42. Oscure presenze

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«Eva si è svegliata, ha chiesto di te» le svelò Ulrik, senza staccare lo sguardo da Tomas che mestamente, nel frattempo, si ricomponeva.

Shani si alzò e si diresse verso l'uscita, ma poi all'ultimo si voltò verso il ragazzo. «Ci vediamo dopo, Tom.» Lo salutò, lanciandogli un'occhiata eloquente.

Quello non rispose. Rimase seduto sul letto, perso in se stesso.

Quando la guerriera fu uscita Ulrik lo interpellò con tono duro: «Cosa succede?»

Tomas si drizzò e si sgranchì le gambe e senza guardarlo in faccia borbottò un niente appena percettibile.

«Tomas.» Ulrik afferrò il suo avambraccio. Gli occhi azzurri del capitano erano più penetranti che mai.

«Che c'è?!»

«Non ci abbandonare.»

Il ragazzino rabbrividì. La morsa d'acciaio del comandante non era eccessivamente stretta, eppure era irremovibile. Attendeva una sua risposta o non l'avrebbe liberato.

La cosa che l'aveva più turbato, in quelle parole, era il loro implicito significato. Non ci abbandonare. Non l'aveva sgridato, non l'aveva richiamato ai suoi doveri, il tono era duro, severo, ma quella frase assomigliava più a una supplica, a una preghiera.

«Non so di cosa tu stia parlando» sbottò il ragazzo, senza il coraggio di reggere quello sguardo gelido.

Ulrik fu granitico, non lo lasciò andare, nonostante Tomas opponesse resistenza.

«Dammi un'altra possibilità.»

Il ladro sussultò visibilmente. Rimase a bocca aperta.

Solo allora il comandante sciolse le dita.

«Quale altra possibilità?!» gli gridò contro.

«Sistemerò tutto. Staremo bene...»

«Ma ti ascolti quando parli?»

«Ti chiedo solo di fidarti di me un'ultima volta.»

Un'immagine balenò nella mente del giovane. Ulrik in piedi davanti alla porta della sua cella. I capelli quasi rasati a zero mettevano ancora più in evidenza quegli occhi magnetici, mentre una smorfia, simile a un sorriso, solcava il suo volto.

"Tomas Murphy, ti è stata concessa una seconda possibilità. Puoi uscire ora."

Tomas se ne andò senza congedarsi, come sempre, a passo svelto e sguardo chino. Ulrik rimase interdetto fuori dalla tenda, a osservare la sua schiena allontanarsi sempre di più.

«Perché?» Una voce alle sue spalle lo fece trasalire.

Quando si voltò a un centimetro dal suo volto c'era Kuran.

L'ufficiale si passò una mano tra i capelli spettinati. Era distrutto, aveva passato la giornata al capezzale dell'Umana, era stato convocato tre volte dai capi del villaggio, aveva sentito la conversazione di Tomas e Shani e ora si trovava di fronte Kuran, per l'ennesima volta, col volto pallido e gli occhi cerchiati di rosso.

Era stato addestrato per anni a divenire un leader, ma non immaginava fosse così dura psicologicamente. Gli sembrava di dover stringere in pugno un mucchio di sabbia, più faceva forza più i minuscoli granellini sfuggivano dalle sue dita, disperdendosi nel vento.

«Cosa c'è, Kuran?» Mai avrebbe pensato che quel ragazzo gli avrebbe dato tanti problemi. Mai avrebbe immaginato che Shani gliene desse così pochi. Segno evidente che le regole dell'Accademia, nella vita reale, erano state letteralmente capovolte.

UMANA ∽ Ritorno sulla TerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora