Caterina era arrivata a Roma da pochi giorni e nonostante le piacessero le feste, quella sera a casa di Marianna, l'unica romana della sua età che conoscesse, si sentiva a disagio. Si stava guardando intorno. quando improvvisamente squillò il telefono. Era Guido. Chiese a Marianna dove potesse fare una telefonata. "Puoi andare in camera di Dario, è la porta qui di fronte. Mi raccomando, non toccare niente e non mettere in disordine: è un fissato, e se scopre che ho fatto entrare qualcuno in camera sua... beh, non so se te lo ricordi, ma non è molto garbato quando si arrabbia!" concluse la ragazza. Caterina rise, ricordando due bambini che si rincorrevano lungo le spiagge di Formentera: lui dietro di lei armato di rastrello e paletta, minacciando la sorellina che aveva innocentemente usato il suo Gameboy senza chiedere il permesso. "Saranno passati otto anni, ma me lo ricordo ancora" disse con un sospiro di nostalgia, perdendosi nei ricordi di quella bella vacanza, quando le cose erano semplici e sembrava di vivere in un mondo ovattato. Marianna si girò finalmente verso di lei, forse notando la malinconia nel suo tono, ma si limitò ad una mano sulla spalla. Il telefono aveva ormai smesso di squillare, se ne accorse, così uscì velocemente dalla stanza precipitandosi in quella del fratello di Marianna. Aprì la porta mentre digitava il numero sul telefono. Le persiane della camera erano abbassate, quindi era tutto buio pesto. Appoggiò il telefono all'orecchio reggendolo con la spalla mentre questo squillava, cercando a tentoni nel buio l'interruttore di una luce, cercando di non far cadere o rompere niente, ricordando le raccomandazioni fatte poco prima dalla sua amica. Il telefono, intanto, continuava a squillare senza dar segni di una risposta da parte di Guido. Continuando la sua disperata ricerca nel buio, Caterina alzò gli occhi al cielo. "Ci risiamo" pensò. Sperava di sbagliarsi, ma ormai lo conosceva e sapeva che anche quella volta, avrebbe dovuto passare almeno un quarto d'ora a sentire lamenti e piagnistei su quanto fosse importante l'essere costantemente reperibili in una relazione a distanza, su quanto era palese che a lei ormai non importasse più niente di lui, sul fatto che era una battaglia persa in partenza e che la loro relazione era ormai giunta ad una fine. Forse l'insieme di questi pensieri decisamente non incoraggianti, si fece troppo vivido in lei creandole un senso di fastidio, così la ragazza fu troppo violenta nel tastare quello che inconsapevolmente aveva davanti. La prima cosa che sentì fu una consistenza diversa da quella del muro che era sicura avere di fronte, poi seguirono una serie di tonfi sordi, per terminare con il terribile rumore di ceramica spaccata. Caterina sgranò gli occhi e cercò di muoversi il più piano possibile. Fortunatamente, su quella che si scoprì essere poi una mensola, trovò una lampada che accese, anche se non pronta ad assistere al disastro che aveva appena combinato.
"Gentile cliente, il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile, la invitiamo a richiamare più tardi". Il suono di quella fredda segreteria nelle orecchie, e il fatto che il suo ragazzo le attaccato il telefono in faccia per ripicca, e il pasticcio appena fatto, si combinarono dandole non una leggera rabbia. Scaraventò il telefono sul letto ben fatto che si trovava alla sua destra. Guardo ai suoi piedi e vide una serie di libri mezzi aperti sul pavimento, e quelli che sembravano essere dei pezzi un piccolo piattino colorato. Si accovacciò e iniziò a raccogliere i libri mettendo da parte i frantumi. Alzò lo sguardo e capì che Marianna non aveva esagerato: era nella stanza più ordinata che avesse mai visto. Alla sua destra, sul letto dove aveva lanciato il cellulare, vi erano ordinate due file di cuscini azzurri perfettamente intonati al colore delle pareti. Accanto al letto su un comodino troneggiava un lumino bianco e azzurro con lo stemma della Lazio, e accanto a questo erano posati caricabatterie peculiarmente arrotolato e un pacchetto di sigarette. Alle sue spalle invece, sulla scrivania, non un libro né una penna erano fuori posto. Dario doveva aver scelto medicina all'università, a giudicare dai titoli dei libri lo scaffale al di sopra della scrivania era pieno di tomi, rigorosamente ordinati, sicuramente con qualche criterio, forse l'ordine degli esami, o della difficoltà...ma no, probabilmente una persona così maniaca dell'ordine non avrebbe scelto un parametro così soggettivo secondo cui ordinare quei libri, decisamente dovevano esser stati catalogati in base all'ordine con cui li aveva o doveva farli.
Sul muro non c'erano poster o quadri. Spiccavano solo tre immagini: un foto incorniciata e, a parer di Caterina, molto impersonale che ritraeva il panorama di New York vista da Staten Island, una di quelle classiche foto in bianco e nero che piacciono a tutti e a nessuno, che trovi da Ikea e la compri solo per riempire uno spazio vuoto su una parete di qualsiasi colore. Spiccava poi sull'imponente armadio di legno bianco laccato, che riempiva quasi tutta la parete fino ad arrivare alla mensola davanti alla quale si trovava Caterina, una polaroid attaccata con lo scotch. Si sporse a guardarla e vide dentro di questa due ragazzi abbracciati e sorridenti su un muretto bianco, che le fece subito pensare a qualche isola greca, o magari alle Eolie, notando che la ragazza aveva addosso un pareo fucsia tappezzato da una fantasia di piccoli gechi bianchi. Caterina si allontanò dall'immagine pensando che probabilmente, era stata la ragazza nella foto (chissà, una fidanzata) a convincere il ragazzo ad attaccarla con così poca precisione sull'armadio. Si riaccovacciò e raccolse i libri che avevano fatto cadere, notando che erano tutti in disordine. Li rimise sulla mensola provando a immedesimarsi nel maniacale fratello di Marianna, cercando di indovinare il criterio con cui sicuramente erano disposti questi libri prima della caduta. E fu in quel momento che notò l'ultima immagine della stanza: una foto ritraeva un ragazzino sui dodici o tredici anni, che reggeva tra le mani entusiasta quello che sembrava un trofeo. Aveva indosso una divisa da calcio azzurra, Caterina non lo sapeva perché non aveva mai guardato il calcio, ma sospettava fosse della Lazio. Il ragazzo sembrava sprizzare gioia da tutti i pori, con le gote rosse e tempestate di lentiggini, e gli occhi di un azzurro intenso, che si notava nonostante fossero semichiusi dal largo sorriso. Ribelli riccioli biondi pendevano fin quasi alle spalle. Guardandolo sorrise: ricordava davvero poco di lui e dell'unica vacanza che avevano fatto insieme, ma aveva ben presente la timidezza della bambina di otto anni che era all'epoca, a cui tremava la voce anche solo per chiedergli di passargli un bicchiere d'acqua a tavola. Lui invece lo ricordava sveglio e intelligente, a volte un po' prepotente, ma comunque un ragazzo molto piacevole e ben educato. Soprattutto, parlava sempre ed era una persona allegra. Quanto era cambiato lo avrebbe scoperto pochi secondi dopo.
Improvvisamente la porta alle sue spalle si aprì: Caterina, assorta di nuovo nei ricordi, si girò di scatto e sentì il cuore salirle in gola. Quello che per puro buon senso doveva essere Dario sembrava abbastanza turbato dalla situazione, e sembrava completamente un'altra persona dal ragazzo della foto. Gli anni di distanza da quest'ultima gli avevano donato un bel po' di centimetri. Si notavano le spalle robuste anche da sotto l'elegante cappotto nero che il ragazzo portava. Sul viso, le lentiggini erano scomparse insieme all'espressione allegra e vivace. Gli occhi azzurri d'altronde, erano rimasti della stessa intensità. I capelli ricci non erano più lunghi e ribelli, ma corti pettinati in modo molto preciso. Indossava, sotto al cappotto, un maglioncino di filo grigio a girocollo, e dei pantaloni jeans a gamba dritta. Ai piedi, un paio di mocassini. Dario doveva avere venti o ventun'anni, ma a guardarlo sembrava un uomo adulto, disciplinato, serio.
Caterina stava per parlare quando lui spostò lo sguardo al piattino di ceramica in mille pezzetti ai suoi piedi.
Colse nel suo lievissimo sospiro un visibile dispiacere. Si abbassò senza dire niente, senza guardarla, raccogliendo nelle mani scarne anche le schegge più impercettibili. Nuovamente, interruppe con veemenza Caterina che stava per parlare: "Che cosa ci fai qui?". Non sembrava neanche una domanda, ma già di per se un rimprovero.
"Io, ehm, scusami" iniziò la ragazza balbettando per l'imbarazzi misto a una leggera sensazione di paura. "Io dovevo fare una telefonata e, ho pensato di poter venire qui.". Era decisa a non far ricadere la colpa su Marianna. Il ragazzo aprì la bocca con una pericolosa espressione di arroganza mista a fastidio. Ma poi, come se qualcuno nell'orecchio gli stesse sussurrando di trattenersi, chiuse gli occhi e scosse il capo, perlustrando il pavimento con il palmo delle mani in cerca di ogni singolo frammento di ceramica. Tuttavia la sua rabbia non riuscì a comprimersi dentro di sé. "Mi sembra abbastanza ovvio che quando una porta è chiusa, e una stanza è buia, è perché nessuno ci deve entrare.". Fece contorcere lo stomaco a Caterina che stava lì, immobile, senza dire niente.
"Hai altro da fare qui dentro oppure puoi andare?" chiese Dario, finalmente girando la testa e guardandola in faccia. Non seppe mai se il suo sguardo indagatore fosse un effetto del fatto che vagamente la ricordasse, o stava semplicemente analizzando con fare quasi scientifico la fonte del suo fastidio.
"No, no, ecco, ora vado via, scusami." Balbettò ancora Caterina, un po' spaesata. Aprì la mano in cui teneva un pezzetto del piatto rotto. Prima di porgerglielo lesse la scritta su di esso. "Entera 2007". Lo spacco alla sinistra tagliava la prima parte della parola, ma doveva per forza essere quella. Sorpresa, ignorando i modi scorbutici del ragazzo, sospirò "Formentera 2007. Io ero lì con te". Il ragazzo davanti a lei girò la testa guardandola di nuovo e fece due più due, sua madre doveva avergli raccontato del trasferimento. Anche lui sembrava abbastanza stupito, forse era quello il motivo per cui non aggiunse nulla.
"Io sono Caterina" aggiunse la ragazza. L'espressione incattivita parve scomparire dal suo viso. "Ciao" rispose lui secco.
Caterina rinunciò a cercare di rimediare alla situazione, gli porse il pezzo di ceramica e si alzò dirigendosi verso la porta. Si chiuse quest'ultima alle spalle cercando di mettere più distanza possibile tra lei e la stanza di Dario. Pensò a Guido e alla chiamata che non avevano più fatto. Sbuffò e cercò il cellulare nella tasca. Vuota. Le scivolò un mattone nello stomaco quando si ricordò di averlo gettato sul letto di Dario. Contrariata tornò sui suoi passi verso la stanza del ragazzo. Bussò.
"Avanti" sentì dire al ragazzo.
Aprì la porta molto timidamente per paura di averlo di nuovo irritato. Lo trovò seduto sul letto, davanti a lui aveva riassemblato i pezzetti del piatto e li fissava, assorto nei suoi pensieri, con sguardo vacuo. Nella mano destra reggeva il telefono di Caterina.
"Ehm, ho dimenticato..." fece Caterina indicando con un colpo della testa l'oggetto nella sua mano.
"Oh, si, ecco" ribattè lui, risvegliandosi dai suoi pensieri, sporgendosi verso di lei, con sguardo quasi colpevole. Le loro mani si toccarono quando lei si fece avanti per prendere il cellulare. Lui gliela strinse e la guardò intensamente. Non lo disse, ma Caterina capì che si stava scusando per le sue maniere. Impercettibilmente lei annuì per fargli capire che non se la era presa.
"Scusami ancora per il piattino, era un bel ricordo" azzardò, convinta che qualcosa fosse cambiato nel suo atteggiamento.
"Oh, no figurati" rispose lui, lasciando con la mano Caterina e portandosi la sua sulla nuca. Si girò a guardare il piattino sul letto e aggiunse: "riuscirò ad aggiustarlo, suppongo." Caterina annuì di nuovo e si girò verso la porta. Stava abbassando la maniglia e si bloccò al suono della voce profonda di Dario.
"Ho saputo di tuo padre, mi dispiace molto, Caterina". Colpita da quella affermazione, ruotò il collo verso di lui. Una strana espressione si percepiva dal suo sguardo. Convinta di stargliene restituendo una altrettanto bizzarra, biascicò un grazie con le poche parole che le erano rimaste in gola, spinse in avanti la porta e la chiuse alle sue spalle._______________________________
Ho scritto questa storia circa un mesetto fa, dopo la fan fiction avevo voglia di creare qualcosa distaccato dalla saga. fatemi sapere se vorreste continuare a leggerla ❤️
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Una storia
General FictionUna ragazza, una nuova città, un passato che apre un futuro diverso