Esploravo il Palast da qualche ora, nel tentativo di memorizzare il maggior numero di percorsi.Man mano che il tempo scorreva scivolandomi dalle dita, mi rendevo conto di quanto fosse inqualificabilmente grande: i draghi che avevano scelto di stabilirsi lì avevano tenuto conto dell'immensità degli spazi, degli atri vuoti e della continuità tra il palazzo e le gallerie naturali che serpeggiavano nel sottosuolo e nel monte. Quest'ultimo stringeva a sé il Palast in un abbraccio asfissiante, simile a quello di un mostro che bracca l'oggetto del suo desiderio, imprigionandolo per l'eternità. Il castello si sarebbe articolato in quattro torri, se la quarta non fosse crollata sotto il peso della valanga rocciosa che l'aveva abbattuta. Le restanti tre, di differente altezza, erano collegate tra loro attraverso una ragnatela di ponti e imponenti pilastri.
Guardai la sfera di luce d'oro che fluttuava alla mia sinistra: una delle fate della strada perduta, incaricata da Gorazd di guidarmi nel corso dell'esplorazione.
I piedi mi portarono all'esterno, sul ponte più alto che connetteva un torrione all'altro. Il crepuscolo bagnava di sangue le alte fronde degli alberi, che crescevano secchi e dritti come un plotone di guerrieri in attesa di attaccare.
Un rumore di colpi pesanti contro il terreno mi riscosse dal flusso di pensieri e volsi lo sguardo: una montagna bianca si trascinava lungo il ponte e la sfera di luce tremolò.
Icaex carezzò il lastricato con la coda, gonfiando e sgonfiando le spire al placido ritmo di un respiro che ricordava quello di una vecchia caldaia. Attesi che mi sorpassasse e proseguisse la sua perlustrazione, invece rallentò fino a fermarsi a qualche metro da me.
Quelle gemme rifulgenti mi scrutarono come la prima volta, quando le avevo incrociate in volo durante il torneo. E come la prima volta fui invasa da un insano torpore, simile a quello di un sogno troppo bello per essere reale. L'illusione si spezzò nel momento in cui i miei occhi si spostarono sui rivoli di sangue essiccato che si raggrumavano fra le scaglie.
«Ci sono volte» sussurrò, modulando la voce nel modo in cui si narrerebbe la favola della buonanotte a un bambino «in cui mi chiedo cosa tu ci faccia qui».
«Il tuo capobranco non ti ha informato?»
«Non parlo dell'accordo con l'Ombra Bianca. Parlo di te fra noi. Non dovresti essere qui.»
Poggiai la mano sulla pietra, tra le merlature, e mi obbligai a ignorare lo spirare rovente contro la mia schiena. «Quello che ci accade non è un caso.»
«Sciocchezze.» Un fremito mi si arrampicò lungo la colonna vertebrale, strappato dall'umido calore del suo alito che si insinuava sotto la stoffa dell'abito. «Non hai fatto altro che disobbedire alle regole, rompendo l'equilibrio di un mondo che ha sempre vissuto in armonia. Quale destino potrebbero aver mai scritto le stelle, per te?»
Desiderai avere una risposta pronta, ma non andò così. Forse non esisteva alcun disegno, in tutta quella storia. Non esistevano profezie in cui sperare o un Dio a cui rivolgere le proprie preghiere, solo un futuro per cui avevo gettato le fondamenta e di cui non mi rimaneva che osservare le intelaiature tessersi da sole.
«D'altronde, voi umani siete sempre stati incapaci di stare al vostro posto.»
Scelsi un silenzio carico di astio, in risposta. Le sue parole fecero male, ma continuai a ripetermi di non aver nulla da dimostrare a lui o ai suoi compagni.
«Icaex il Redentore. È così che mi chiamano, fra queste mura» proseguì, aggrappandosi con entrambe le zampe ai merli che delimitavano l'intercapedine da cui mi stavo affacciando, in modo da intrappolarmi fra quest'ultima e il suo corpo. «Sai perché?»
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BAZAL'TGOROD | Città di basalto (Vol. I)
FantasyCOMPLETA | Irlanda del sud, 1953. È il culmine della notte di Lammas quando Beatrice decide di mangiare le primule, "i fiori che rendono visibile l'invisibile". Lanciatasi all'inseguimento di uno Spriggan, un turbine di fate la conduce alle porte de...