Un sole fantasma sorse oltre il crinale delle montagne, riversando sull'accampamento la luce terrea del nuovo giorno.
Nel prepararmi in vista dell'incontro, risposi meccanicamente agli impulsi del corpo: aprii l'armadio e recuperai un paio di pantaloni di pelle marrone, assieme ai diversi componenti dell'armatura in vastian. La cotta di maglia mi scivolò addosso come acqua. Completai il tutto facendo scattare il meccanismo di fissaggio degli antibracci coordinati al busto, su cui era scolpito, allo stesso modo della corazza, il Sigillo del Cosmo.
Uscii dalla tenda nell'esatto momento in cui l'alba era ancora in bilico tra la notte e il nuovo giorno. Flynn, mutato nella propria forma draconica, mi attendeva nel piazzale. Levò il muso dal suo giaciglio e si issò al di sopra della piccola altura rocciosa: «Sei pronta?».
Annuii, allacciandomi la cappa scura attorno al collo: «Facciamolo».
«Puoi sempre ripensarci. Lo capirei, Trix, davvero.»
Scossi la testa. «No, sono sicura.»
«Davvero? Potrebbe essere pericoloso.»
«Anche sfidare l'autorità del maximum lo è stato, ma ti sono stata vicina.»
Flynn accennò un sorriso. «Vero.»
«E poi, solo noi possiamo farlo.»
«Dici?»
«Non ce li vedo gli elfi, i Sidhe o quel Baruk a contrattare. E temo che il Popolo delle Soffitte non verrebbe preso sul serio. Inoltre, chi meglio di noi conosce quello psicopatico di un Viesczy?»
«Ci tocca.»
«Credo proprio di sì.»
Volammo incontro all'orizzonte opposto rispetto al sorgere dell'astro diurno. Dei lampi che il giorno prima avevano rigurgitato fiamme sulla sommità del pinnacolo di ossidiana, a testimonianza delle ire di una qualche identità celeste, non rimanevano altro che fievoli scintille all'interno della spirale di fumo e vapore. Gli acerbi raggi del giorno – un giorno spento, intrappolato in un limbo perenne – riverberarono sulla superficie di pietra lucida della torre.
«Questa luce...» sussurrai.
«Le terre dei Viesczy sono condannate a non essere toccate dal sole. È tossico, per il loro organismo.»
Flynn planò verso i cancelli di ossa, che si elevavano per almeno duecento metri svanendo nella foschia. Atterrammo nella neve, ai piedi dei colossi in armatura che ci accolsero con il loro mutismo ancestrale. Entrambi, posti ai lati della porta, stringevano le else rivolte verso l'interno, inclinate così da permettere che le lame si incrociassero. Un modo non molto amichevole di sbarrare metaforicamente il passaggio.
Saltai a terra e guardai in alto. Nessun suono: gli ultimi segni di vita erano emigrati dai guerrieri affogati nel fossato. Ora non rimanevano altro che i corpi tumidi del sangue in cui erano rimasti immersi l'intera notte.
Mi coprii il naso con la stoffa del mantello, lottando contro il conato di bile che mi risalì lungo la gola. «Dio, già odio questo posto.»
«Non dirlo a me. Ma dobbiamo fare un tentativo.»
Eseguii un cenno d'assenso, controvoglia.
Flynn prese fiato e ruggì: «Chiediamo di entrare in città. Veniamo in pace per conto dell'Asse della Pentapoli».
In risposta, ottenemmo il fischio del vento e la folata che si abbatté sugli stendardi malandati in cima ai camminamenti, di un blu scuro piuttosto sporco che virava verso il verde, arricchiti dal blasone di tre anfesibene intrecciate.
«È stato un successo» buttai fuori.
Flynn scelse di ignorarmi e tentò ancora: «Siamo qui per conferire con il vostro sovrano».
Seguì un silenzio così profondo da permettermi di udire il martellare frenetico del mio cuore. Non avevamo idea di cosa ci stesse aspettando oltre quella porta che, nella migliore delle ipotesi, sarebbe rimasta chiusa.
«Forse dovremmo provare in un altro momento, drago.»
Qualcosa, però, stroncò il formularsi della mia ipotesi sul nascere: da dietro le spade di roccia, i meccanismi di ossa e ferro che si incastravano a sigillare il cancello generarono una moltitudine di scricchiolii, suono simile a quello del formicolio prodotto da miliardi di zampe di insetto. I colossi ruotarono lentamente su loro stessi, verso l'esterno, e le sommità delle spade disegnarono due semicerchi nella neve. Le statue si fermarono con gli occhi rivolti verso direzioni opposte.
«Be'» osservai, «sarebbe stato più semplice volare oltre le mura e risparmiarci questo spettacolo disgustoso».
Flynn inarcò il sopracciglio, manifestando ancora una volta quella sua espressività fin troppo umana. «E come avresti giustificato una simile mancanza di rispetto al cospetto del principe dei Viesczy?»
Qualunque risposta cadde dinanzi alla presenza delle due guardie comparse dal nulla. Se ne stettero lì, nelle loro armature di piastre nere. Gli elmi, dotati di piccole corna poste sul capo, celavano completamente i loro volti. Qualcosa di disturbante vibrò nella loro presenza, affiancata dalla consapevolezza che fossero in grado di guardarci negli occhi senza che noi potessimo fare altrettanto. Indossavano maschere realizzate con il medesimo ferro traslucido delle armature, completamente lisce e guarnite da due piccoli fori all'altezza delle pupille.
Non parlarono, non ci fornirono direttive né annunciarono il nostro arrivo. Ci diedero le spalle e si incamminarono lungo il viale principale che, dalla porta, si arrampicava fino alla torre.
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BAZAL'TGOROD | Città di basalto (Vol. I)
FantasyCOMPLETA | Irlanda del sud, 1953. È il culmine della notte di Lammas quando Beatrice decide di mangiare le primule, "i fiori che rendono visibile l'invisibile". Lanciatasi all'inseguimento di uno Spriggan, un turbine di fate la conduce alle porte de...