amica fece cenno di no. Quindi mi alzai, lasciando il libro che stavo leggendo sulla sdraio e andando verso la porta d'ingresso a vetrata. Nel farlo passai di fianco ai due, lasciando involontariamente un'occhiata a Charles, che ricambiò.

«Ehi», mi sentii richiamare improvvisamente, ritrovandomelo davanti, non appena chiusi il frigo. Trasalii, portandomi una mano al petto e sentendomi il cuore andare a mille.

«Devi smetterla di nasconderti dietro le porte del frigo!» dissi e lui rise, seguendomi con lo sguardo mentre mi appoggiavo all'isola posta in mezzo alla cucina. Aveva la pelle del petto completamente costernata da goccioline. E che cazzo di petto che aveva...

«Smettila di guardarmi», mi rimproverò ed io scrollai la testa.

«Non ti sto guardando».

«No, in effetti non mi stai guardando. Mi stai letteralmente mangiando con gli occhi». Sentendo le sue parole alzai gli occhi al cielo, sfoggiando un'espressione seccata.   «Oggi pomeriggio vieni in palestra con me?» chiese subito dopo. La domanda mi confuse; non andavamo più in palestra insieme da almeno una settimana. Cosa lo spingeva a pensare che avessi voglia di andarci?

«Credimi, dare due pugni al sacco ti farà bene», disse. «Sei un po' troppo stressato ultimamente...ammetto di conoscere altri modi per far alleviare la tensione...però-».

«Okay, per le quattro. Non fare tardi, altrimenti me ne vado a fare altro!» tagliai corto io, uscendo dalla cucina a grandi passi e rendendomi conto di aver dimenticato di prendere l'acqua solo quando ormai ero nell'atrio.

Serendipity in Love || Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora