Quella notte mi sembrava tutto un po' diverso, un po' più offuscato. Ci eravamo fermati in una bettola fuori dalla sala concerti. Uno di quei camioncini che vendono panini unti ripieni di salsiccia, peperoni, zucchine e melanzane. Potevo sentirlo quel sapore semi dolciastro che mi inaridiva la gola e le narici. Alla fine del pasto ci siamo presi un caffè d'orzo e abbiamo spartito in sei una frittella. Era zuccherata.
Alessandro si è acceso una cicca, mi ha offerto un tiro. Mentre inalavo il sapore tenue del tabacco guardavo in fondo alla strada, le luci gialle che si confondevano nella nebbia e nella pioggia. Le gocce d'acqua grondavano dalla vetrata che proteggeva il bancone delle fritture sempre lì, in quel camioncino malandato.
Come nei Luna Park quando le facce dei clown e degli zingari ti fissano e tu sei mezzo fatto dai vapori nauseabondi degli scarichi delle auto che affollano il parcheggio.
Ma non avevo tempo per pensare.
Stava iniziando il concerto. Siamo entrati. Le luci mi hanno annebbiato lo sguardo, ma ero felice, esaltato. Un vocalist faceva apprezzamenti su una ragazza che si muoveva sgraziata sopra una piattaforma. Indossava delle calze a rete e le vedevo a malapena il viso.
Sono andato subito al banco a ordinarmi da bere, dovevo sciogliere l'ansia e iniziare la serata.
Era ghiacciato, ha amplificato i sensi. Devo aver ordinato al barman una tequila, quel sapore fresco che ti sballotta un po'.
Mi hanno chiamato in mezzo alla pista e mi ci sono fiondato.
Il vocalist continuava a far saltare la gente e gli occhi si stavano abituando alla luce, ai suoni, alla libidine.
Continuavo a scappare da qualcosa o forse solo da me stesso. Ma il concerto mi piacque. Non era la musica che amavo, ma fu comunque una botta di adrenalina.