Finito di sistemare, Diana suggerì a Orchidea di prendere la bicicletta che i traslocatori avevano appena scaricato. Così la ragazza dalla carnagione chiara prese uno dei suoi zaini, vi infilò un panino che la madre le aveva preparato il giorno prima e, dopo aver preso le sue pillole, uscì di corsa.
Cercò di percorrere la strada che avevano fatto in macchina qualche ora prima, ma si perse tra le varie indicazioni in tedesco. Con il fiatone e in preda all'ennesimo capogiro in arrivo, Orchidea si fermò davanti a una casetta che riportava una scritta in tedesco simile alla parola informazioni e così, scendendo dalla bici, decise di entrarci. Il suono della campanella appena sopra la porta fu seguito dal «Guten Tag» di una donna, che si trovava dietro un ordinatissimo bancone a pochi metri da Orchidea. La ragazza dalla carnagione estremamente chiara si avvicinò a piccoli passi e guardò confusamente colei che l'aveva accolta. «Non sei tedesca, dico bene?» esortò la donna, che aveva l'aspetto di una ragazza. Orchidea scosse la testa in imbarazzo e così, scostandosi dal viso una ciocca più scura del caramello, la ragazza dietro al bancone continuò: «Come posso esserle utile?»
«Mi chiedevo se fosse possibile avere una mappa della città», mormorò la ragazza dal corpo minuto.
«Certamente», affermò l'estranea. «Per quanto tempo pensa di rimanere in città?»
Orchidea sbatté gli occhi disorientata e rispose: «In realtà mi sono appena trasferita e volevo fare un giro».
La ragazza dietro al bancone squadrò la nuova arrivata con fare stupito, quasi incredulo, e rimase a bocca aperta per qualche secondo. Scosse la testa capendo di aver messo a disagio la ragazza dai lunghi capelli bianchi e si mise a indicare i luoghi interessanti della cittadina che ospitava 3.356 abitanti più le due nuove arrivate.
Erano davvero tanti i posti che Orchidea avrebbe voluto visitare, ma la ragazza dietro al bancone la informò che per quasi tutti era necessaria la prenotazione, così la scelta ricadde sul famoso lago a sud del paese.
Ringraziando la ragazza dietro al bancone, Orchidea uscì dal centro informazioni e montò in sella alla sua bicicletta in direzione del lago immerso nella natura. La ragazza il cui nome sembrava un gioco di parole si fermò qualche volta per controllare la mappa e per tentare di porre fine a quei capogiri a cui era tanto abituata. Dopo venti minuti di fatica e sudore si rese conto che tutti quegli sforzi erano serviti ad appagare gli occhi.
Montagne alte e appuntite circondavano quello specchio d'acqua informe che scintillava sotto i sottili raggi di sole che perforavano la coltre di nubi. Alla diciassettenne con il nome di un fiore parve di essere in paradiso.
Sapeva bene che quello sarebbe stato il suo luogo preferito, così cercò un posticino per mangiare il panino che la madre le aveva preparato con molta cura e, soprattutto, dove apporre mentalmente il cartello del suo rifugio personale.
Superò un hotel in mattoni che aveva – come il resto della città – un'insegna particolare e rustica, attraversò un ponte di legno che portava dall'altra parte del lago e, ignorando e lasciandosi alle spalle il campeggio e un ristorante, trovò una piccola riva piena di ciottoli grigi e bianchi e nascosta da una fitta vegetazione.
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La Ragazza che Pretendeva Troppo
Подростковая литератураUna ragazza, il cui nome sembrava un gioco di parole, viveva ormai senza speranza e non ci provava nemmeno più a capire cosa ci fosse di bello nel provare a far funzionare la propria vita. Tutto le fa pensare e niente la fa cambiare, finché un qualc...