15 - SCELGO DI NON VEDERTI MORIRE

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Era scomparso.

Al posto del frassino millenario, la dimora che aveva ospitato intere generazioni di guerrieri dvergar, sprofondava una cupa voragine dove i nani avevano affastellato edifici e fucine dedite all'industria delle armi, in preparazione di quello che, a detta di Flynn, sarebbe stato uno scontro che avrebbe coinvolto tutti i popoli dell'Europa Invisibile.

La roccaforte dvergar ora appariva come una grigia calca di abitazioni e fumo, che risaliva fino alla buca lasciata dal Tré. Sopra di essa si articolavano otto zampe di roccia che, con l'aiuto di colonne portanti, sorreggevano il piazzale dove si innalzava il nuovo palazzo reale: dal castello di pietre eburnee svettavano torrette e ciminiere dorate, traboccanti degli scarichi tossici delle fucine. Mi soffermai sulla costruzione conica dallo scheletro in ferro e legno, sormontata da un tetto esagonale, all'interno del quale volavano gufi e colombe viaggiatrici.

Giganteschi Drakkar dalle mille vele d'oro galleggiavano in piscine artificiali che si articolavano attorno al monte, in attesa che l'alta marea equiparasse il loro livello.

Planammo di fronte all'ingresso e scivolai dalla sella di Flynn, ai piedi dello stesso portone che avevamo varcato la prima volta: nel legno nero era incisa la storia delle origini, disposta in due file di quadranti, dal plasmarsi dei primi dvergar dalle carni putrefatte di Ymir, fino alla fondazione della piazzaforte. I nani dovevano essere riusciti a salvarlo dall'attacco del Palast.

«Marduk ha guidato l'assalto alla loro casa e i draghi l'hanno sradicata. Nessuna magia è stata in grado di farla ricrescere» spiegò Flynn, intercettando il mio sguardo perso oltre le nubi di gas.

«Aveva più di mille anni» proruppe una voce alle nostre spalle.

Ci voltammo verso la figura che si era intromessa nella conversazione: c'era un nano, in cima alle scale, vestito di un'armatura nobiliare e circondato da una compagnia di soldati. Riconobbi il volto che si celava dietro la parete di rughe, e che rendeva la sua pelle simile alla corteccia di un albero di noce. Nei capelli si intrecciavano foglie secche e ghiande lucide, mentre la barba era spartita in due ciuffi ingialliti dal fumo della pipa.

Le labbra di Trèinor si incurvarono dietro i folti baffi scuri, modellandosi in un sorriso: «Ne è passato di tempo».

Ricambiai con un cenno. «Non vi aspettavate una nostra visita, immagino.»

«Immaginate bene. Soprattutto la vostra, Beatrice, ma devo ammettere che il tempismo che avete dimostrato, risvegliandovi al momento opportuno, è lodevole.»

Scrollai le spalle. «Ho un'ottima sveglia biologica.»

Il portone si aprì sulla navata d'ingresso e il nano ci fece segno di seguirlo all'interno della nuova dimora. I nostri passi riecheggiarono tra le fredde pareti di pietra, scaldate dalle fiammelle delle molteplici candele che fluttuavano ai lati del percorso, gocciolando cera sul pavimento. Svicolammo in un cunicolo rasentato da una successione di armature dvergar che risplendevano illuminate dalla luce tiepida delle torce, memori di un'antica gloria.

«Le cose sono cambiate dall'ultima volta, ve ne sarete resa conto. Mio padre ci ha lasciati l'anno scorso e la colonia è passata sotto il mio comando.»

«Oh, Trèinor, mi dispiace...»

Il dvergr eseguì un cenno di diniego con la mano. «Non dispiacetevi. Se ne è andato in pace, appena in tempo per salvarsi da questo folle massacro.»

Anche il principe era cambiato, pensai. Era diverso dal giovane scanzonato in cui ci eravamo imbattuti durante i Giochi Primaverili di Scozia: ora sorreggeva il peso dei dolori e dei rancori della sua gente. Studiai di taglio la sua postura, il modo in cui, nonostante la statura, sembrasse un gigante, le ruvide mani intrecciate dietro la schiena, le labbra tese e sottili. Nessuno degli uomini che ci stavano seguendo osava parlare, come se il loro capo fosse ammantato di un'aura sacrale.

«Siete arrivati in un momento delicato: l'Ombra Bianca ha radunato un esercito di dissidenti, come forse saprete. Si fanno chiamare Izgoi, i reietti. Assieme a loro si sono coalizzati i draghi del Palast e gli uomini–lupo di Fenrir, gli Úlfheðnar.» Nel pronunciare quell'ultimo nome, sul volto di Trèinor calò una maschera di ostilità. «Dovete perdonarmi, ma per secoli i miei antenati si batterono con loro nei nostri territori d'origine, a nord. Seminarono morte nelle nostre cave, ma non ci si può aspettare diversamente dalle creature plasmate da Loki, dio degli inganni.»

Una bolla d'angoscia si aprì all'altezza dello stomaco e ingerii aria secca. «La situazione sembra... più critica di quanto mi aspettassi.»

«Ah! Critica!» Trèinor lanciò una risata alle volte a crociera che si succedevano sopra le nostre teste. «E non vi ho ancora parlato dei clan vampirici che hanno aderito all'iniziativa, come gli Oboroten di Russia, i Kruvkik della Bulgaria o i Vedomec della Slovenia.»

«Sì, il concetto è chiaro» tagliò corto Flynn.

«Dove sono, adesso?»

Trèinor mi dedicò una lunga occhiata. «Sono partiti una settimana fa. Ora che ci penso, è piuttosto curioso che abbiano deciso di mobilitarsi ora che...»

«... sono sveglia.»

Arrestai il passo e Flynn, Trèinor e il manipolo di soldati fecero altrettanto. Una nuova consapevolezza sbocciò nel silenzio che si protrasse negli istanti successivi.

Gorazd può sentirmi.
Lui mi ha aspettato.

«Quindi volete aiutare Bazal'tgorod» dedussi.

Il volto di Trèinor si deformò in una smorfia. «Quelle sanguisughe non mi sono mai andate a genio, ma non possiamo permettere che Gorazd riesca nel suo intento. Usurpato il trono delle terre nere forzerebbe gli altri clan a giurargli fedeltà, oltre a contare sull'appoggio di Fenrir e del Palast. E poi c'è la maledizione che vi lega, Beatrice.» Il battito del mio cuore subì una brusca impennata, sotto lo sguardo inflessibile del principe dei dvergar. «Tutto il Mondo Invisibile sa di voi.»

Non potei fare a meno di pensare che mi fossi persa un po' troppe cose.

«Se l'Ombra Bianca dovesse unire i tasselli del puzzle» proseguì Trèinor, «distruggerà tutto ciò che incontrerà lungo il suo cammino per permettere di radunare le ricompense da donare ai suoi alleati. Così, oltre a rispettare gli accordi, quel viscido verme coronerà il suo sogno: dimostrare la superiorità della stirpe Viesczy sui "popoli deboli".»

Annuii. L'algoritmo non sembrava poi troppo diverso dalla guerra che aveva devastato il mondo durante la mia infanzia. Avrei voluto domandare a Dio a quale scopo il seme dell'odio continuasse a germogliare ciclicamente, finché qualcuno non trovava la forza di abbatterlo e, qualche tempo dopo, di piantarlo ancora dove l'erba era ricresciuta coprendo le tracce dei danni precedenti.

Trèinor ci diede le spalle. «Dovete perdonare la mia scarsa ospitalità, ma sono in ritardo per una riunione.» Si prese una pausa meditabonda e fece schioccare la lingua. «Anzi, ora che ci penso sarebbe meglio che mi seguiate, visto il vostro coinvolgimento in questa storia.»

Prima che Flynn potesse obiettare, facemmo il nostro ingresso in una sala lastricata di pietra chiara dove, al centro, era sistemata una tavolata ellittica. Io e Flynn attirammo gli sguardi dei presenti: riconobbi Idraèlle e Liànthorn, identici al giorno in cui li avevamo incontrati. Al tavolo sedevano anche un Sidhe del Popolo Blu, un emissario di Gohen e, accanto allo scranno vuoto, un altro dvergr ben piazzato, dai lunghi capelli color mogano e la barba ridotta a un folto pizzetto. Portava la chioma rasata da entrambi i lati e attorcigliata in una spessa treccia.

«Heartworth, Beatrice» ci annunciò Trèinor, «conoscete già i portavoce dell'Álfheimr. Vi presento Groc, emissario del Popolo delle Soffitte.» Lo gnomo, che indossava un curioso cappello di lana colorata dotato di pon pon, saltò giù dalla sedia ed eseguì un piccolo inchino. «Cricket Manto Erboso» dichiarò poi, mentre il Sidhe svolazzava attorno agli elfi delle stelle. «E Baruk, mio fratello.»

«Come va?» bofonchiò il nano, senza guardarci.

Presi posto accanto a Groc e Flynn si accucciò alle mie spalle, mentre Trèinor andò a occupare la postazione di fianco al fratello.
Liànthorn se ne stava con uno stivale allungato sulla tavolata e giocherellava con la lama del pugnale. «Ricapitolando, nel giro di qualche settimana le forze dell'Ombra Bianca raggiungeranno le terre nere. Da lì, esistono infinite possibilità. Potrebbero prendere d'assalto Bazal'tgorod, come assediarla o temporeggiare. Se partissimo a breve, dovremmo riuscire ad accamparci in tempo per affrontarli sul campo di battaglia. Sempre ammesso che Bazal'tgorod sia disposta ad accettare il nostro aiuto.» Il Liósálfar sfiorò con la sommità dell'arma un punto presso le sponde del fiume Enisej. Gli occhi di Liànthorn e Idraèlle si spostarono su di me. «Ovviamente, avevamo vagliato la possibilità che l'umana sarebbe stata presente a questa assemblea. Tuttavia, io e mia sorella siamo qui per riportare le perplessità di Gonaash, signore dell'Álfheimr e principe di Laputa.»

Innalzai le sopracciglia e dischiusi le labbra in un moto di stupore: aveva appena nominato Laputa, la città volante dei Viaggi di Gulliver?

«Il mio popolo trova alquanto anacronistico ripristinare l'Asse della Pentapoli» proseguì Liànthorn. «Perché dovremmo impiegare le nostre forze armate e sprecare risorse per una faccenda terrena?»

Il nano più giovane, Baruk, abbatté il pugno contro il tavolo, con una tale violenza che sussultai. «Ma cosa vai blaterando, stecco parlante?» ruggì. «Gonaash sa dove ficcarsi le sue supposizioni, per quel che mi riguarda.»

«Baruk» lo ammonì Trèinor, scuotendo la testa.

«Sono un generale, non un diplomatico, fratello, ma so riconoscere un vigliacco egoista quando lo vedo.»

Liànthorn lo schernì con un sorriso cordiale, preludio di una schermaglia verbale che andò avanti fin quando Flynn non minacciò di sprofondare nel sonno. Neanche io fui esente dalla tempesta di sbadigli. Ero sul punto di rinunciare a seguire il filo dei loro ragionamenti e cedere alle invitanti porte della catalessi, quando Idraèlle scattò in piedi: «Insomma! Adesso basta con queste sciocchezze».

Mi unii ai presenti nel fissare l'elfa come se avessi appena assistito alla performance di un elefante alla Scala di Milano. Nemmeno quando si alterava riusciva a perdere un briciolo della propria grazia.

«Fratello, lo scontro sarà inevitabile per l'intero mondo conosciuto se non verrà arginato il suo seme.»

«Parli bene, sorella» la rimbrottò Liànthorn. «Tu che possiedi la saggezza, illuminaci.»

