Capitolo 12: 𝙿𝚛𝚘𝚗𝚝𝚘 𝚙𝚎𝚛 𝚕'𝙰𝚝𝚊𝚛𝚊𝚡𝚒𝚊 - Parte 1

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«L'importante è che tu ti faccia trovare pronta per le cinque e trenta».

Quella frase l'aveva perseguitata per tutto il tempo, notte e giorno, che cercò di impegnare con i compiti, ma non riusciva proprio a venirne a capo.

Sarebbe davvero uscita con Cristoph? Da sola? Sarebbe potuto succedere di tutto e quello la terrorizzava, perché quel sabato era pieno di aspettative.

La lancetta piccola della sveglia sul comodino segnava appena le otto del mattino quando Orchidea, sbuffando, decise di mettersi in piedi. Si fece una lunga doccia calda e si vestì con dei pantaloni a vita alta color cammello e un lupetto bianco, che sembrava tinto in confronto alla sua pelle cadaverica.
Scese le scale e raggiunse la cucina, dove c'era la madre che spadellava due uova.
«Buongiorno», bisbigliò la ragazza.
«Buongiorno, tesoro», squittì Diana, girando la testa. «Stavo per venirti a svegliare. Pensavo che dormissi ancora...»

Il fiorellino bianco scosse la testa e, avvicinandosi ai fornelli, borbottò: «Mi fa strano andare da Katrin di sabato... non la disturbiamo?»
«È stata lei a propormi a questo orario», fece spallucce la madre.

Già, quella giornata sarebbe stata super carica per la giovane pallida: il solito appuntamento del venerdì era stato spostato a quel sabato mattina, a causa di quella sua uscita con quel gruppo di amici e il pomeriggio sarebbe dovuta uscire con il figlio della sua terapista. Nulla di più facile, no?

Sì, facile per una persona normale, ma per Orchidea era fonte di stress, ansia e paranoie.

Gli incontri con Katrin erano stati molto introspettivi fino a quel momento ed essendo sabato il fiorellino bianco temeva la presenza di Cristoph. C'era qualcosa in lei che non le permetteva di vivere in pace con gli altri, e con se stessa, e si era convinta che quel qualcosa, quel problema fosse lei.

Quando il sole aveva raggiunto ormai l'angolo di trenta gradi, Diana bussò alla porta di casa Coser e non appena la terapista venne ad aprire, lei si dileguò, lasciando dello spazio a sua figlia. «Ci vediamo dopo», disse facendo un cenno con la mano.

«Ciao, Orchidea», la salutò Katrin.

Nonostante la gentile accoglienza, il fiorellino bianco rimase sullo zerbino: aveva paura. Paura di incontrare quegli occhi che tanto l'avevano ammaliata.

«Questo è un posto sicuro», dichiarò la terapeuta, cercando di rassicurare la ragazza, che appariva riluttante ad entrare. La giovane pallida era consapevole di non poter rimanere sull'uscio per tutta l'ora, perciò, alzando gli occhi al cielo, si incamminò in direzione dell'ufficio che aveva imparato a conoscere e affondò il suo corpo minuto in una delle poltrone scure.

Non voleva parlare, poiché per una volta aveva tante cose da dire, ma non a Katrin. Non lo voleva più dopo aver scoperto il suo grado di parentela con quel gruppo di amici, anche perché avrebbe voluto parlare di loro.

«Vuoi rimanere in silenzio per i prossimi cinquanta minuti?» esortò la donna dei capelli color caffè, rompendo il silenzio.

«È un'ipotesi», commentò il fiorellino bianco, cercando di ergere una barriera mentale.

La psicologa si spostò, raddrizzando la schiena, e iniziò a puntellare con lo sguardo la sua paziente, la quale associò l'insistenza caratteriale a Cristoph.

«Tua madre mi ha raccontato un po' quello che ti è successo questa settimana... perché non parliamo di questo?»

«Ma se gliel'ha già raccontato mia madre, per quale motivo dovrei ripeterlo?» borbottò Orchidea. «E, poi, non devi estrapolare qualcosa dal mio passato?»

La Ragazza che Pretendeva TroppoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora