UNO

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Quando ci siamo conosciuti mi sono affidata completamente a lui. Credevo, anzi, ne ero certa, che lui sapesse quello che stava facendo. Sapevo che era sposato, non lo ha mai negato né nascosto. Ma non mi sono mai trovata in difetto. In fondo, come può sentirsi in difetto una ragazza di diciassette anni che crede di vivere la storia d'amore più importante.

Lui, Andrea, era alto, sopracciglia scure ad incorniciare dei brillanti occhi chiari e un sorriso dolce. I suoi occhi furono i primi a colpirmi. Mi avevano convinta a partecipare a quel matrimonio ma, con il senno di poi, dopo tutto quello che è successo, lo rifarei. Accetterei nuovamente di prender parte a quel matrimonio.

**

La porta bussò. Un suono sordo e lontano. Quasi non me ne sarei accorta se non fossi passata accanto all'ingresso. Mi avvicinai e guardai dentro lo spioncino. Una parte di me sperava che fosse lui. Oltre il legno scuro e i chiavistelli, Andrea. Il mio respiro si fermò per un secondo. Tornai indietro per appoggiare il bicchiere di vino sul tavolo della cucina. Con la mano titubante sopra al pomello, in dubbio, scioccamente, diedi uno sguardo al mio riflesso nel piccolo specchio sulla parete a lato. Speravo di vedere ancora la piccola ragazza di diciassette anni che lo aveva conquistato. Un respiro profondo e il pomello scattò.

Eccolo lì. Alto e bello come lo ricordavo. L'accenno di barba scura non aveva modificato i suoi lineamenti o la percezione che la mia mente avesse di lui. I suoi occhi, ancora di quel blu che ti stordisce, erano ora accompagnati da piccole rughette. Sei invecchiato.

"Ciao" - lo disse tentennando. Si guardava intorno, colpevole. Non dissi nulla. Mi spostai solo quel poco che sarebbe servito affinché entrasse in casa. Titubante, si mosse in modo incerto oltrepassando l'ingresso mentre io, con il cuore in gola, feci scattare la serratura per chiudere a chiave. Quanti ricordi. - "Non so perché sono qui."

Faticavo a crederci. Lui ha sempre saputo perché veniva da me. Non lo ha mai nascosto. Non a me, almeno. Mi venne da ridere ma riuscii a trattenermi. Tornai in cucina, dal mio bicchiere e mi appoggiai al tavolo di legno. Una tavola appoggiata su dei cavalletti di Ikea. Mi sembrava un'idea carina per la cucina di una studentessa universitaria. Andrea si guardava intorno, spaesato.

"Come hai avuto il mio indirizzo?" - sapevo che così si sarebbe girato verso di me ma sapevo anche che quella era una domanda retorica. Conoscevo già la risposta. Michele.

"Michele."

"Immaginavo." - decisi di nascondere il sorriso dietro ad un sorso di vino. Non poteva sapere cosa sarebbe successo. Non ho mai detto a nessuno di noi.

"Carina...la casa, intendo."

"Grazie."

Ci furono minuti di silenzio nei quali non facemmo altro che guardaci negli occhi. Ogni tanto un sorriso imbarazzato faceva capolino sulle nostre labbra. Bevvi un altro sorso.

"Sara lo sa?" - avevo quella domanda nella gola da anni. Ho sempre voluto sapere se avesse avuto il coraggio di dire alla moglie di noi.

"Sì."

"Quando?"

"Dopo la festa d'autunno." - un anno dopo. Una parte di me si sentì sollevata. Alla fine era stato onesto con lei. Per un periodo ho sognato che Sara si presentasse a casa e dicesse qualcosa. Sognavo che non aprisse bocca, magari uno schiaffo ma mai una scenata. Ma è stato solo un sogno. Non accadde mai. Il mio non era un capriccio. Non mi sentivo più furba o intelligente. Speravo che lei capisse perché Andrea l'aveva tradita. - "Sei cambiata."

"Non così tanto, spero." - nel frattempo, il bicchiere si era svuotato.

"I tuoi capelli sono più corti. Mi piacciono."

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