Una seduta sul mio letto, una su quello di Saul, e una poggiata alla scrivania.
Tre figure in camera mia...
Rimango immobile, non oso far volare una mosca.
Ieri sera ho controllato e ricontrollato di aver chiuso tutto a chiave, ma allora come cavolo hanno fatto i ladri a entrare? E che razza di ladro ruba alle 6:30 di mattina?
«Ehilà? Il gatto ti ha mangiato la lingua?»
Sussulto ancora.Questa voce... perché mi sembra così familiare?
«Irene, stai bene?»
«Io lo avevo detto che si sarebbe spaventata» dice una seconda voce, una da uomo, calma e profonda... simile a quella di mio padre. «Dovevamo aspettare che sollevasse le avvolgibili.»
«Alzati, bimba.» Odo una terza voce, una da donna, che non conosco.
Mi muovo molto lentamente, allungo il braccio verso la cordicella dell'avvolgibile...
Nessuna delle figure mi attacca, così tiro per lasciar entrare la luce.
Allora strizzo gli occhi e fisso i visitatori. Inforco gli occhiali e...«Eccoci qua!» Mi volto di scatto verso l'individuo alla scrivania, colui che ha appena parlato.
È la donna. È un po' in carne, con le mani mascoline allungate verso di me come a volermi toccare. I suoi capelli sono biondi e ondulati, gli occhi brillano di grigio, e le labbra carnose sono allargate in un sorriso radioso. Indossa un vestito da casa lungo fino alle caviglie, bianco con su stampate farfalle rosa e verdi. Avrà una trentina d'anni, sebbene vesta con un abito tipico da anziana.
E poi l'uomo seduto sul letto di Saul, più o meno coetaneo della signora. Ha la faccia squadrata, gli occhi da rana azzurri e un poco di barba sulla mandibola, scura come i capelli schiacciati. Come i connotati del volto, la sua camicia grigia chiaro mi stuzzica i ricordi, così come i lunghi pantaloni morbidi.
E lo stesso per il ragazzo sul mio letto, dai capelli color carota lunghi fino alle spalle. L'espressione è ribelle, ma gli occhi grigi sono dolci. È vestito con una semplice t-shirt nera e jeans blu.
Lui è Michele. Mio cugino... mio cugino deceduto...
Mi sorride come faceva sempre, sollevando solo un angolo della bocca in maniera accattivante, la fossetta che ricordo bene gli scava la guancia. «Irene» mi saluta, facendo il gesto di togliersi il cappello.Ritraggo le gambe portandomi le mani alla bocca.
Lui però prova ad allungare le braccia. «Senti...»
«Zitto un po'!» strillo. Mi porto le dita tra i capelli e dondolo sul posto. «Ooooh... Sono impazzita...»
«Che? No no, Ire, tu non...»
«Zitto!» Scatto in piedi e sguscio di fronte all'uomo che, sono sicura, si tratta di mio nonno Luigi in una versione più giovane. Attenta a non sfiorargli le ginocchia, premo le spalle contro il muro e continuo a fissare quelle tre allucinazioni. «No... anche questo no... ora vedo pure le cose...»«Guarda che siamo qui per davvero» insiste Michele.
Mi volto di scatto verso di lui, fissandolo talmente male da farlo azzittire. «Tu non mi dici come stanno le cose» gli sibilo contro. «Tu non ci sei. Sei solo una proiezione del mio cervello malato che tenta di farmi capire che io devo andare al manicomio!»
«Ecco, non hai capito.»
«Zitto!»La donna prova ad avvicinarsi, ma io le sguscio sotto il braccio e corro fuori dalla mia stanza fino a nascondermi in bagno. Chiudo il lavandino, lo riempo d'acqua e ci getto dentro la faccia.
Una volta tiratami su e asciugatami, più sveglia che mai e più lucida di prima, vado cauta ad affacciarmi in camera.
Quando li vedo ancora, tutti e tre lì, lancio un urlo esasperato che pare più il verso di una cornacchia.«Ascolta!» mi chiama l'uomo, ancora con il suo tono tranquillo e rassicurante. «Siamo noi, Irene. Sono io, nonno Gigi. E c'è Michele. E pure nonna Rosalba.»
Guardo la donna, che insiste a fissarmi con dolcezza. Quella è nonna Rosalba? La nonna che non ho mai conosciuto? Che è morta di malattia prima che io nascessi?
Ma se non l'ho mai incontrata, come posso immaginarla?
Dalle foto! Certo, ho visto molte suo foto di quando era giovane.
Chiudo gli occhi prendendo lunghi respiri profondi, nel tentativo di rilassare la mente...
Va tutto bene: Saul è vivo, io sono a casa, e presto riabbraccerò mio fratello; poi, una volta da soli io e lui, lo prenderò a pugni per essersi dimenticato l'inalatore e avermi fatto quasi venire un infarto.
È tutto apposto.
Va tutto bene.
Io non vedo nessun morto, non ho abilità paranormali, non sono una medium.
Loro non esistono davvero.Riapro gli occhi, molto lentamente... e loro ci sono ancora!
«Basta!» sbotto isterica.
