Tunnel, ore 18:39

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Senza la torcia e con soltanto la misera fiammella dell'accendino di Cris, che si spegne di continuo, il tunnel torna il luogo in cui tutto smette di esistere. O così dovrebbe essere, ma il sangue che mi pompa nelle vene e mi rimbomba nella testa mi ricorda fin troppo della mia presenza in questo mondo di merda.

Corro per quelle che mi paiono ore, finché la milza non inizia a mandarmi qualche fitta. Mi fermo e Cris fa lo stesso. Vedo appena il suo viso, ancora più smunto di quando l'ho rivisto per la prima volta. Nel suo caso, pare che una qualche creatura mostruosa l'abbia divorato dall'interno, lasciando una versione scheletrica di ciò che era stato.

«Mi sa» inizia a dire, fra i rantoli, «che non ci sta a segui'. Se la deve esse' presa co' Antonio e Davide.»

Non ci sono rumori alle nostre spalle, tuttavia non oserei prenderlo come un segnale. In diverse occasioni Tonino è spuntato dal nulla senza annunciare in alcun modo la propria presenza o il proprio arrivo. Un attimo prima non c'era, e quello successivo ammazzava qualcuno con una delle code.

Perciò mi volto per osservare il buio totale dietro di noi e mi rendo conto che Cris potrebbe avere ragione come no: niente gli impedirebbe di nascondersi in quel nulla e attaccarci quando lo ritiene opportuno. Il mio respiro non accenna a calmarsi e le dita della mano che ancora si può muovere si chiudono e riaprono senza sosta. Le restanti formicolano.

«Li dovremmo cerca', insomma, separarsi non è mai una buona idea.» Cris mi resta vicino, talmente tanto che percepisco il calore del suo corpo. Non so se il suo scopo sia infondermi sicurezza o se invece sia perché lui stesso ha bisogno della vicinanza di qualcuno.

Scuoto la testa. «No, andiamo avanti.» Normalmente sarei d'accordo con lui. Dividersi in situazioni di pericolo estremo è un'azione sconsiderata e pericolosa che soltanto degli idioti potrebbero prendere in considerazione, tuttavia, nel nostro caso, è stato il caso a decidere.

Tornare indietro e lanciarsi dritti fra le code e la puzza di Tonino è da folli senza spirito di autoconservazione. Una mossa dall'intelligenza degna di un moscerino mentecatto.

«Sicura?» chiede, con una smorfia che scorgo appena. «'Nsomma, non dovremmo...»

Cosa? Andare a morire?

Mi stringo fra le braccia. «Voglio vivere» mormoro soltanto, a occhi chiusi, come se la mia fosse piuttosto una preghiera rivolta a un Dio che ho disconosciuto tanto tempo fa.

«Non sappiamo dove stiamo a anda'» dice lui. Abbassa la testa. «Se ci perdiamo?»

«È sempre meglio che morire.» Ancora una volta, non si capisce se stia rispondendo a lui o parlando a me stessa. Perfino io non lo so.

Cris si passa la lingua fra le labbra screpolate e annuisce. «Allora andiamo. Magari siamo fortunati e li ritroviamo più avanti.»

Mi dà le spalle e si incammina per farmi strada. La piccola fiammella proietta un'ombra gigantesca.

«Aspett...» Mi irrigidisco di colpo. Il rumore di passi si fa più pesante, sempre di più. Una figura piegata su se stessa compare nell'oscurità. Si regge alla parete, incurante della sostanza nera che le ricopre il braccio intero.

Cris le va incontro. Si ferma soltanto perché gli afferro la manica e gli faccio un cenno della testa. «Mari'?» la chiama da lontano. «Stai bene?»

«Ti preg'.» La risposta è un lamento.

«Non ci cascare» dico a Cris, a denti stretti. Lui mi guarda perplesso, all'inizio; poi sembra capire e deglutisce.

Non si muove né parla. Rimane in silenzio accanto a me, e il tempo si ferma. Attendiamo.

«Fa male.» Maria si preme una mano contro la fronte. «Nun me lasciat' qua, vi prego. Fa male. Tanto male.» Lo strazio decora la sua voce, la distorce in un modo che mi fa sfrigolare il sangue nelle vene.

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