Capitolo 12: 𝙿𝚛𝚘𝚗𝚝𝚘 𝚙𝚎𝚛 𝚕'𝙰𝚝𝚊𝚛𝚊𝚡𝚒𝚊 - Parte 2

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«Ehi», espirò lui sorpreso di vederla a casa sua.

«Ciao», farfugliò in ansia Orchidea.

I tacchi di Katrin raggiunsero all'istante l'entrata e sgranò gli occhi nel vedere i due ragazzi insieme. «Sei tornato presto».

«Sì... oggi ho un altro impegno e devo prepararmi», affermò il ragazzo sorridendo.

«Credo che sia ora che me ne vada», balbettò il fiorellino bianco. Usò quelle sue corte e secche gambine per sgusciare via, mentre Cristoph iniziò a programmare con la mente ciò che avrebbe fatto con lei nel pomeriggio.

Ognuno di loro visse quel momento di attesa, di separazione con le tre A.

Numero uno: Assuefazione.

Uno era avvezzo dell'altro. Orchidea aveva trovato in lui qualcosa che era in grado di tranquillizzarla, mentre Cristoph ammirava in lei quell'ardore, quel fuoco che era celato dietro a quel timido candore.

Numero due: Ansia.

Ciascuno immaginava lo scenario futuro: che ruolo avrebbero avuto l'uno per l'altro?

Numero tre: Angoscia.

Sia il giovane Coser che il fiorellino bianco attesero il momento dell'uscita con malinconia e paura. Tutto a causa dei determinati eventi che li scossero nel profondo e che li misero in dubbio sul da farsi.


Casa Fiore era silenziosa e buia, quando Orchidea, accompagnata dalla madre, fece il suo ritorno. Sentiva di non essere di molte parole in quel momento, così abbozzò una scusa – che poi era quello che avrebbe dovuto fare realmente, ma che non riuscì – e disse: «Devo fare i compiti...»

«Va bene. Io devo sistemare un paio di cose per lunedì. Ti porto il pranzo in camera».

La figlia annuì e corse nella sua stanza.

Le stava iniziando a mancare l'aria e per di più la testa non le dava tregua. Girava. Girava. Girava così tanto che non si accorse nemmeno che dal suo arrivo era passata già un'ora.

Come promesso, Diana le portò il pranzo; ciononostante non riuscì nemmeno a guardare il pasto, posizionato sulla sua scrivania. Aveva lo stomaco tutto raggomitolato, perché era stata colta in flagrante. Cristoph l'aveva vista da sua madre, una psicologa, e – di sicuro, immaginò lei – aveva iniziato a pensare male. Proprio come avevano sempre fatto le persone intorno a lei.

Non sapeva cosa fare e, proprio quando quell'attacco d'ansia aveva raggiunto il suo picco più alto, Orchidea svenne – fortunatamente – sul suo letto.

Il fruscio delle foglie suonava alternante come in un'orchestra sinfonica al debutto e il piccolo fiorellino bianco non parve più di essere nella sua stanza, bensì in un bosco. Tutto intorno a lei era verde e marrone, e, voltandosi, sperò di intravedere il blu misto all'azzurro del lago di Dobbiaco, ma ciò che si trovò davanti fu qualcosa di simile.Gli occhi di Cristoph Coser: inizialmente profondi e, come al solito, dolci poi d'un tratto divennero freddi, come se Elsa di Frozen se ne fosse appropriata.«Come ho fatto ad essere così stupido? Essere gentile con una persona del genere? Ti parlavo solo, perché mi facevi pena».

Le parole uscivano dalla sua bocca come veleno e per quanto la voce fosse diversa, lei ci rimase di stucco, di marmo. Non riusciva a muoversi e di punto in bianco, ciò che accade nell'Halloween del 2015 si ripeté, ma a parlare non era più Marco Tassoni, bensì Cristoph Coser.

Il cuore della giovane pallida si sgonfiò velocemente e nonostante tutti i progressi che aveva percepito nella mattinata con Katrin, non ci pensò due volte a credere che fosse tutto vero.

La Ragazza che Pretendeva TroppoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora