Capitolo 7

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Con l'inizio dell'anno scolastico, la vita di Mina diventava ancor più frenetica. Scandita dalla severità di Eva, il tempo libero estivo si trasformava per la ragazza in un vago e sbiadito ricordo, relegato a qualche minuto pomeridiano e alle serate del fine settimana. La matrigna le imponeva la sveglia alle cinque, seguita da un duro allenamento mattutino alla sbarra con la sua insegnante di danza classica. Finito l'allenamento, svelta in doccia per prepararsi alla giornata. Una colazione veloce e striminzita e poi di corsa a scuola. Terminati gli impegni scolastici, di nuovo ad allenarsi, con corsi intensivi di canto, danza, recitazione e portamento. Eva voleva, per Mina, tutto quello che non aveva ottenuto per se stessa. Sognava Hollywood, e poco importava che quelli non fossero gli stessi sogni della ragazza. Glieli aveva imposti, senza mai chiedere un'opinione che Mina, comunque, non aveva mai sentito il bisogno di dare. Eva era entrata nella vita della ragazza dolcemente, e per Mina il suo arrivo fu quasi un sogno ad occhi aperti: non aveva mai provato davvero l'affetto materno, avendo perso troppo presto Nadia, e aveva visto da subito in quella donna una figura materna e amorevole. Le voleva bene, così tanto che, negli anni, non era mai riuscita a dirle di no.

«Oggi pomeriggio ho un corso a scuola, la lezione di canto salterà» sussurrò Mina, addentando il suo pane tostato. Eva la guardò senza scomporsi, poggiando delicatamente la tazza in porcellana che ospitava il suo caffè amaro. Sorrise appena, alzando un angolo della bocca, mentre uno sguardo furtivo finiva sui cereali che John continuava a versarsi.

«Che corso?» chiese tranquillamente, afferrando una mela dalla fruttiera a centro tavola. John, nel frattempo, lasciò la colazione in balia di se stessa, iniziando a correre per tutta casa urlando e fuggendo dalla domestica che voleva costringerlo a mangiare una banana. Eva fece poco caso al figlio, troppo presa dalla conversazione con la ragazza.

«Per il musical di metà anno, sai quanto sia importante per la scuola» spiegò Mina, pulendosi gli angoli della bocca con il tovagliolo. Lo posò poi sul tavolo, alzandosi. La sua colazione era finita, e Eva non sembrava preoccuparsene.

«Per la scuola, appunto. Non per te. Quel musical non ti farà entrare alla Juilliard. E tu vuoi entrarci, giusto?» Mina deglutì sonoramente, provando a respirare. Voleva riuscirci? Non ne era poi tanto certa, eppure annuì alla matrigna, che le sorrise in modo comprensivo e fiero. Eva era davvero orgogliosa di quella ragazza, così bella e talentuosa. Sapeva che, prima o poi, quegli sforzi sarebbero stati ripagati e sapeva che, un giorno, Mina l'avrebbe ringraziata.

«Ho già dato la mia disponibilità» aggiunse la ragazza. Giocava nervosamente con la lunga treccia che le cadeva sul fianco destro, attenta a non ricambiare mai lo sguardo severo della donna. Mina in casa sembrava un'altra persona: tanto audace e autoritaria fuori, quanto docile e remissiva con Eva. Avrebbe voluto urlare, dirle che quello era il suo ultimo anno e che voleva goderselo, che le poche volte che aveva immaginato il suo futuro, ci aveva visto altro. Quei pensieri, comunque, le morivano sempre in gola.

Eva annuì impercettibilmente, senza aggiungere altro. Si alzò anche lei dando le spalle a Mina. La reginetta del ballo sapeva che quello era un consenso, seppur tirato e controvoglia. I Ramon erano, tra i genitori, i maggiori finanziatori di quel liceo: molte aule e molte attrezzature c'erano grazie a loro, e Mina doveva partecipare agli eventi scolastici. Eva lo sapeva, e non poteva cambiare la situazione, nonostante le continue lamentele. Ne parlava spesso con il marito. Lui annuiva e si voltava dall'altra parte, sempre troppo occupato con i suoi pensieri per dedicarsi alla moglie e alla famiglia.

***

La mattinata scolastica era volata. A Mina piaceva la scuola e non le pesava impegnarsi. Non più di quanto le pesasse farlo per le arti sceniche. Inoltre, erano ancora i primi giorni, e i professori non si erano del tutto trasformati in tiranni. Ancora li lasciavano liberi, con pochi compiti da svolgere e quella fioca libertà di sorridere che, andando avanti, sarebbe scomparsa con l'incombere degli esami finali.

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