"Noi ci tocchiamo.
Con che cosa?
Con dei battiti d'ali.
Con le stesse lontananze,
ci tocchiamo."(Rainer Maria Rilke)
IIRiavvolgiamo il nastro...
3 giorni primaQuando una giornata è destinata ad andare male lo capisci subito.
Hai quel sentore sottile che ti si insinua come una patina tra le fessure del cranio, si acquatta tra i pensieri e finge di non disturbare, ma tu sai che c'è.
È solo... una sensazione: poggi i piedi in terra al mattino e sai già che ci sarà qualcosa che non andrà.
E così, io, lo percepivo.
Lo percepivo mentre in una pigrizia ancora invischiata di sonno guardavo le volute di vapore alzarsi dalla tazza di latte, mentre papà entrava in cucina a darmi un bacio sulla guancia e dire che quella sera faceva tardi, aveva il turno serale in centrale.
Lo percepivo nel sapore mesto dei biscotti che sentivo sulla lingua, che erano diversi dal solito anche se erano sempre gli stessi. Anche nei vestiti, lo percepivo, mentre meccanicamente li tiravo su per andare in università.
Uscii sotto un cielo plumbeo, quella mattina. Mi bastò un'occhiata per capire che sarebbe piovuto.
Conficcai con foga le mie cuffie nelle orecchie, le collegai all'MP3 usurato e fuori moda, il vetro incrinato che mi ostinavo a stringere tra le dita dopo tutti quegli anni. Più volte ero stata sul punto di buttarlo via. Poi me lo ero rimesso in tasca, insieme alla mia vigliaccheria.
Incastrai bene le cuffie per ammutolire il ronzio in testa, ma quello se ne fregò di me e della mia musica. Continuò a sfrigolare tra i pensieri, insistente.
Sono fatti così i presagi.
Si vestono di silenzio ma fanno un rumore cane, ti sbranano i pensieri perché sono egoisti, esibizionisti.
Cliccai sulla mia playlist "Raining Day" e partii a passo di marcia, la borsa caracollata e stretta contro il fianco, i miei ricci al vento come scarabocchi d'inchiostro.
Quando la prima goccia d'acqua mi punse il naso, sorrisi. Non presi l'ombrello.
In fondo mi piaceva.
~•~
«Sei umidiccia! E ti si sono afflosciati i capelli...»
Furono queste le prime parole che la mia migliore amica mi rivolse, la bocca storta in una smorfia di disappunto.
Mi aveva aspettato come tutte le mattine all'entrata dell'Università, sotto la volta di pietra per proteggersi da quella pioggerella innocua.
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Tu sei la mia legge di Keplero
Romance«Lo sai...» abbassò il viso e i suoi tratti raffinati mi piovvero disgraziatamente sulle pupille, «Stamane mi hanno portato i tuoi... ossequi.» Rimarcò a timbro basso quell'ultima parola, la spinse melliflua tra le labbra e io la sentii avvilupparmi...