un'amore complicato.

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Ero la classica ragazza che amava leggere libri che i miei compagni di scuola non si sognerebbero mai di leggere. Loro erano da Topolino, fumetti o libretti porno. Io ero da Zafon, Bukowski e Sparks. Frequentavo la classe terza H di un liceo linguistico, non ero una studentessa modello ma a scuola ci sapevo abbastanza fare. Odiavo condividere 6 ore della mia giornata con i miei compagni perché ero troppo diversa da loro in qualsiasi campo. Forse loro mi vedevano come una specie di alieno che aveva invaso la terra senza motivo, ma state certi che anche io pensavo questo di loro. Non parlavo quasi mai con loro se non quando dovevo chiedergli i compiti. Mi accorgevo di essere davvero di troppo in quella classe quando alla fine delle lezioni nessuno si azzardava a salutarmi, ma a  me poco importava... Sapevo ingannare bene me stessa e gli altri. Una volta mi dissero che ero brava a recitare e  ora capisco il perché. Ho l'arte di saper fingere nel sangue e non so se sia un bene o un male. Tornavo a casa prendendo il mio solito autobus, mi sedevo nei posta a due sperando che qualcuno si sarebbe seduto accanto a me per liberarmi da questa solitudine... Ma chi volevo prendere in giro, nessuno si sarebbe seduto accanto a me, con tutti i posti vuoti nessuno si sarebbe azzardato. I 20 minuti di tragitto da scuola fino a casa li amavo, Erano i miei preferiti. In quei minuti indossavo gli auricolari, mettevo play e addio  mondo, addio vocine fastidiose in testa, addio scuola, addio critiche e prese in giro. Mi sentivo libera. Ero una di quelle ragazze che amava sognare ad occhi aperti quindi in quei 20 minuti mi piaceva immaginarmi come una famosa cantante, come una scrittrice oppure come una cittadina americana che camminava per le strade di New York, ma poi dalla finestra dell'autobus vedevo avvicinarsi il vialetto di casa mia. Stavo per entrare in quella che io chiamavo seconda prigione, la prima era il mondo... una prigione nella prigione come una matrioska. Ora capite perché sull'autobus mi sentivo libera? Infilavo le chiavi nella serratura e una ventata d'aria gelida e negativa mi colpiva il viso. I miei non erano in casa quando ritornavo a scuola eppure era come se ci fossero. La tazzina del caffè mattutino di papà sul tavolo, il telecomando sul divano, qualche vestito qua e la e l'aspirapolvere appoggiato al muro; mamma era solita pulire i pavimenti prima di andare a lavoro eppure in quella casa c'era qualcosa di strano, quella casa era intrisa di tristezza e malinconia. Non importava se i fiori finti che erano dentro il vaso nella credenza fossero rossi, quello era un effetto ottico, in realtà tutto era così nero, tutto era così triste, ogni oggetto soffriva e io con loro. La mia casa non era più la stessa, la mia famiglia non era più la stessa da quando, due mesi fa, mio fratello morì in un incidente stradale. Lo sentí pochi minuti prima dell'incidente. 

- Chiara, dì a mamma che sto tornando a casa- 

- Okay Mat, oggi mi è successa una cosa incredibile, devo raccontartela, corri!-

- Okay piccola, fammi arrivare a casa poi ci mettiamo accoccolati sul divano e mi racconti tutto, sono curioso-

- Ti voglio bene, a dopo-

- Anche io, a dopo-

Quella fu l'ultima volta che lo sentì. Non riuscì a raccontargli quella cosa che ritenevo "incredibile". Gli avevo detto di correre, gli avevo detto di correre perché dovevo raccontargli quella stupida cosa che ritenevo incredibile. Quel giorno il ragazzo che mi piaceva, quello alto con gli occhi color mare e capelli neri, mi aveva sorriso; un sorriso così bello non l'avevo mai visto, era capace di regalare amore solo sorridendo, un sorriso così perfetto, così angelico. In quel momento mi ritenni la ragazza più felice del mondo ma quando la polizia chiamò per dirci che c'era stato un incidente e che mio fratello era coinvolto il mondo mi crollò addosso come se qualcuno da lassù lo avesse fatto rotolare per farmi schiacciare. Io la mia famiglia raggiungemmo l'ospedale dove lo avevano portato.  Odiavo gli ospedali perché sapevo che in posti come quelli c'erano solo due possibilità, o dirsi "bentornato" o dirsi "addio" e io odiavo anche gli addii. Quel bianco delle pareti mi dava fastidio agli occhi, quel bianco non significava felicità, quel bianco mi metteva tristezza, mi mancava l'aria, mi sentivo soffocare. Quando arrivammo mio fratello era già morto. Scoppiai a piangere, singhiozzai cosi tanto che quei singhiozzi sembravano urli disperati. Mi sentivo vuota, confusa, sola in  mezzo a tanti. Distrutta, rotta. Da allora la mia vita cambiò e tutto intorno a me cambiò. Divenni quella che non avrei mai voluto essere. Avevo degli amici ..già "avevo", ora non più; ora non so nemmeno cosa sia avere un' amica; avevo una vita abbastanza felice e ora, la vita, giorno dopo giorno diventava un incubo; avevo un bel fisico e ora ero bulimica, mi amavo e ora mi odiavo. Quel ragazzo che mi piaceva.. beh si è fidanzato con la mia ex migliore amica quindi non mi resta altro che guardarlo sorridere da lontano. Ero diventata un mostro sia dentro che fuori. Tutto mi scivola addosso, non importava cosa stesse succedendo, tutto mi scivolava addosso come l'acqua; ero diventata fredda, di ghiaccio o  meglio era quello che gli altri pensavano di me, ma nessuno sapeva che una volta ritornata casa mi chiudevo in camera mia a piangere. Ecco cosa facevo, non mangiavo nemmeno, andavo in camera, mi buttavi sul letto e in pochi secondi ero già in lacrime tanto da inzuppare il cuscino. Mi spostavo in un angolo della stanza e senza pensarci due volte mi tagliuzzavo i polsi, le gambe, la pancia, le braccia e quando finiva lo spazio mi tagliavo sopra i tagli. Volevo che le cicatrici restassero impresse su di me come tatuaggi. Ogni taglio, ogni squarcio erano grandi quanto i miei sensi di colpa. Facevano male, bruciavano tanto quanto il fuoco brucia la legna; mi stavo bruciando, mi stavo distruggendo, possibile che nessuno se ne accorgesse? Possibile che i miei occhi sapessero fingere così bene? Quando ebbi finito questo massacro mi guardai allo specchio, ero disgustosa, il mostro che che c'era in me era uscito fuori e lo vedevo riflesso nello specchio, quel mostro ero io. La gente doveva capire che non ero una persona tutta d'un pezzo, mi stavo sgretolando davanti ai loro occhi ma loro non lo vedevano. I miei occhi erano spenti, vuoti, come enormi buchi neri. Un giorno quando uscì da scuola vidi quel ragazzo che mi piaceva che stava piangendo. Ci credete se vi dico che non avevo mai visto quella persona piangere? Mi avvicinai a lui e notai dei lividi sul suo viso. Chi glieli fece? e poi perchè? Quel ragazzo era ammirato da tutti quindi non poteva avere dei nemici e se il suo nemico fosse lui stesso? Avevo mille domande da fargli ma stetti zitta; di scatto lo abbracciai, era quello che avevo sempre sognato di fare, lui non lo sapeva ma è stato il mio primo amore sin dalle elementari, lui non sapeva che quelle lettere anonime gliele mandavo io. Ebbe il coraggio di dirmi - Portami via- dove lo portavo? Decisi di prenderlo per mano e lo portai al mare, in un pezzo di spiaggia deserta con un raggio di sole ed illuminare quel posto che io chiamavo rifugio. Su quegli scogli lessi tantissimi libri ma ora ero andata lì non per leggere un libro ma per leggere quel ragazzo; ah credo di non aver detto che si chiamava Alex. Ci sedemmo sulla sabbia calda e l'unico suono che si sentiva era il rilassante rumore del mare. Era così fragile, così piccolo, avevo persino paura di toccarlo perché se l'avessi fatto si sarebbe distrutto in mille pezzi e io non volevo questo. Gli presi la mano intanto lui fissava il mare calmo, i suoi occhi erano così lucidi che le onde si specchiavano su di essi. 

Amo l'angelo con le ali spezzateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora