Estratto

17 3 0
                                    


Cescz*, mi chiamo Lech Kowalski, e questa è la storia di come è cambiata la mia vita anno per anno, dal 1989 ad oggi.

Sono nato a Pilzycza, nel Voivodato*di Santacroce, e sono il quarto di cinque fratelli.

Nel Settembre 1989, un mese prima della mia nascita, cadde la Cortina di Ferro* e dopo 43 anni di dominio Sovietico, Lech Walesa , un sindacalista fondatore di "Solidarnosc"*ed ex elettricista di Popowo, divenne il primo presidente della Repubblica di Polonia. Mio padre lo ammirava e stimava a tal punto che mi diede il suo nome.

Il mio villaggio, nonostante fosse di appena 200 abitanti, era accogliente e generoso: ci conoscevamo tutti, ed era come se tra le famiglie esistesse un legame di solidarietà creato da anni di condivisione di difficoltà, grandi sacrifici, rare soddisfazioni epoche gioie.

Come si poteva prevedere, Pilczyca non era né una città turistica né una metropoli: oltre a qualche centinaio di case, qualche negozio di alimentari, la chiesa di Sant'Arcangelo Michele e il cimitero, c'era poco altro. Questo bastava però per farmi sentire in armonia: c'erano prati immensi dove si poteva giocare a pallone d'estate e correre a braccia aperte, seguendo le correnti d'aria, e poco distante piccoli boschi dove in estate andavo a raccogliere mirtilli e lamponi e in autunno funghi, coi miei fratelli più grandi.

La Chiesa di Sant'Arcangelo Michele, tappa insostituibile nella Domenica della mia famiglia, era stata costruita in stile tardo romano nel 15esimo secolo dal conte Zamoyski, in seguito ricostruita nel secondo Dopoguerra dal sacerdote Kaminski. L'edificio consacrato era circondato dalle lapidi dei miei bisnonni e di altri antenati dei miei concittadini. Sopra il portone principale vi era un rilievo della Madonna con Gesù Bambino. I muri esterni erano costruiti in mattoni di un colore rosso brunito, nei quali si affacciavano strette finestre ad arco, mentre la punta del campanile e il tetto della navata erano ricoperti da tegole di argilla rossa.Qui i miei genitori si erano sposati nel lontano 1972, e qui eravamo stati tutti battezzati e cresimati, io e i miei fratelli.

Mia madre e mio padre avevano 20 anni di differenza ma si amavano come due 15enni al primo appuntamento. Il mio papà, un uomo di una cinquantina d'anni e dai baffi vistosi, era una persona umile ma rispettoso: buono d'animo e severo quando era opportuno, come consuetudine andava a messa ogni domenica e si ammazzava di lavoro :era il suo modo di dimostrarci che ci voleva bene e che teneva a noi.

Mia madre, di anni ne aveva 35, bionda e dalla carnagione chiarissima aveva qualche kilo di troppo per colpa delle passate gravidanze e si era lasciata un po' andare, ma quando si erano conosciuti era una bellissima donna. Donna, non ragazza, anche se di anni ne aveva solo 18 quando si erano fidanzati, ma era dovuta maturare in fretta avendo perso il padre da piccola. Mia nonna era stata anche miss del paese,molto bella ma con un carattere facile alla depressione, e rimasta vedova aveva trascurato la figlia. Ecco perchè quando mia madre aveva incontrato mio padre nel cortile della chiesa la domenica delle Palme le era sembrato subito un ancora di salvezza, un uomo solido e concreto che potesse darle quella tranquillità e stabilità emotiva che le erano sempre mancate.Tuttavia quella insicurezza derivata dall'aver perso un genitore, o forse trasmessale dalla madre, le aveva lasciato addosso una specie di incapacità di trasmettere affetto. Sono sicuro che mi abbia sempre voluto bene, infatti non mi faceva mancare nulla, eppure non mi sono mai sentito del tutto amato,in un certo qual modo respinto. Chissà forse attribuiva a noi figli di averle tolto prematuramente quella freschezza giovanile dei suoi diciotto anni. Fatto sta che tutt'ora non ci sentiamo da qualche anno.

Con mio padre , invece il rapporto era diverso: quando ero piccolo,era sempre sorridente quando mi vedeva, anche se era stanco. La sera quando rincasava dai campi, dopo essersi ripulito sedeva a tavola con tutta la sua famiglia ed era sempre entusiasta di ascoltare tutti i suoi figli, che egli considerava preziosi doni di Dio, che gli raccontavano cosa avevano fatto a scuola. Ogni sabato mattina,slegava il cavallo da traino, mi posava sulla schiena poderosa dell'equino e andavamo a fare una passeggiata al lago più vicino.Non tutte le strade erano asfaltate, soprattutto quelle secondarie.Ricordo che mi piaceva tirare i sassi in acqua, e osservavo mio padre estasiato, proprio perchè con un effetto magico, sapeva far rimbalzare i sassi che lanciava nel lago.

Estratto de " Dalla Polonia alla terra d'Italia"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora