12. A casa?

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Quando aprii gli occhi mi trovai a letto. Ma non era il letto dell'astronave di Rose, sembrava proprio quello della mia camera. Mi strofinai gli occhi e mi avvicinai alla finestra: una luna rosso sangue svettata felice in cielo, e la cosa mi portò subito in mente l'arrivo degli invasori alieni di forma rettile! Accesi la luce e trovai il mio quadernone aperto: stavo scrivendo un racconto di fantascienza dal titolo Brave.

- Ma allora ho sognato tutto? - mi dissi sconsolato, sedendomi sulla sponda del letto e iniziando a piangere in silenzio. Avevo sognato tutto: la bellissima aliena che mi aveva rapito con la sua astronave, il mio fido guerriero immortale che amava fumare la pipa, il mio tutore e quasi padre re Manuel che mi aveva insegnato il tiro con l'arco e che la vita è sempre degna di essere vissuta.

Il mattino dopo fui ancora incredulo nello scoprire che i miei genitori e i miei fratelli fossero vivi e vegeti seduti a tavola a fare colazione. Facendo finta che tutto fosse normale, salutai e mi versai i cereali nella tazza. Papà mi guardò con occhi accusatori, e mi disse: - Stai bene, Jack? Ti vedo strano,stamattina!

- No, tutto bene! Sono un po' nervoso per la verifica di matematica! - risposi, con un sorriso a denti stretti.

- Ottimo, l'importante è che hai studiato, visto che sei stato silenzioso per tutto il pomeriggio. Dai sbrigati, fra dieci minuti si parte!

Cominciai a sgranocchiare i cereali, quando mia madre mi sorrise: - Vedrai che andrà bene la verifica, ieri mi hai ripetuto a memoria tutte le regole! - e si allontanò dal tavolo. Ero rimasto solo. Mi guardai in giro con fare sospetto, chiedendomi se fosse una trappola dei rettiliani: e se fossi stato ipnotizzato e catturato da loro? Forse adesso mi trovo in una realtà virtuale, creata da loro, e nel frattempo si prendono possesso del mio corpo! Fu mio padre ad interrompere quelle macabre riflessioni. - In macchina, si parte!

Prima lasciammo i due fratellini più piccoli, poi mio padre si fermò davanti all'ingresso della mia scuola. Mi guardò ancora con sospetto. - Dai, campione, anche questo esame passerà! - e mi stropicciò i capelli, come è solito fare quando è di buon umore.

Varcai l'ingresso e salutai Giorgio, il bidello pelato che ama fare i cruciverba e che quando sorride storce la bocca a metà. Era inutile: chiunque incontravo pensavo fosse in realtà un rettiliano che mi spiava per vedere come reagivo a quel perverso gioco. Se è tutto falso, devo dire che hanno fatto un buon lavoro, visto che anche la professoressa aveva gli stessi tic dell'originale. Mi accomodai al mio posto, accanto al mio compagno Berto.

- Ehi, ciao Jack! Sei pronto per la pena di morte? - ciarlò, riferendosi alla verifica di matematica dell'ora successiva a questa di italiano.

- Ciao, Berto. Guarda oggi è una mattinata no, lasciami stare! - gli dissi abbassando la testa sul banco e provando a chiudere gli occhi. Cosa che, ahimè, non potei portare a compimento perché la prof mi stava chiamando per essere interrogato.

- Ti ho già chiamato tre volte, Jack! Vuoi che ti porti un caffè così ritorni nel nostro mondo? - disse l'insegnante con fare canzonatorio e dall'intensità della sua voce capii che si era alzata male anche lei.

No, prof, voglio tornare nel mio vero mondo, da Rose, pensai tristemente, prima di partecipare alla sua interrogazione. La verifica di matematica andò benino, una sufficienza quasi strappata per inerzia (odio tutte le volte che il prof sotto i suoi baffetti neri mi riprende perché sto copiando dalla mia compagna secchiona!) e, come al solito, approfittai della ricreazione per perdermi nella biblioteca della scuola, l'unico luogo che mi riportava in pace con me stesso. Col dito passai in rassegna diversi titoli di romanzi di fantascienza e lessi a bassa voce: Jurassic Park, Il giro del mondo in ottanta giorni, L'uomo invisibile... Alla fine ne scelsi due e firmai il prestito alla sempre gentile e coi capelli cotonatissimi signorina Angelina. Ogni volta che prendevo nuovi libri pronti per essere divorati mi sentivo coi piedi leggeri e dimenticavo ogni problema scolastico. Ma quell'idillio svanì presto perché nel pomeriggio avremmo avuto un'altra verifica, stavolta di fisica, altra materia che odiavo.

Come ogni giorno, alle 13.50 ero già alla fermata del bus e nell'attesa presi davvero consapevolezza che avevo sognato tutto in una notte. Addio, Rose, quanto eri bella! E proprio quando stavo pensando alla sua bocca il mio sguardo si soffermò su una ragazza che parlava con la sua compagna a pochi metri da me: era proprio lei, Amanda! Beh, sì, lo ammetto: avevo una cotta per lei, ma la mia intramontabile timidezza mi precludeva ogni tipo di approccio, anche basilare. Amavo i suoi capelli, il suo sorriso, i suoi occhi. E quando la salutavo, succedeva di rado, il mio cuore tamburellava come impazzito. Non eravamo compagni della stessa classe, lei era nella classe adiacente la mia, ma ci si vedeva spesso soprattutto prima della scuola e durante la ricreazione, quando non scappavo in biblioteca o quando non elaboravo marachelle con Berto.

- Oggi ci vediamo, dopo la scuola? - mi interruppe da quelle riflessioni il mio compagno che sgranocchiava delle patatine rustiche con molta eleganza.

- No, non dirmelo: lo hai comprato? - chiesi sbigottito tirandogli una pacca fraterna sulle spalle.

- Non l'ho neanche aperto per mostrartelo: la Playstation ci aspetta!

Lo abbracciai quasi commosso e stavo già pregustando le infinite partite che avremmo fatto con Medievil, il soldato scheletrico ritornato in vita dall'oltretomba.

Il clacson del bus ci rimise in riga e fummo inghiottiti dal gorgo di quella marea di ragazzi che, ogni santa volta, scalpitavano per passare per primi e prendersi i posti migliori. Anche quella volta io e Berto restammo all'impiedi, ma la gioia del nuovo videogioco superò anche questo disagio.

Quando ritornai nella mia camera andai subito a controllare cosa avevo scritto sul quadernone: ero ancora al primo capitolo: la fuga. Sulla parte alta della pagina avevo incollato la foto di una bella ragazza, molto somigliante a Rose ma, in realtà, anche ad Amanda: cavolo, ma allora Rose per me è l'idealizzazione di lei!

- È pronto, tutti a tavola! - urlò mia madre e udii un rumore di sedie che si spostavano e di stoviglie e posate. Andai alla finestra e rimasi qualche minuto in silenzio a contemplare il panorama, chiedendomi ancora una volta: ho sognato o no?

Quella sera, nonostante la stanchezza, non mi decidevo ad addormentarmi. E se ripiombo nel sogno? E se non riuscissi ad uscirne? Ma il mattino dopo, quando aprii gli occhi, ero ancora nella mia stanzetta. Nel pomeriggio, visto che non avevo nulla da studiare, andai a casa del mio amico a giocare. Mi piaceva passeggiare per le viuzze del mio paese; mi rilassava attraversare quei luoghi a me familiari: ecco la piazza con la fontana piena di pesci rossi e bianchi, ecco il piccolo parco giochi semi distrutto dai soliti ragazzacci vandali, ed ecco la mia vecchia scuola elementare. Incontrai un uomo col suo cane che mi annusò il piede e scodinzolava la coda festante, lo accarezzai e mi diede la zampa! Giunsi alfine a casa di Berto: suonai al citofono ma non mi rispose nessuno. Dalla finestra si affacciò dopo un minuto il padre. - Mio figlio è andato al supermercato, lo trovi lì.

- Ah, grazie, signore. - risposi e mi diressi subito in quel luogo. Stavo per entrare nel negozio quando, alla mia sinistra, notai un personaggio misterioso che chiedeva la carità: costui indossava un cappello nero a due punte, un particolare che mi ricordò qualcosa che avevo già visto, ma mi sfuggiva dove. E fu proprio lui che si rivolse a me e cambiò la percezione di quello che stavo vivendo. - Apri gli occhi, apri gli occhi, figliuolo! - disse con voce flebile ma diretta. Non so perché ma quelle sue parole mi colpirono, fu come se mi stessi svegliando da un incubo. Incontrai finalmente Berto nel reparto salumi e si stava facendo affettare del salame. Parlammo della giocata che ci saremmo fatti col nuovo videogame quando notai il salumiere: cavolo, somigliava molto al mio guerriero immortale Lu, se non fosse che questo uomo era senza baffi. Ma che mi stava prendendo? Ero forse ancora stressato dalla verifica di matematica? O iniziavo a soffrire di allucinazioni? Andammo alla cassa e la cassiera diede il resto al mio compagno: a quel punto trattenni un gridolino di sorpresa perché era identica a Lea, la gladiatrice spaziale. Non ricordo quale scusa accampai al mio amico ma mi diressi subito a casa, dovevo assolutamente riposare. I miei non erano dentro, erano a fare shopping. Mi preparai una bella camomilla guardando la tv: davano, come ogni pomeriggio, Holly e Benji. Mio fratello stava giocando con la baby sitter Sonia a carte Uno e mi chiese: - Jack mi dai un bicchiere di latte?

Non riuscivo ugualmente a prendere sonno. Restai almeno un paio di ore coricato a letto, ma nulla. Allora presi il libro che stava sul comodino, ovvero Ventimila leghe sotto i mari e continuai a leggerlo: ero giunto al capitolo in cui i marinai vennero assaliti dal polpo gigante e uno di essi venne preso da un tentacolo del mostro marino, urlando disperato. Quella parte del romanzo di Verne fu come una profezia, visto quello che mi sarebbe successo di lì a poco, perché poi  ricaddi nel mio incubo, oppure no. Il trauma fu quando riaprii gli occhi: con sconcerto, mi ritrovai di nuovo nel labirinto!

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