Capitolo 4 - ᴅᴏʙʙɪᴀᴄᴏ - parte 1

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Per tutto il viaggio verso casa, nessuno proferì parola: Orchidea si sentiva tradita e, seppur furiosa, era triste perché

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Per tutto il viaggio verso casa, nessuno proferì parola: Orchidea si sentiva tradita e, seppur furiosa, era triste perché... in realtà non lo sapeva nemmeno lei.

Abbandonare Firenze per andare chissà dove in Trentino le stava facendo venire una crisi nervosa. Si sentiva in mezzo a un uragano di pensieri e film mentali così potente che non riusciva nemmeno a capire dove si trovasse nella vita reale.

Dal lato del guidatore, invece, la madre di Diana sbirciava con la coda dell'occhio la figlia, appoggiata al finestrino, e non faceva altro che pensare alle parole di Ida. Doveva essere forte per Orchidea. Doveva farlo, perché dopo anni in cui il suo fiorellino bianco era diventato un essere privo di emozioni (o almeno così pensava), finalmente aveva esternato i propri sentimenti. Le due donne arrivarono a casa quando il colore del cielo ricordava un dipinto di Armand Guillaumin e, non appena girò la chiave nella serratura della porta, Diana decise di spezzare quel clima arido creatosi tra lei e la figlia. «Per stasera riposati. Domani inizieremo a sistemare».

«Va bene», sussurrò Orchidea oltrepassandola rapidamente e rinchiudendosi nella sua stanza.

Diana sospirò, chiuse la porta dietro di sé e portò nella sua stanza le buste dello shopping di quel mattino. Prese il suo portatile di seconda mano e, ignorando l'amara tristezza che si stava annidando nel suo cuore, iniziò a cercare un'impresa di traslochi disponibile all'ultimo minuto. Erano solo le sei del pomeriggio e nessuna delle due donne il cui cognome era Fiore aveva intenzione di uscire dalla propria stanza. Orchidea giaceva sotto le sue coperte color porpora in attesa che quel tornado si placasse, mentre Diana si buttò nel lavoro: mandò una mail alla scuola della figlia, a diverse imprese di traslochi, ricevendo una risposta positiva da parte di una di queste solo verso le dieci di sera, e infine chiamò il suo capo, che rispose subito nonostante fosse domenica.

«Suppongo che sia urgente, visto che Diana Fiore mi chiama», borbottò con simpatia l'uomo al telefono.

«Buonasera... Non vorrei mai disturbarla in un giorno festivo», balbettò confusa Diana.

«È successo qualcosa di grave?» esortò con malizia il capo.

La donna si inventò una bugia, perché sapeva bene che per lasciare il lavoro così all'improvviso non sarebbe bastato dire la verità. «Orchidea, mia figlia, sta male e insieme al suo medico abbiamo trovato una soluzione». Fece una pausa in attesa di una qualunque risposta, ma il suo capo si limitò a respirare. «Dobbiamo trasferirci in Trentino...»

«Lo so», la interruppe d'un tratto il capo. «Lo so, perché sabato ho ricevuto una mail in cui chiedevano delle informazioni su di te e...» continuò. Diana, sentendosi in colpa, sbiancò. L'aveva scoperta... «E ho dato le mie referenze su di te. Mi scoccia soltanto che tu me l'abbia detto solo ora».

La madre di Orchidea Fiore si sentì sollevata. «Grazie». Non sapeva che altro dire.

«Non mi hai mai dato rogne sul lavoro e, in un certo senso, proprio per questo te lo dovevo, perciò grazie a te, collega».

La Ragazza che Pretendeva TroppoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora