11 - LE FIAMME DEI MORTI [1/2]

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Mi mantenni a debita distanza dal Viesczy mentre percorrevamo i corridoi del Palast, trattenendo l'attenzione sulla sua schiena. Non mi avrebbe fatto del male, a suo dire, ma scelsi comunque di acuire i sensi e considerarmi pronta all'eventualità che tutto quello fosse una trappola. Oltre la filigrana pregiata della sua casacca spuntavano frammenti di cicatrici, arabeschi di pelle mai guarita del tutto che proseguivano al di sotto della veste. Mi chiesi che genere di arma potesse ledere l'involucro di marmo che lo avvolgeva.

«Ti muovi come una preda consapevole del fatto che potrebbe essere attaccata da un momento all'altro.» La sua considerazione sfrecciò nel silenzio dell'ampio porticato interno che stavamo attraversando. «Non ti fidi di me?»

Ignorai il sorriso odioso che mi rivolse: «Dovrei farlo?».

«Ti ho dato la mia parola.»

«Per quanto ne so, la tua parola non vale nulla.»

«Sbagli.» Ci fermammo di fronte a un portone. Il Viesczy poggiò le sommità degli artigli contro la superficie di legno e ruotò una maniglia invisibile: una luce incandescente percorse i bassorilievi che scavavano la superficie disegnando immagini di creature danzanti, satiri e ninfe avvolte da viticci floreali. La porta si aprì. «Noi esseri sempiterni barattiamo l'eternità con l'obbligo di mantenere sempre, a qualunque costo, le promesse. Una promessa fatta in precedenza ha più valore di un'altra. Prego.»

Si scostò, ponendomi di fronte a una ripida scalinata a chiocciola che discendeva nelle viscere del Palast. Dopo qualche minuto, ci fermammo di fronte a due ante sigillate da uno stemma che ricordavo di aver già visto: le tre anfesibene intrecciate fra loro.        
Il Viesczy poggiò le mani sulla testa centrale del suggello e pronunciò qualcosa a bassa voce, in un idioma strascicato e cantilenante. Quando tornò a guardarmi e notò la mia espressione interrogativa, i suoi occhi si animarono di un crepitio sinistro: «La lingua dei draugar [1], i Morti a Metà, devochka. Augurati di non impararla mai, i vivi che ne comprendono il significato non tardano a perdere il senno».

Le porte si aprirono e i cardini arrugginiti mandarono un cupo lamento. Facemmo il nostro ingresso in una biblioteca priva di finestre, dove si respirava l'aria viziata e umida dei tomi intrisi di polvere che marcivano tra gli scaffali. Alcuni volumi se ne stavano ammonticchiati un po' ovunque. Dubitavo che i draghi fossero assidui lettori, o che si scomodassero per far prendere aria alla carta. Lanciai un'occhiata sulla destra: uno stretto corridoio conduceva a un'altra ala, connessa a sua volta a quella successiva, in un perpetuo labirinto di librerie: probabilmente un mucchio di filologi sarebbero impazziti alla vista di quello spettacolo.

Gorazd si avvicinò alla tavolata al centro dell'anticamera, sollevò il braccio e passò il palmo sul filare di candele che si scioglievano contro la superficie di legno nero. Le fiammelle divamparono nell'oscurità, illuminando carte e mappe inchiodate al tavolo da pugnali di diverse dimensioni.

«Vieni» intimò.

«Sto bene qui, grazie.»

Il Viesczy inarcò le sopracciglia scure e le ombre danzarono sul suo viso. «Non ho intenzione di darti le risposte che cerchi se non farai ciò che ti dico.»

Strinsi i pugni e avanzai qualche passo in direzione del tavolo. La mia attenzione ricadde sul profilo frastagliato del territorio rappresentato sulla mappa: si trattava di un'antica rappresentazione dell'Europa, ma era diversa da quelle dei libri di cartografia che avevo consultato nelle biblioteche o a scuola. Presentava l'aggiunta di isole, insenature, golfi, catene montuose, e persino i nomi degli stati amministrativi non coincidevano.

In cima alla cartina, una targa in caratteri sottili recitava: "Mondo Invisibile".

«Quella che cos'è?» chiesi, puntando il dito su un arcipelago che sorgeva oltre lo stretto di Gibilterra. Il titolo era troppo sbiadito perché potessi leggere.

BAZAL'TGOROD | Città di basalto (Vol. I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora