24. La Fede di Filadelfia Pt. III

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Acab batté la testa all'indietro con pugni serrati sulle ginocchia.

Si ritrovò a pensare a quel giovane barman e al motivo che l'aveva spinto a far esplodere i sotterranei senza che ci fosse stato alcun ordine dall'alto.

Sicuramente gli era sfuggito qualche dettaglio. L'esplosione doveva esserci solo nel caso in cui fosse arrivato arrivato il comando di Judas in persona e -da quel che ne sapeva - doveva avvenire solo in un caso: nascondere le prove dei loro poteri occulti. 

Dopo tutto, quei sotterranei erano fin troppo importanti...Come faceva quel ragazzino a sapere già tutto?

Solo Acab, sua sorella e Judas conoscevano quel piano.

Una fitta alle tempie gli fece digrignare i denti e portare due dita nel punto in cui il dolore sembrò trapassare le ossa del cranio.

Troppe domande, eh?

Sapeva di essere ancora sotto l'occhio onniveggente del suo padrone.

Ariel, dall'altra parte dell'abitacolo, alla vista del Lungomare, volle sporgersi oltre il finestrino  abbassato, ricordando quando l'aveva attraversato forte e fiera, con l'abito che, in quel momento, appariva come un unico pezzo di stoffa strappata in più punti. Mise la testa fuori e inalò l'aria salmastra lasciando che i capelli le coprissero la vista di tanto in tanto; il vento, però, non gli permise di gustare appieno quella sensazione di libertà che avvertiva contemplando il cielo che pareva sfiorare il mare all'orizzonte. 

L'azzurro stava scurendosi di nuvole grigie. Una brezza fresca e prepotente la infastidì, provocandole brividi in tutto il corpo: il tempo passato al gelo di quelle carceri l'aveva resa intollerante ad ogni soffio di vento e avida di calore.

D'un tratto, si ritrovò a riflettere su quanto quel movimento d'aria non sembrasse affatto l'insolito alito che preannuncia il temporale di una giornata estiva.

Raggi d'oro s'incanalavano tra le nubi e nonostante il sole fosse alto, le parve di trovarsi nel periodo dell'inizio delle scuole: il traffico dell'ora di punta, i ragazzi con lo zaino in spalla, le mamme mano per mano con i loro bambini...

«Nathan...» lo chiamò, con voce sofferente.

«Dimmi, Ariel.» fissando lo specchietto retrovisore per incontrare il suo sguardo.

«Che giorno è oggi?» la fronte aggrottata in un'espressione incerta.

«Sabato...» le rispose quasi fosse ovvio, ma - evidentemente - per Ariel non lo era. 

«No, vorrei sapere la data di oggi...» Un presentimento, ecco cos'era.

Il capo riccioluto di Nathan fu visibile oltre il sedile anteriore e gli occhi neri la guardarono attenti. «Oggi è il sette ottobre.» 

Lei ispirò, lasciandosi in apnea per qualche secondo. «Starai pensando a tua madre, immagino...Tranquilla, lei non sa quello che sappiamo noi. Abbiamo tentato di non farla preoccupare troppo...»

Nathan continuava a parlare, rivolto verso il parabrezza, ma Ariel era come se avesse perso l'udito dopo aver sentito che - invece di tre giorni- in quelle prigioni erano trascorsi tre mesi.

Non è possibile...

Sbarrò gli occhi e si fissò le ginocchia nude, cosparse di lividi e di tagli, tirando la stoffa del suo abito a coprirsi per quanto poteva.

Si ricordò che a ottobre sarebbero iniziate le lezioni universitarie; pensò alla madre, sola, a chilometri di distanza da lei.

Un senso di vuoto la risucchiò in un oblio tenebroso e claustrofobico, dove l'unica luce, l'unico alito di vita era rappresentato dall'immagine di Simon e della Chiesa di Filadelfia. Il respiro accelerato.

Acab, che aveva notato il mutamento nel suo sguardo, le si avvicinò e, andando contro il suo orgoglio ferito, continuò a mostrarle la sua vicinanza. Con un gesto delicato della mano le scostò i capelli dal viso per sistemarglieli dietro l'orecchio. 

Nel farlo, le sue dita sfiorarono la sua guancia fredda. In quel tocco, delicato e semplice, Ariel avvertì una morsa nel petto. La rabbia, la delusione e la tristezza non avevano alzato alcun muro tra lei e Acab. 

Oppure, quel muro si era alzato, ma era stato abbattuto da un semplice gesto premuroso.

"Ricordati Ariel: chi ama si muove sempre per primo."

In un flashback la voce di Simon le ricordò quale fosse la fede di Filadelfia: amare gli altri come Gesù Cristo ha amato il mondo. 

Le aveva parlato di Nathan e sua moglie Miriam, di quanto i due facessero a gara nel fare del bene ai bisognosi di Filadelfia, il giorno di San Valentino. "Per la nostra realtà è ogni giorno San Valentino!" aveva esclamato in un largo sorriso. "Il giorno dell'amore è ogni giorno per noi e, per questo, loro lo passano qui, con coloro che non sanno cosa voglia dire essere amati"

L'aveva guardata come un padre, o almeno credeva fosse quello lo sguardo che un uomo rivolge alla figlia, perché in quegli occhi si era sentita accolta, compresa, protetta. A casa. Più di quanto si fosse mai sentita con sua madre. Quella mancanza assordante del padre era stata in un attimo colmata da Simon.

Così, travolta da quel ricordo, rivolse ad Acab occhi lucidi e impauriti. «Vuoi che ci fermiamo?» le propose con voce carezzevole. 

Lei annuì un paio di volte, in maniera nervosa; quella mano, precedentemente rifiutata, posta sulla sua spalla sinistra era stranamente calda e... consistente. Istintivamente, poggiò il palmo su quella mano; l'altro le si avvicinò di più, con il busto rivolto verso di lei. 

 Quell'arto gelido e se lo portò tra le sue mani, riscaldandolo, custodendolo.


Dopo che Acab ebbe avvertito Nathan del malessere di Ariel, la macchina accostò, fermandosi sul punto del Lungomare in cui si poteva notare l'insegna del Lido dei Lucifer: una stella dalla punta capovolta con su scritto "Dark Lithium" a caratteri eleganti e del colore del sangue, su uno sfondo bianco.

Non appena l'auto si fermò, Ariel, senza pensare al fatto che fosse quasi svestita, corse a piedi nudi sul pavimento del Lungomare, verso il parapetto. Si sporse, preda di una violenta oppressione al petto, con il solo desiderio di affidare al vento la sua sofferenza. Quando gli occhi andarono in direzione del Lido, ebbe la conferma di essere stata catapultata nel mese in cui - un anno prima - aveva avuto la possibilità di conoscere Joshua.

Il Dark Lithium aveva chiuso i battenti per la stagione autunnale.

Nathan le si affiancò col fiatone, convinto che la ragazza avesse deciso di farla finita.

«Ariel ...» prese fiato «Che succede?» una mano sul cuore.

«Non possono essere passati tre mesi esatti, Nathan.»

Gli occhi stretti, le mani nei fianchi e in un sospiro il ministro cercò di mettere insieme qualche parola che potesse spiegare quel che le era successo.

In pochi secondi gli passarono davanti le pagine di libri di psicologia e lo studio di suo padre sui profili psicologici delle vittime di quel genere di violenza, ma il suo cuore emise solo poche e semplici parole: «A Dio appartiene il tempo.»

Ariel lo guardò stringendo le braccia al petto, con i capelli che sferzavano sulla pelle nuda. Il volto corrucciato: «Nathan, io ho passato solo tre giorni in quel luogo. Ne sono sicura! E vuoi sapere perché?» gli si avvicinò di un passo «Perché quei demoni, ogni giorno, ogni singolo giorno, portavano un bambino per i loro sacrifici. Non avrei potuto resistere tre mesi in quell'inferno! Mi sarei tolta la vita con le mie mani! Capisci?!» urlò, strattonandolo dalla maglia e con occhi che ancora non si erano stancati di versare lacrime amare.

Voleva crederle, ma sapeva che la verità era che lui aveva passato tre mesi nell'incertezza di trovarli vivi, alla ricerca di indizi per smentire quella voce che gli suggeriva di desistere a quella missione inutile e disperata. Poi, in un lungo sospiro, strinse le mani alla ringhiera di metallo consumato dal tempo e dalle intemperie, come la sua anima.

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