Lei gli lanciò un'occhiata che, se avesse potuto, gli avrebbe scoccato una freccia al centro della fronte. «Le visioni mostrano che le speranze sono poche, ma in quell'esigua manciata di probabilità in cui l'Ombra Bianca viene fermata ci siamo noi, insieme, uniti per combatterlo.»

«Sono le stupide parole di un'idealista.»

Se solo avessi allungato la mano, avrei potuto toccare l'energia che vibrava tra quei due. Sarebbe bastato leggere fra le righe di quella conversazione per arrivare a capire che vi si stava annidando qualcosa.

«Bene» sibilò Idraèlle. «Trèinor, preparate un grifone. Invierò una missiva agli elfi di Siara.»

Liànthorn rizzò a sedere e i suoi occhi si raggelarono. «Cosa speri di ottenere?»

«L'aiuto che tu non vuoi concederci, naturalmente.» L'elfa distese le labbra in un sorriso celestiale, da cui trapelò un'ombra di irriverente soddisfazione. «E racconterò di come mio fratello, sangue del mio sangue, abbia convinto nostro padre a violare un trattato antico migliaia di anni per mera indolenza.»

«Non cederò il passo a quelle mammolette delle montagne!»

Baruk assistette con particolare interesse alla baruffa, senza nemmeno sforzarsi di mascherare la risata che stava prendendo forma sotto i suoi baffi. Allungai il capo verso Flynn e bisbigliai: «Di che cavolo stanno parlando?».

«Una vecchia faccenda in sospeso. Siara ha promesso contingenti armati in caso di rinuncia alle armi da parte di Laputa.»

«Oh, che gentili.»

«Non proprio. Se la cosa dovesse verificarsi, Siara pretenderà una serie di tasse, controlli sulle rotte commerciali del cielo e il diritto di veto durante le assemblee dell'Álfheimr. Senza contare la piena benedizione di Gonaash nei confronti del matrimonio reale.»

«Matrimonio reale?»

«Evel, principe di Siara ed erede del regno, potrà scegliere la sua sposa tra le Eterne dell'Álfheimr. E ha messo gli occhi su Idraèlle da diverso tempo. Inutile dire che Liànthorn lo reputi un vero pallone gonfiato.»

Iniziavo a domandarmi se quel dannato Liósálfar, nell'arco della sua millenaria esistenza, avesse mai avuto un'opinione positiva di qualcuno.

«Sembra protettivo nei confronti di sua sorella, alla fine» sussurrai.

«Ho ragione di credere che il motivo sia un altro. Una tale unione renderebbe Idraèlle regina. Suo fratello creperebbe d'invidia.»

«Quei due sono parecchio strani.»

Esseri eterei o no, sembravano due ragazzini che bisticciavano per un qualche giocattolo, quasi la questione del conflitto che si sarebbe presto abbattuto su quelle terre non fosse di loro competenza.

«Abbiamo un accordo, quindi?» incalzò Baruk.

Liànthorn incrociò le braccia al petto e annuì, deviando lo sguardo altrove.

«Bene.» Il generale dvergar tirò su col naso, e gli spessi baffi tremarono. «Non resta che riuscire a convincere quegli abomini vaganti a ripristinare la Pentapoli. Oh, e magari intavolare una strategia che non ci faccia ammazzare tutti.»

L'importante era essere positivi.

«Allora, quando partiamo?»

Sette teste scattarono verso di me. «Partiamo?» rimarcò Flynn.

Trèinor si lisciò la barba, sistemandosi contro lo schienale dello scranno. «Credete sia saggio, Beatrice? Sarete a portata dell'Ombra Bianca, in questo modo. Se dovesse uccidervi...»

«E nessuno di noi ha alcuna intenzione di farti da bàlia, umana» ringhiò Liànthorn.

Cricket Manto Erboso atterrò sul tavolo, sedette a gambe incrociate dinanzi a me e mi esaminò: «Cricket percepisce una forza giovane e vivace, nella signorina, ma ne legge l'inesperienza. È un fuoco che richiede del tempo per essere plasmato».

«Un tempo che non abbiamo.»

«Non ti ha chiesto di guardarmi le spalle, elfo» sbottai, attirandomi addosso qualche fischio di incitamento.

I volti dei presenti grondarono un pessimismo tale che la morsa di disagio che mi ghermì lo stomaco mi costrinse a deglutire. Baruk si trastullò le gengive con la punta di uno dei suoi coltelli: «Lì fuori non è uno scherzo, ragazza. Sicura di voler rischiare?».

Abbracciai quella gente con lo sguardo e strinsi i pugni contro il tavolo. «Tutto questo è colpa mia. So che unirmi a voi sembra una follia. Partendo mi avvicinerei a Gorazd, d'accordo, ma credete davvero che, nascondendomi, sarei al sicuro? Lui sa dove trovarmi. Sarei soltanto meno protetta, qui.»

«Non con il bracciale rosso, Trix.»

Il respiro rovente di Flynn mi scostò i capelli dalla schiena, strappandomi un sussulto. Come un colpo d'aria, sgusciò fuori dalla sala sbattendosi la porta alle spalle.

*

Attraversai la piana di sabbia che si srotolava dalla roccaforte del Tré, avanzando tra i rivoli d'acqua della bassa marea che rendevano limaccioso il terreno. A un paio di chilometri dalla cittadina spuntava un'aggregazione di rocce naturali, un largo scoglio rivestito di alghe essiccate dal Sole.

Flynn era lì, ancorato all'altura. Mi arrampicai sotto il suo sguardo e lo raggiunsi, sistemandomi in un'insenatura dello scoglio.

«Ascoltami...»

«Spiegami esattamente quale sarebbe il piano, scricciolo» ruggì, spezzando il mio discorso. «Buttarti nella mischia e sperare di sopravvivere?»

«Sapevi che non me ne sarei rimasta con le mani in mano.»

«Sei una stupida, Beatrice. Credi di sapere tutto, ma non è così.» Flynn premette la sommità dell'artiglio contro il mio sterno e si chinò su di me. «Non è scritto da nessuna parte che io o te salveremo il mondo. Tu volevi solo tornare a casa.»

«Ed è ancora così.»

«No, non è vero. Ti senti responsabile per questa gente, o sbaglio?»

Afferrai l'artiglio e lo allontanai. «Io sono responsabile. Tutto questo è cominciato per colpa mia, riesci a capirlo? L'hai detto anche tu, il giorno in cui ci siamo incontrati.»

«Di cosa stai parlando?»

«Sono stata egoista e avrei potuto contrattare con Gwen. Parole tue.»

Flynn mi guardò. «Vent'anni, Trix, e pesano sulle mie spalle. Capisco che il tuo odio per Gorazd sia incontrastato, ma non puoi sconfiggerlo. Non così.»

«Deve esserci una possibilità.»

«Quello che so è che continui a sfidare la sorte sperando che sia dalla tua parte.»

«Quello che so io, invece, è che avevi promesso.» Strinsi i pugni contro lo scoglio e il mio sguardo si perse oltre l'orizzonte, dove la marea si stava ingrossando e la luce sanguigna del crepuscolo incendiava la superficie del mare. «Credevi che avremmo potuto fermare Gorazd, insieme.»

«E non è cambiato nulla.»

Scossi il capo. «Siamo cambiati entrambi, invece. Io so solo che qualcosa è alle porte e che il tempo si sta esaurendo, e che Gorazd potrebbe sedere sul trono di Bazal'tgorod, un giorno. Abbiamo soltanto avuto fortuna, finora.»

Aveva sempre saputo dove trovarmi. Le nostre anime erano connesse da un laccio incorporeo, ed era impossibile negarlo. Il nodo che si era avviluppato attorno alla mia coscienza si era stretto a tal punto da impedirmi di respirare. Ero coinvolta, indipendentemente da tutto. 


