«Almeno sua madre può uscire di casa senza barcollare». Era Diana a parlare e questo irrigidì ancor di più Orchidea. «Sarò pure una pianta grassa come mi chiami tu, grullo, ma almeno io non faccio il giro dei bar per tutta la notte per poi tornare a casa il mattino dopo. Io controllo che mia figlia abbia mangiato o che la sera sia al sicuro nel suo letto. Puoi dire lo stesso di te?»
Il ragazzo scialbo rimase sbigottito da tali parole e, indietreggiando, sbuffò; si voltò e, seguito dal gruppo di amici ridacchianti, che Orchidea non degnò nemmeno di uno sguardo, si allontanò.
Diana, tutta compiaciuta, si sistemò sulla sedia e cercò gli occhi della figlia. Voleva sapere come stava il suo fiorellino bianco, ancora confuso per la scena a cui aveva appena assistito.
«Come...?» sussurrò Orchidea, sentendo un sorriso fiero dentro di sé.
«Conosci quel ragazzino?» domandò Diana con voce pacata.
«È nella mia classe, ma non ricordo il suo nome», ammise la figlia sospirando.
«Beh, io conosco la madre ed è una grande ubriacona. Alle superiori beveva molto spesso e adesso ha la fama di essere una brutta donna», spiegò la madre. Fece una pausa di qualche secondo osservando la figlia, che giocava con la piadina, ancora quasi intera, e continuò: «È sempre così?»
In realtà Diana avrebbe voluto chiedere informazioni più specifiche, ma sapeva che Orchidea non avrebbe risposto, perciò optò per un quesito generico, sperando che non la turbasse più di quanto quel commento avesse fatto.
«La maggior parte delle volte», confessò la ragazza.
La madre sentì all'istante una rabbia profonda e oscura farsi strada nel petto, ma cercò di spegnerla con l'estintore della buona notizia: «Vedrai che le cose andranno per il meglio», disse.
Orchidea alzò i suoi piccoli occhi azzurri e guardò disorientata la madre, continuando a pensare che quel giorno si stesse comportando in modo strano. Diana prese dalle mani della figlia la piadina ormai fredda, sapendo che non l'avrebbe mangiata, e si alzò.
Tornarono alla macchina e, sempre in silenzio, presero l'autostrada verso una destinazione completamente diversa da quella che Orchidea pensava.
Proprio quando l'automobile accostò, la ragazza con la pelle estremamente chiara alzò lo sguardo e vide un palazzo molto distante da quello in cui si trovava il loro appartamento. Quello di Ida.
«Che cosa ci facciamo qui?» esortò confusa Orchidea.
La madre non rispose, scese dall'auto ed entrò nel palazzo, seguita dalla figlia con la pelle chiara; bussò alla porta e la donna con il nome di una guerriera venne ad aprire.
«Ciao, ragazze», le salutò Ida. «Accomodatevi».
Diana entrò con passo deciso, mentre Orchidea si guardò intorno in modo circospetto, osservando un po' la madre e un po' la psicologa. Si diressero nella solita stanzetta, dove però fu aggiunta una sedia pieghevole. Le tre donne si sedettero, ognuna al proprio posto.
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La Ragazza che Pretendeva Troppo
Novela JuvenilUna ragazza, il cui nome sembrava un gioco di parole, viveva ormai senza speranza e non ci provava nemmeno più a capire cosa ci fosse di bello nel provare a far funzionare la propria vita. Tutto le fa pensare e niente la fa cambiare, finché un qualc...