Mi svegliai con un gran mal di testa. Nell'arco di tre giorni, il mio corpo – «Cinquanta chili da bagnata!» lo definiva la nonna – era stato sottoposto a una notevole quantità di alcol. Sidhe, dvergar ed elfi non avevano fatto altro che riempirmi il bicchiere da quando ci eravamo conosciuti, e mi era sembrato decisamente scortese rifiutare.
Misi a fuoco il lampadario in legno che pendeva dal soffitto della mia stanza, poi i sette moccoli di candela sciolti sulla superficie del cassettone oltre l'alcova, di fianco alla porta.
Qualcosa non andava.
Un braccio mi cingeva la vita e il respiro tiepido del proprietario mi soffiava contro il collo. Girai la testa quel poco che bastò a far rientrare il viso rilassato di Flynn, la guancia schiacciata contro il cuscino e le labbra dischiuse, nel mio campo visivo. Aveva ancora tutti i vestiti indosso, persino gli stivali, e se ne stava sdraiato in maniera scomposta sul ciglio del materasso.
«Flynn» sussurrai. Non ricordavo molto di quanto fosse accaduto la sera prima, se non che verso le cinque del mattino la mia memoria aveva dato definitivi segni di cedimento, certo era che, a giudicare dalla luce che filtrava copiosa attraverso i tendaggi di lino, doveva essere passata l'ora di pranzo. «Flynn» ripetei, con una punta di esasperazione nella voce.
Visto che non accennava a svegliarsi, affondai l'indice nella sua spalla e lo smossi un po', con il risultato che destabilizzai il suo equilibrio già precario. Rotolò dal lato opposto del letto e il suo corpo produsse un tonfo all'impatto con le assi del pavimento, seguito da una mitragliata di imprecazioni in un irlandese decisamente strano, molto più stretto e arcaico rispetto a quello parlato dai miei coetanei. Soffocai la risata contro il palmo della mano.
«Sto bene» biascicò, i sensi intorpiditi dal sonno. «Sono tutto intero.»
Mi affacciai dal letto ancora avvolta nelle coperte e allungai la mano per aiutarlo a rimettersi in piedi. Flynn sedette accanto a me, sbadigliando come solo un mezzo drago era capace di fare, e si massaggiò le tempie.
«Buongiorno» dissi. «Dormito bene?»
Flynn rappresentava, dopo di me, la persona più disincantata che avessi mai incontrato. Per questo quando mi scagliò addosso uno sguardo grondante di malizia, condito dall'immancabile ghigno, mi tirai le coperte fin sopra i capelli.
«Una favola.» Avvolse il mio bozzolo di stoffa tra le braccia e mi sollevò dal materasso, ancora infagottata nelle lenzuola. Mi buttò sul divanetto e crollò fra i cuscini, portandosi le mani dietro la testa. «Cosa ti va di fare oggi?»
Spuntai fuori dalle coperte e sbuffai in direzione della ciocca che mi era ricaduta in mezzo agli occhi. «Non saprei. Una passeggiata per il paese?»
«Perché no.»
«Prima però devo cambiarmi e darmi una rinfrescata.»
«Ottima idea! Mi sembrava scortese farlo presente, ma hai un odore che stenderebbe mille eserciti.»
Flynn sghignazzò senza vergogna e io gli assestai uno spintone che lo ribaltò giù dal divano. «Senti da che pulpito! Va' a cambiarti, poi potrai farmi la predica, mezzo drago!», e lo cacciai fuori dalla stanza mentre era ancora in preda all'ilarità.
Sbattei la porta e vi aderii con la schiena per recuperare il fiato, lottando contro il sorriso che mi stava affiorando sulle labbra. Il pensiero che la risata di Flynn fosse così limpida, un po' infantile e maledettamente contagiosa mi attraversò la mente.
A mezzanotte tutto sarebbe tornato al punto di partenza.
Il sorriso sfiorì e il mio sguardo ricadde sul pavimento. Non ne capivo molto, io. Ero sempre stata il genere di ragazza che ascoltava i problemi di cuore delle proprie amiche e tentava di imbastire un paio di consigli validi.
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BAZAL'TGOROD | Città di basalto (Vol. I)
FantasyCOMPLETA | Irlanda del sud, 1953. È il culmine della notte di Lammas quando Beatrice decide di mangiare le primule, "i fiori che rendono visibile l'invisibile". Lanciatasi all'inseguimento di uno Spriggan, un turbine di fate la conduce alle porte de...