Nel mare di notizie tragiche di routine giornaliera, ogni tanto si incontra qualche storia che dimostra che l’essere umano ha momenti in cui stacca la spina, combinando un guaio, divertendosi.
Durante questi attimi di euforia, molte volte, capita che si compiano delle azioni sbagliate. Definite tale non perché effettivamente siano scorrette, ma per il semplice fatto che la società di oggi, ancora, non accetti il diverso. Anche se, esistono tante concezione di diversità, che vanno dal contrasto parziale o più totale di caratteri distintivi tra persone o cose o, la condizione di chi è considerato tale perché estraneo rispetto ai canoni di una presunta normalità di razza, di propensione sessuale, di comportamenti sociali o semplici scelte di vita.
Venire considerati non omogenei alla società che ci circonda non dovrebbe essere oggetto di imbarazzo, ma di potere. Come un gancio in pieno volto. La diversità caratterizza una persona speciale.
In un mondo dove ormai è presente una fotocopiatrice che stampa figurine tutte uguali, può capitare, dopo dozzine di fogli immacolati, che la macchina s’inceppi. Rivelando qualcosa di ambiguo. Non conforme ai canoni imposti. Pittoresco.
La parola diverso è di uso tipicamente convenzionale che viene utilizzata da molti in senso dispregiativo e puramente negativo.
Ognuno di noi è unico e la diversità è l’unica cosa che ci permette di celebrare la nostra individualità. Essa è bella, unica, elegante e suggestiva.
Era questo il pensiero di Keiji mentre veniva picchiato. Malmenato solo perché particolare e coraggioso. Coraggioso perché aveva avuto il coraggio di aprire il cuore, di amare.
Era forse un male? Perché il suo amore non può essere comparato a quello di un uomo nei confronti della sua donna? Di una madre che bacia il suo bambino?
Queste situazioni non venivano trattate abbastanza e Keiji, sinceramente, non aveva abbastanza forza di volontà per poterlo fare. Non si considerava forte, anzi si considerava proprio un debole. All’apparenza sembrava quasi che scemasse nella sua apparente perfezione. Era inevitabile che maschi e femmine che lo vedessero passeggiare potessero crucciarsi nella loro invidia. Invidia perché lui sembrava così felice.
Non che lui avesse mai fatto qualcosa affinché questa felicità finisse, no, era semplicemente successo che lui fosse cresciuto. Fin da piccolo amava donare il suo sorriso al più semplice degli sconosciuti. Nessuno poteva aver peccato così gravemente da non ricevere nemmeno un suo saluto.
Era successo di botto, anzi no, non era affatto successo nulla, era soltanto capitato che lui avesse scoperto la sua sessualità di punto in bianco. Soppressa fino all’età di sedici anni, Kozume, il suo migliore amico di quei tempi, si era dovuto subire per quasi due settimane, Keiji alla presa con una crisi d’identità.
Si sentiva sbagliato.
Come avrebbe reagito la società? Noi che non siamo in grado di includere e accettare quello che per la nostra soggettività riteniamo differente, rispetto al concetto di norma a cui ci sentiamo di appartenere. Ci fa paura e tutto questo produce atteggiamenti e comportamenti di discriminazione. Ci manca la capacità di comprensione e tendiamo a cercare ciò che è più simile ai nostri canoni estetici, esistenziali, alle nostre credenze, come unico modello possibile di vita. Oltre che farci paura, pensiamo che la diversità sia la portatrice di una pericolosità sociale. Per questo la temiamo. E continuerà così se non mettiamo da parte le nostre insicurezze.
Come avrebbe reagito la sua famiglia? Lui che era il figlio prediletto, perfetto e che non usciva mai dalle righe. Effettivamente non conosceva bene sua madre e ancora meno la possibile reazione del padre. Sapeva che fossero all’antica, che per loro la scolarizzazione fosse il fulcro di una persona e che soltanto se, quest’ultimo, avesse avuto un giusto grado di studio avrebbe potuto avere l’onore di stare al fianco del figlio. Certo, Keiji aveva studiato nella sua vita ed anche tanto, ma oltre che chiedere aiuto su qualche compito di algebra non aveva fatto. Quindi di punto in bianco non poteva uscirsene con un: sono gay.
Quindi giusto per concludere, possiamo definire con certezza che la vita non è giusta. Perché alcune persone sono più fortunate di altre, soltanto per il fatto di essere deliziosamente perfette, e di sicuro, Keiji, in questo stato di “apparente perfezione” non faceva parte, non che gli importasse più di molto nella sua individualità, e si sentiva anche fortunato per questo. Anzi si rattristiva quando sentiva di donne maltrattate, di gesta razziste o di blasfemie pronunciate tanto per il gusto di dirle, ed era proprio per questo che era fiero. Anzi fierissimo. La stampante con lui aveva fatto cilecca ma non era importante perché se la società non l’avesse accettato, se sua madre o suo padre l’avessero cacciato di casa, lui avrebbe continuato a vivere. Abbiamo sempre qualcuno pronto a darci una mano o un pugno quando ci serve. E lui lo sapeva, perché al suo fianco poteva bearsi della presenza di Kotaro, un ragazzo vagamente stupido e diversamente ideale. Proprio come lui.
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Apparente perfezione |Bokuaka|
Ficción GeneralKeiji ha capito dopo lunghi ragionamenti che forse l'essere "perfetti" fa schifo. //Breve one shot senza pretese, scritta di getto durante un momento di malinconia. Spero sia di vostro gradimento, un bacio.