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Aveva trascorso un'intera mattinata e anche gran parte di quell'assolato pomeriggio cercando di ripercorrere ogni frase di una conversazione immaginaria che lei stessa aveva deciso di ricreare nella sua testa. Un discorso il suo, scaturito solo dal folle tentativo di provare a prevedere uno, due, tre possibili scenari di come Jungkook avrebbe potuto reagire nel ritrovarla nuovamente davanti all'ingresso del Black Ink.

La soluzione più semplice sarebbe sicuramente stata quella di rimanere in totale silenzio e non rispondere ad alcuna provocazione, se mai ce ne fosse stata qualcuna. E se lui non le avesse rivolto nemmeno uno sguardo o un cenno di saluto? Se ci fosse stato nuovamente Yoongi ad attenderli all'ingresso? E se Taehyung avesse tentato qualcosa di avventato?

Si sedette sul bordo del propria scrivania, portandosi entrambe le mani contro la fronte corrucciata: troppe erano le variabili in gioco per poterle controllare tutte. Per questo motivo Jieun si convinse che la cosa migliore che potesse fare era comportarsi come se stesse andando sulla scena di un delitto: sarebbe rimasta impassibile e professionale, come del resto era consono alla sua figura. Non ci sarebbero stati tentennamenti da parte sua, nemmeno un battito di ciglia o un respiro di troppo.

O almeno questi erano stati i suoi intenti fino a quando, una volta scesa dall'auto di Taehyung, la giovane Jieun non si era ritrovata a ripercorrere ancora una volta quella stretta scalinata che portava davanti ad una insegna a neon non ancora illuminata, ma dal nome inconfondibile.

Lasciò che Taehyung fosse il primo ad entrare, facendogli cenno di procedere davanti a lei ignorando le consuetudini volute dal manuale di cavalleria, seguendolo solo dopo essersi assicurata di aver lasciato tutti i suoi timori fuori da quella porta. E fortunatamente per lei, l'atmosfera all'interno di quello studio sembrava essere molto diversa da come lo aveva lasciato l'ultima volta. A fare da tappeto musicale all'interno dello studio, oltre al rumore incessante delle macchine per i tatuaggi che si percepiva in lontananza, quell'assolato pomeriggio vi era anche un leggero sottofondo di musica classica per pianoforte, una scelta sicuramente voluta da Yoongi che però, per buona sorte di Jieun, quel giorno non sembrava essere di turno nella piccola hall del negozio.

Si avvicinò così alla scrivania, schiarendosi prima un poco la voce e premendo poi un piccolo pulsante a forma di campanella per cercare di catturare l'attenzione di chiunque fosse disponibile a rispondere alle richieste che lei e Taehyung avrebbero avanzato.

— Stai a vedere che ho dimenticato qualche cliente oggi, Jungkook mi ammazzerà, —

Poco dopo, da uno degli studi dietro quel bancone uscì borbottando un ragazzo dai capelli biondissimi. Un angelo, si ritrovò a pensare col sorriso Jieun, non potendo fare a meno di notare quanto, nonostante il tempo trascorso e la sua professione, sulle parti scoperte del suo corpo non vi fosse neanche una punta di inchiostro nero.

— Jimin! —

— Jieun?! Santo cielo vieni qui! —

Park Jimin era un ragazzo nato e cresciuto nel suo stesso quartiere, uno dei famosi "compagni di merende e nascondino" della compagnia di Jungkook e, quindi, anche della sua. Jimin era un ragazzo estremamente talentuoso che, fin da giovanissimo, aveva consacrato la propria vita all'arte. Mentre Jungkook e Namjoon avrebbero potuto rimanere per ore davanti alla televisione a completare missioni e partite ai videogiochi che più li appassionavano, Jieun preferiva stare in compagnia di Jimin che, spesso e volentieri, la invitava ad ascoltare insieme a lui l'ultima cassetta che era riuscito a comprarsi con la paghetta settimanale sul suo vecchio walkman o, quando possibile, la invitava ad ascoltare qualche affascinante programma alla radio o ballare sulle note di qualche canzone particolarmente accattivante.

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