Prologo

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Se è destinato a stare nella tua vita, nulla potrà mai farlo andare via.
Se non lo è, nulla al mondo potrà mai farlo rimanere.
(Lang Leav)

Non sapeva da quando era lì, forse secondi, minuti, oppure ore. I suoi occhi rossi bruciavano, uno di loro lo sentiva pulsare dolorosamente, ma prima di andarsene per sempre, facendo perdere le sue tracce e scappare dalla condanna che già gli pesava sulle spalle, doveva chiedere scusa, nonostante non potesse più sentirlo, né guardalo, né perdonarlo e neppure respingere il suo dispiacere.

Da un ramo d'albero, una civetta bianca lo stava fissando, probabilmente anche lei provava per lui un senso di disprezzo e repulsione. La ignorò, ignorando anche il suo breve canto, che sentì lontano da se dopo pochi minuti.

Puntò nuovamente lo sguardo sul corpo inerme, bagnato dalla pioggia incessante che si abbatteva sulla vincente Hogwarts.

Quegli occhi lo fissavano, vuoti, per sempre immutabili. Lo punivano dall'interno, fino a squarciargli la coscienza e le membra. Molti lo chiamavano senso di colpa, un sentimento che non l'aveva accompagnato spesso durante la sua breve vita, ma in quel momento gli stringeva la mano e lo pugnalava all'infinito, recuperando tutto il tempo perso. Ipotizzava non se non sarebbe mai andato, accompagnandolo come un amico fedele fino alla propria morte, come la visione degli occhi spenti di vitalità che ancora si accingeva a guardare.
Distolse i suoi solo quando una mano tremante, amica, le abbassò le palpebre, togliendogli almeno per un istante la visione dell'esempio di quanto la sua vita fosse solo un opportunità mancata, una presa in giro che egli stesso aveva creato.
Gli occhi, nonostante le palpebre abbassate, continuarono a fissarlo, ne era certo come la certezza di essere un emerito idiota. Se ne era reso conto tardi, non poteva più rimediare, e si pentì con l'universo di ogni sua azione, come un condannato a morte che cammina verso il patibolo. Il patibolo sarebbe stata la sua vita futura, un eterno soffocamento che non l'avrebbe mai portato all'esalazione dell'ultimo respiro, ma a un dolore incessante.
Si pentì di non essere chi aveva criticato anno dopo anno, ma era quel che era, con i suoi ideali, i modi di agire e i pensieri che ammirava nonostante ad accompagnarli vi fosse incessantemente la vigliaccheria e l'amor proprio.

Era consapevole di essere ormai in stato di shock, non si sorprese quando tornando a guardare il viso fine del cadavere, trovò gli occhi nuovamente aperti, a fissarlo.
Sembravano vivi, attenti, reali.

Stropicciò i propri con i pugni delle mani, quando ritornò con lo sguardo sul quel viso, erano ritornati chiusi, come se nulla fosse accaduto. Si allontanò dall'albero, le gambe gli tremavano, ma si trascinò fino al suo capezzale, perché delle scuse le meritava, nonostante non fosse niente per lui, se non una delle tante piaghe della sua vita, una persona di passaggio che non aveva in alcun modo segnato il suo animo.

"Mi dispiace..." sussurrò, chiudendo gli occhi e reprimendo le lacrime che insistevano ad uscire. Strinse le labbra tremanti, i pugni che stringevano il terreno. Sulla sua coscienza ormai non aveva trovato posto soltanto quel viso, ma innumerevoli altre persone, e mentre si strugeva dal dolore, inginocchiato, sconfitto di fronte alla vita, ignorava il fatto di non essere l'unico che provava senso di impotenza, senso di colpa e un dolore che poteva appartenere solo ad un cuore distrutto, che era stato egli stesso a distruggere con le proprie mani.

In piedi, di fronte quella scena pietosa, di quel corpo inerme a terra e di quel ragazzo abbassato su di lui, vide il frutto del suo egoismo. Egli stesso aveva provato a rimediare, ma si era sempre più convinto che forse se il destino avesse seguito il suo corso, sarebbe stato meglio per tutti.

Cambiare gli eventi, modificare il destino, tagliando alcune strade e tessendo altri tasselli, sarebbe servito unicamente a ricondurre il filo in un'unica direzione: la morte. E non ci sarebbe stata soluzione, perché probabilmente quell'evento davanti ai suoi occhi stava accadendo per un motivo, per un problema che avrebbe risolto qualcosa nel futuro, ma non si fece prendere dai pensieri. Cacciò dalla propria tasca un boccino d'argento, fece un passo, poi altri, fino a ritrovarsi di fronte al ragazzo. Quando lo guardò, lesse nel suo sguardo il solito disgusto, ma il dispiacere non potè sopportarlo.

Gli porse il boccino, la mano tremava leggermente. Non si fece scomporre dallo sguardo stranito del ragazzo. "Mi dispiace." esalò, con un groppo in gola, porgendo uno scrigno con l'altra mano. Non sarebbe stato in grado di spiegare e né aveva voglia di farlo. Provava un misto di rabbia, disprezzo, senso di colpa e un pizzico di speranza che avrebbe affidato nelle mani di qualcun altro. Sperò solo di aver fatto la cosa giusta, per una persona che sarebbe diventata, di nuovo, solo e unicamente un'amica.

Si allontanò a passo svelto, lasciandosi alle spalle gli occhi spalancati del ragazzo che ancora lo fissavano più allucinati che mai, per quel dispiacere che non solo era rivolto al corpo inerme, ma anche alla sua persona.

"Hai voglia di scherzare anche in situazioni del genere?" disse, alzandosi in piedi, gettando a terra sia quell'aggeggio sia quell'inutile boccino "Che dovrei farmene di questa robaccia..." si bloccò, osservando sconcertato gli oggetti sparsi sul terreno bagnato. Il sigillo dell'aggeggio si era spezzato, mettendo a bella vista un tripudio di... Materiale senza alcun valore.

"Se fossi in te non la chiamerai robaccia." fu l'ultima cosa che disse, prima di scomparire dalla sua vista, così come era arrivato.

Spazio autrice

Salve! Come state? Spero bene.
Sì, è un'altra dramione, un'altra avventura. La prefazione non dà molte spiegazioni, anzi, è volta a creare più punti di domanda che altro. Se volete, fatemi sapere tramite un commento cosa ne pensate e per chi volesse seguirmi, sarebbe un piacere.
Un bacio❤️🌼

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