«Siamo davvero noi, Irene!» mi chiama la mia presunta nonna. «È il Signore Dio Padre che ti ha permesso di vederci. Lo hai chiesto tu, perché ti sentivi sola.»
«Sì sì, certo» sbuffo con acido sarcasmo.
«È vero, amore, noi...»
«Io non parlo con voi! Se non vi parlo, guarirò, e sparirete. Anche perché in manicomio io non-ci-vado!»
Michele corre verso di me e ho l'impulso di spostarmi, ma subito cerco di ricompormi e mi avvicino all'armadio per recuperare alcuni vestiti. Se non esiste, non può toccarmi, non c'è bisogno che mi agiti.Mio cugino però dice: «Tu ti sentivi abbandonata, e Lui ti ha permesso di vederci per farti capire che non sei sola, che noi siamo qui. E che di conseguenza c'è pure Lui».
«Beh, io non Lo vedo» sussurro inferocita, prima di rimproverarmi mordendomi forte la lingua.
Non devo rispondere, perché parlerei soltanto con me stessa! E parlare da soli è una cosa stupida, da pazzi!
È come quando immagino di parlare con i personaggi dei miei libri, solo che improvvisamente è diventato tutto più realistico... ma niente è reale, niente.
«Siamo qui per aiutarti, e...»Sbatto loro la porta in faccia per rintanarmi nuovamente in bagno, lavarmi e vestirmi.
Già sono lenta, ma in questo momento metto tutta me stessa pur di impiegare almeno trenta minuti nelle operazioni. Mi fermo più e più volte con le mani poggiate sul lavandino, a fissarmi allo specchio, a indagare i miei occhi marroni per cercare qualche scintilla di pazzia...
Io sono folle, non ne ho dubbi, ma si è sempre trattata di una follia ben accolta, un'anomalia positiva che mi permette di creare un mondo che amo ma da cui riesco comunque a fuggire per non mandare completamente in tilt il mio cervello già di per sé menomato.
Adesso però fantasia e realtà si stanno mischiando, non riesco più a distinguerle...È come uno dei racconti tedeschi del Romanticismo. Come Il vaso d'oro di E.T.A. Hoffmann, quando il protagonista, Anselmo, finisce ad Atlantide e non ne esce più: Atlantide rappresenta il mondo utopico che lo rende felice. Quindi, nella sua pazzia, lui è contento.
Ma io... io sono contenta come lui? E se fosse peggio? Io non mi sento contenta, mi sento soffocare... Mi sento più come Nathaneal di Il mago sabbiolino, del medesimo autore: questo protagonista ha avuto un trauma infantile che si ripercuote durante i suoi vent'anni e gli provoca ansie e paranoie futili, vede una creatura demoniaca in un mondano uomo maligno, non riesce a distinguere uomini veri da automi e...E quindi, quei miei tre parenti sono... Cosa sono? Non vogliono farmi del male, la mia mente non li creerebbe mai e poi mai in una versione "dark angel"...
Neanche mi piacciono le storie con i demoni, quando provo a leggerle sento sempre come se Dio si allontanasse...
Perciò, quei tre miei "amici immaginari" sono buoni, almeno su questo ne sono sicura: non devo temere che scattino all'improvviso per tentare di spaventarmi, anche se lo stanno comunque facendo.
A meno che io non tema che Dio voglia punirmi per le cose che Gli ho detto ieri sera. Mi sta forse castigando?Guardo in alto e incrocio le braccia con stizza. «Tu sei mio Padre. So che Tu sei il Signore Onnipotente, ma vuoi o no che Ti consideriamo nostro Padre? Bene, io litigo spesso con mio padre. Litighiamo, ma ci amiamo lo stesso. Sì, Dio, perché io Ti amo, non Ti odio. Sono arrabbiata con Te per quel che è successo a mamma, ma non Ti odio! So che lo sai! Quindi perché adesso mi fai pure impazzire?! Perché ieri ho sclerato contro di Te? Ma è normalissimo sclerare contro il proprio padre! I-io Ti ringrazio di avermi creata e avermi donato la vita, sono davvero grata, sul serio, su questo non ho dubbi. Ma ciò non può implicare che io non possa prendermela con Te! Sono un'essere umana, mortale e peccatrice, non ho la Tua santa pazienza. E credo di non essere neanche l'unica a essermela presa con Te per determinate cose... Allora perché mi stai facendo vedere...» Rabbrividisco forte. È come se il mio cervello sia diventato di gelatina... «Dio... Sono reali?» sussurro, stretta tra le mie stesse braccia. «Sono davvero...» m'interrompo, premendomi le mani sul viso.
Sono pazza... o no?Forse c'è solo un modo per scoprirlo... o forse no...
In ogni caso, non posso rimanere chiusa in bagno per sempre.
Qualunque cosa siano quelle tre presenze, almeno stanno rispettando la mia privacy.
Poso le dita sulla maniglia, prendo un respiro profondo... ed esco.
Mi affaccio in camera.
Loro non ci sono.
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Il Paradiso a casa mia
Teen FictionDopo la scomparsa della madre a causa di una malattia, Irene è caduta nella confusione più totale. Vuole isolarsi dal resto del mondo, non tollera che gli altri provino pietà per lei, ed è diventata molto nervosa e facilmente irritabile. E soprattut...