26. Il Peso Del Peccato Pt.IV

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Uccidila ora! Falla soffrire!

Acab si sedette ai piedi del letto, con un nuovo dolore alla fronte, più intenso del precedente. Tre dita a massaggiare la parte dolorante e gli occhi verso l'ampia finestra a cui si era avvicinata Ariel.

«No.» ringhiò a denti stretti, rivolgendosi al suo demone.

Quando si accorse di aver destato l'attenzione di Ariel, si preoccupò di mostrarsi indifferente e intento a ingurgitare il caffè come chi non aveva bevuto da settimane.

La macchia di sangue al ginocchio di Ariel si era seccato e Acab lo osservò mentre lei si avvicinava. «Cos'hai lì?» indicò con un gesto del capo. Lei abbassò gli occhi ai jeans larghi, legati in vita da una cintura di cuoio. «Nulla. Un graffio che non ho saputo curare». Fece spallucce e lui piegò le labbra in un mezzo sorriso. Poi, un lungo silenzio.

Ariel non sapeva come mai entrambi non si stessero rivolgendo la parola, eppure ce n'erano di cose da dirsi. Invece lui, intento a nascondere il volere del suo signore, preferiva zittirsi e, semplicemente, aspettare che lei andasse via; lei, che non voleva svelare le sue combattute sensazioni, iniziò a giocherellare con le maniche del lupetto a collo alto.

Acab lasciò vagare gli occhi sul viso di Ariel, di nuovo colorato, colpito dai raggi del sole che rendeva i suoi capelli simili a una cascata di denso cioccolato.

Quando Ariel si accorse che le iridi zaffiro di Acab la scrutavano con languido desiderio, lo sguardo le si scurì, assalita da una sensazione di smarrimento.

A distoglierla da quel peso che le stava occludendo il respiro ci pensò una goccia di sangue, che aveva cominciato a colare dal sopracciglio sinistro di Acab. Era la ferita che si era procurato cadendo al suolo dopo il colpo di Heliu.

Per lei fu un valido motivo per allontanarsi dalla sua presenza. Arrivata di fronte al lavandino, si fermò con i palmi sulla superficie di ceramica, cercando di mettere ordine tra i suoi pensieri. Si guardò allo specchio ai lati del quale c'erano due armadietti.

Il riflesso mostrava il volto di una giovane scossa dalle troppe esperienze vissute a distanza di poco tempo. Il respiro concitato, le pupille dilatate, il viso arrossato da un'emozione inconcepibile per essere stato provato di fronte a un demone.

Un demone? Lo è davvero?

Aprì uno degli sportelli e spostò qualche barattolo di medicinale per cercare l'acqua ossigenata.

Acab, che si accorse della ferita solo quando il sangue era colato al lato del labbro, si toccò la guancia e si accorse di essersi sporcato le dita di quel rosso vivo. Mentre tentava di ripulirsi, vide Ariel arrivare a passo svelto e posizionarsi davanti al suo viso con in mano un batuffolo di cotone.

Il bruciore del medicinale era smorzato dal profumo intenso di fiori e mandorle: Ariel era così vicina al ragazzo che egli avrebbe potuto ghermirne l'anima in pochi istanti.

Le avrebbe preso il viso tra le mani, assaggiato il sapore delle labbra e avrebbe addormentato i sensi per far sì che il suo demone lo possedesse per avvolgere l'anima di Ariel in legami oscuri.

E' il momento! Fallo!


A quell'immagine, avvertì un formicolio lungo la nuca e un dolore alle tempie. Una smorfia di dolore. «Non posso rimanere qui...» La voce di Acab era roca e profonda, quasi un pensiero confidato per sbaglio.

Ariel lo guardò sottecchi, tamponando con cura il sopracciglio dalla forma regolare: «Mi dispiace per il gesto di Heliu, ma devi capire...»

«Quel ragazzo aveva tutte le ragioni.» finì lui.

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