Capitolo 8

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L'odore caldo e avvolgente del caffè arrivò invadente al naso di Mina, che perse leggermente l'equilibrio e fermò l'esercizio. Raggiunse il pavimento prima di cadere rovinosamente e si strinse la testa con le mani, guardando la sua immagine riflessa nell'enorme specchio della sala. Una sala asettica, impersonale ed enorme. Un parquet chiaro, pareti bianche, lo specchio che ne copriva interamente una, la sbarra di legno sulle altre tre, come se in quella sala dovessero provare quindici persone. In realtà era soltanto sua. Mina non aveva mai seguito corsi in gruppo. In casa, il padre le aveva fatto costruire una sala danza, uno studio per il canto e un mini teatro per recitare. Aveva i migliori insegnanti privati e passava le giornate a prepararsi. Erano anni che studiava per la Juilliard, che preparava quel provino. Era bravissima, tutti glielo riconoscevano, eppure non era mai abbastanza. E lei era esausta.

La sua insegnante di danza classica, una donna sulla sessantina ossuta e composta, la guardò torva. Incrociò le braccia al petto e sospirò indispettita.

«Hai messo su peso» sbraitò. Quella non era una domanda, era un'accusa, e a nulla sarebbero servite le negazioni di Mina. Se le avesse portato una bilancia e si fosse pesata davanti a lei, l'austera donna l'avrebbe accusata di averla manomessa pur di non farle vedere che era ingrassata. Mina lo sapeva, conosceva la signorina Delacroix da più di dieci anni, aveva cominciato a ballare con lei e, ne era certa, avrebbe finito con lei.

«È un periodaccio... riesco a mangiare a stento, per gli impegni. Seguire una dieta equilibrata è impossibile» provò a giustificarsi, mentre cercava di ricomporre lo chignon fatto troppo in fretta quella mattina. La signorina Delacroix l'aveva già sgridata per quello. Nessuna ballerina degna di un palco importante avrebbe fatto uno chignon come il suo, aveva chiosato non appena Mina aveva messo piede in aula. Non le aveva dato il tempo di rifarlo, comunque. Era una punizione, diceva l'insegnante. Ballare con i capelli scompigliati che cadono sul viso era la punizione peggiore, secondo il suo illustre parere.

«Devi mangiare bene o non avrai chance» rispose impassibile. Mina annuì leggermente, provando ad alzarsi. Era stanca, sfinita, con così tanto sonno arretrato che avrebbe volentieri dormito per giorni. L'insegnante la fermò con un impercettibile gesto della mano. La lezione era finita, e la donna si congedò con un saluto gelido, sparendo in fretta oltre la porta. Rimasta sola, Mina si lasciò andare sul pavimento, provando a regolarizzare il respiro e a racimolare le forze che le sarebbero servite per il resto della giornata. Era presto, i suoi compagni non avevano ancora nemmeno messo piede giù dal letto, ne era certa. Pensò di potersi prendere ancora qualche minuto. Minuti che, senza nemmeno rendersene conto, avanzarono inesorabilmente.

Quando riaprì gli occhi era tardi. Troppo tardi. Corse in doccia velocemente e provò a prepararsi nel minor tempo possibile. Lasciò i lunghi capelli corvini bagnati, il caldo li avrebbe asciugati in fretta. Non sprecò tempo nemmeno a truccarsi, tanto meno per la colazione. Si buttò addosso il primo vestito pulito che trovò e uscì correndo, con lo sguardo basito di Eva addosso. Le avrebbe dato spiegazioni più tardi, quando avrebbe avuto tempo.

«Quel vestito non è adatto per la scuola» le urlò dietro la matrigna. Mina lo guardò per un attimo, salendo velocemente in auto. Forse Eva aveva ragione: quel vestito era troppo scollato e troppo colorato per la scuola, lo aveva comprato per una festa al laghetto. Non le importò molto, comunque. Se indossato da lei, qualunque vestito diventava adatto per la scuola.

***

Mina Ramon odiava i ritardi e i ritardatari. Pensava che fosse la mancanza di rispetto maggiore. Non li giustificava mai. Ricordava bene la partaccia che aveva fatto a Wilma qualche settimana prima, per quel quarto d'ora di ritardo che le aveva fatte arrivare al cinema a film già iniziato. Mina era una persona organizzata, sapeva gestire il suo tempo. Eppure, quando arrivò a scuola quella mattina, in cortile non c'era più nessuno. La campanella aveva segnato l'inizio delle lezioni già da un po'. I corridoi erano sgombri e dalle aule si sentivano le voci dei professori intenti a spiegare. Mina guardò l'orario per l'ennesima volta: letteratura con la professoressa Burke. Si maledisse per aver scelto quel corso. Le interessava, senza dubbio, ma la professoressa era nuova, non la conosceva, e probabilmente quel ritardo avrebbe segnato l'andamento di tutto l'anno.

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