(Solo se vorrai)

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"Sono fidanzato, cerca di capire"

Le sue parole mi rimbombano nelle orecchie, quasi fossero la voce narrante di un incubo, da cui vorresti solo svegliarti, ma poi, ti rendi conto che è la realtà: da quella, non puoi fuggire.
Sono seduta al bar, osservo la mia tazzina di caffè, che come tutte le mattine mi dà il buongiorno, ma nel frattempo la mia mente vaga altrove. Penso a lui, a me, a noi. Penso a quanto abbiamo lasciato scorrere gli attimi più belli davanti ai nostri occhi, godendoceli appieno e, forse, troppo velocemente. Guardando indietro, paragono quello che c'è stato ad un fiammifero, acceso e consumato dal vento in pochi secondi, e che nonostante tutto ha brillato più del dovuto, logorandosi e logorando il legnetto.
Mi incammino verso casa, ripercorrendo Via della Libertà, quella in cui io e lui ci siamo conosciuti, da dove è iniziato tutto, da dove siamo iniziati noi. La strada è deserta, e la cosa mi fa arricciare il naso: in estate Bologna è desolata, tutti si trasferiscono al mare e vivono i mesi più belli dell'anno. Io sono rimasta qui: sola, come a Bologna. Ogni cosa mi ricorda il passato: la gelateria dietro l'angolo, un po' nascosta da tutti, dove lui mi tracciò il contorno del viso con le dita sporche di gelato; l'edicola dove discussi pesantemente con l'addetto alle fotocopie, che non riusciva a svolgere il suo lavoro, e lui dietro di me a cercare di placare il mio animo ribelle; il mercatino dell'usato, dove comprai la mia prima macchina fotografica compatta sotto suo consiglio, iniziando ad immortalare momenti solo nostri; piazza Maggiore e il Voltone del Podestà, in cui facevamo i cretini parlando al muro e in diagonale, nonostante l'avessimo già fatto più volte; Galleria Cavour, dove fantasticavamo su come essere ricchi e di ceto alto sarebbe stato bello e surreale.

Senza rendermene conto, arrivo ai Giardini Margherita, dove una distesa di verde si staglia ai miei occhi. Ripenso a quando, con lui, ritornavo bambina e rotolavo sul prato, impersonando un panda che scende giù dalle colline. E ridevo, eccome se ridevo. Lo facevo fino a star male, non curandomi dell'espressione che assumeva il mio viso. Ero felice, spensierata, e con lui. Una morsa si fa strada alla bocca dello stomaco, e stavolta non ricaccio indietro le lacrime. Le lascio scorrere sul mio viso, osservando il cielo terso che non dà conforto neanche con una nuvola passeggera. Mi rifugio sotto ad un albero, in cerca di un po' di fresco.

I am not the only traveler
who has not repaid his debt
I've been searching for a train to follow
Again, take me back to the night we met
And then I can't tell myself
What the hell I'm supposed to do

'The Night We Met' si insinua nelle mie orecchie. La nostra canzone. E ha ragione: cosa diavolo dovrei fare, adesso che tutto mi sembra così distante ed effimero? Non sono mai stata quel tipo di persona che si strugge per amore, fino a quando non ho perso lui. Continuo a rimuginare su tutto, anche sui dettagli, sulle minime cose, e mi odio, perché per tutta la vita mi sono ripromessa di non lasciare entrare nessuno dentro la mia corazza, creata dall'inizio e rafforzatasi durante gli anni. Eppure, lui è stata l'eccezione che ha confermato la regola, ossia che prima o poi, una persona sarebbe riuscita a sfondare tutte le mie barriere. È riuscito a sollevarmi dal fondo in cui non sapevo di essere. Ma a cosa è servito, adesso che ha deciso di tornare sui suoi passi?

"Ci siamo presi una pausa. In realtà è un po' di mesi che non ci sentiamo. Tu sei stata la persona di cui avevo bisogno per capire cosa importasse davvero, e per questo sarò sempre in debito con te. Ma adesso è giusto che io e lei torniamo insieme" mi aveva detto, ferendomi profondamente.

La canzone viene stroncata da una chiamata sul cellulare. Guardo lo schermo per vedere chi è, e il mio cuore perde un battito.

"Che cosa vuoi?" chiedo, senza nemmeno salutarlo. La mia parte irascibile decide di venire fuori, e penso che non ci sia modo migliore di reagire. Non voglio mostrarmi debole, non adesso.

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