*


«Le sorti di queste persone sono sempre state appese a un filo, solo perché io respiro ancora» dissi.

«E quindi la soluzione sarebbe sacrificarti?» Flynn si issò sulle zampe anteriori, mentre una nota rancorosa si impossessava della sua voce. «Beatrice la martire, così verrai ricordata. Scommetto che ti piace, che queste persone abbiano una così alta considerazione di te. Non l'avevi mai sperimentato sulla tua pelle, vero?»

Spalancai le palpebre, annichilita. «Sei... diventato idiota all'improvviso?»

«Già, dopotutto è questo che sono per te: un idiota, che ti ha salvata tanto tempo fa e vuole farlo ancora. Sciocco credere il contrario.»

«Smettila.»

«Oh!» Flynn mi schernì con una risata che risalì dal più profondo angolo della sua frustrazione. «La mocciosa umana che sa far crescere gli alberi vuole darmi direttive di strategia militare e obbligarmi a credere che sarebbe perfettamente in grado non solo di affrontare una guerra, ma anche di uccidere un Viesczy millenario?»

«Ne ho già affrontata una.»

«E ti sei ritrovata sul campo di battaglia, scommetto.»

Tacqui, mordendomi le labbra.

«Lo immaginavo» sibilò, frustando l'aria con la coda.

Mi ero ripromessa che non avrei pianto ancora, e sarebbe stato così se mi avessero picchiata, torturata o denigrata, ma le parole di Flynn erano metallo incandescente contro la pelle. «Smettila» ripetei.

«Da quando ti ho conosciuta non fai che parlare di te. Tu, la tua famiglia, il tuo paese, gli amici che ti sei lasciata alle spalle, quello che devi fare per riavere tutto questo. Io non sono poi così importante, alla fine, se non come mezzo per raggiungere il tuo scopo.»

«Basta, Flynn...»

«In fondo, perché scomodarti a chiedere in che modo sono arrivato qui?» Le pupille serpentine del drago si affilarono, baluginando di una causticità incattivita che raramente gli avevo visto addosso. «Sai, è curioso, ma mi sono serviti vent'anni del tuo silenzio per arrivare a capire che ero solo anche prima.»

Non fui capace di rispondere.

In fondo, ero stata una cometa di passaggio nella sua lunghissima vita, ma ero scomparsa per così tanto tempo che l'amicizia coltivata nei miei confronti si era tramutata in ideale da preservare. Ora l'ideale si era scontrato con la realtà, andando in frantumi. Tremai: «Arok aveva ragione».

Il dolore mi percosse l'intera metà sinistra del corpo, rubandomi un singulto. Caracollai giù dalla roccia, sulla sabbia molle che si appiccicò in grumi ai vestiti e ai capelli. Flynn calò la zampa sul mio petto, incollandomi al terreno instabile in cui sprofondai. «Non ti azzardare, Beatrice, neanche per un secondo...»

«Arok. Aveva. Ragione» sibilai contro il suo muso, ignorando il respiro rovente che mi incendiava le guance. «Quella dannata Fonte ti ha avvelenato la mente. E vorrei tanto poter dire che sia avvenuto mentre io non c'ero. Dici di essere mio amico, ma non fai che... custodirmi, come una specie di gemma preziosa.»

«Sei molto più di questo, e lo sai.»

Il fiato si compresse nei polmoni, raschiando contro la gola: «Mi stai facendo male».

Un lampo di consapevolezza attraversò i suoi occhi. Alzò la zampa e arretrò.

Mi issai in piedi, barcollando su impulso della scarica di adrenalina. «Partirò con l'esercito di Baruk non appena sarà pronto. La scelta, ora, è tua.»

Rimani, pregai. Non posso farcela senza di te.

Il verso sprezzante che mi scagliò contro fu incapace di nascondermi il vibrante volto della delusione, dietro la maschera di cinismo. «Io scelgo di non vederti morire.»

Flynn spiccò il volo e scomparve nel crepuscolo.

BAZAL'TGOROD | Città di basalto (Vol. I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora