Storia scritta per Context Roulette - {Concorso letterario} di DeboraRebai e Moody_Isa
Nell'aria si sentiva quel particolare odore di pioggia che rendeva ancora più grigi i palazzi e le persone. Non è che odiasse la pioggia o il cielo grigio, nonostante preferisse le giornate serene, ma in quella particolare mattina era piuttosto stanco, una stanchezza che sembrava ricoprire ogni cosa, anche gli alberi lungo la strada e quel cielo grigio e quell'odore di pioggia sembravano intensificare quella spossatezza. In più, era senza ombrello e l'umidità gli avrebbe rovinato i capelli. Sospirò, imbronciandosi suo malgrado e borbottando qualcosa tra sé e sé, aumentando il passo. Prima sarebbe arrivato a casa, prima si sarebbe potuto stendere sul letto. Meglio ancora, prima sarebbe arrivato a casa, prima avrebbe riacceso il computer e si sarebbe dedicato ai suoi amati videogiochi. Quel pensiero fu come un timido raggio di sole nella sua mente stanca e anche il broncio sembrò meno pronunciato. Ancora pochi minuti e sarebbe stato a casa, nel suo piccolo appartamento, col profumo del pranzo che aveva preparato prima di uscire nell'aria. In effetti, ripensando al pranzo, stava già iniziando a sentire quella sensazione a metà tra lo spiacevole e il piacevole allo stomaco - Ah, si sarebbe preparato un bello spuntino appena arrivato a casa e poi si sarebbe seduto davanti al computer a mangiare e giocare e si sarebbe scordato per un po' di tutte le cose grigie e sfinenti che lo circondavano. Fu in quel momento che si fermò in mezzo di strada. Qualcuno andò a sbattere contro la sua spalla e gli imprecò dietro, ma Seokjin non ci fece caso. Le sua labbra carnose si arricciarono, nel tentativo di trattenere una serie di maledizioni e di non mettersi a urlare nel bel mezzo della strada.
Aveva dimenticato la felpa e alcuni documenti da Jimin. Si passò una mano tra i capelli, frustrato, finendo per scompigliarli tutti. Per un attimo, fu tentato di mettersi a protestare e mugolare come un bambino capriccioso, magari pestare i piedi: magari la sua felpa e la cartellina con i documenti si sarebbero materializzate davanti a lui come per magia, se gli avesse fatto abbastanza pena.
Invece, dovette arrendersi, avviandosi a passo svelto nella direzione opposta, sempre più lontano dal suo caldo, accogliente appartamento profumato di spezie.
Pochi passi dopo, iniziò a piovere.
«Maledizione!» borbottò a denti stretti, chiedendosi se fosse meglio mettersi a correre, se verso casa propria o casa di Jimin non ne era sicuro neanche lui.
Fu in quel momento, mentre la frustrazione e l'irritazione si trasformavano in qualcosa di più simile alla rabbia, che qualcuno gli passò accanto. Qualcuno che sorrideva come se fosse il momento più bello della propria vita, due adorabili fossette in bella mostra e il passo quasi saltellante di chi, semplicemente, è felice. Non aveva un ombrello con sé e teneva il viso rivolto al cielo, ridendo sotto la pioggia e camminando con calma, i capelli già fradici.
Seokjin lo guardò passare accanto a sé, frustrazione per un attimo accantonata da parte per la sorpresa. Sorpresa che fu rapidamente sostituita dall'irritazione più pura nei confronti di quello sconosciuto. Chi diamine andava in giro a ridere sotto la pioggia come se fosse la cosa migliore che potesse accadere? Come se il grigiore e l'acqua, i vestiti fradici e appiccati al corpo in modo fastidioso fossero la cosa più piacevole del mondo?
«Un folle, un folle» mormorò incredulo e ancora più nervoso nel vedere qualcuno di così sereno, nello stesso momento in cui il mondo gli si rivoltava contro.
«Al diavolo felpa e documenti!».
Scappò verso casa, i calzini bagnati dentro le scarpe l'ennesima cosa sbagliata e se qualcuno lo guardò storto quando imprecò ad alta voce, Seokjin non ci fece neanche caso. Quando fu finalmente al sicuro e all'asciutto a casa, il profumo delle spezie nelle narici a sostituire quell'odore di umido, di bagnato, di terriccio, di pioggia tanto fastidioso, si lasciò andare ad un sospiro di sollievo. Non aspettò neanche di andare in camera per spogliarsi, lo fece direttamente sulla porta, tremando lievemente per gli abiti freddi e la pelle bagnata. Buttò tutto nel cesto della biancheria sporca e si concesse un rilassante bagno caldo.
Immerso nell'acqua a bollore fino al mento, ancora imbronciato ma con i muscoli meno tesi e un po' meno tensione a stringergli la testa nella sua morsa crudele, decise che da Jimin sarebbe andato il giorno successivo. In fondo, non c'era fretta. I documenti non sarebbero certo scappati.
Quando la mattina dopo, sul presto, si ritrovò a casa di Jimin, Seokjin si disse che avrebbe dovuto saperlo. Avrebbe dovuto prevederlo che qualcosa non sarebbe andato esattamente come doveva. Non lo avrebbe mai rivelato a nessuno, ma Seokjin era assolutamente convinto ormai di essere stato maledetto da bambino. Probabilmente era stata quella vecchietta che gli strizzava sempre le guance quando era piccolo ogni volta che andava al negozietto sotto casa per comprare le merendine. L'anziana signora appariva sempre dal nulla a strizzargli le guance sgridandolo perché le merendine facevano male. In più, aveva almeno tre gatti. Evidentemente, Seokjin aveva mangiato una merendina di troppo un pomeriggio e la strega della porta accanto lo aveva maledetto.
Sapeva che chiunque gli avrebbe riso in faccia se solo avesse affermato una cosa del genere ad alta voce, ma quale altra spiegazione poteva mai esserci? Non poteva certo essere una casualità, a questo punto. Doveva esserci una brutta maledizione nella sua vita a causa della sua gola. La vecchia strega della casa all'angolo aveva deciso di punirlo per un peccato capitale del quale Seokjin, ancora, non conosceva neanche l'esistenza. Se lo avesse saputo, avrebbe rinunciato a quella merendina? Probabilmente no. L'avrebbe mangiata lo stesso ma almeno sarebbe stato consapevole del suo destino. Non che fosse una persona particolarmente sbadata o con la testa fra le nuvole. Era piuttosto attento alle sue cose, le teneva con cura e raramente gli capitava di lasciarle da qualche parte. Ognuna di quelle rare volte, però, era successo qualcosa di brutto. Qualcosa che avrebbe voluto non vedere, non sapere, non scoprire. Almeno, non per sbaglio, non perché si era scordato un semplice cappellino o un quaderno. Seokjin non era sicuro quando avesse avuto inizio quella maledizione, ma ricordava bene quando aveva pensato per la prima volta che sarebbe stato meglio se non fosse tornato indietro. Doveva avere 8 o 9 anni, era uscito da casa per andare a scuola, la cartella troppo pesante sulle spalle e ancora affamato nonostante la colazione. Era corso al negozietto a cercare qualche merendina per affrontare la giornata scolastica, aveva ignorato gli avvertimenti della vecchia strega - ecco, forse era per quello che lo aveva maledetto - e poi si era accorto di non avere preso i soldi che la madre gli aveva lasciato sul tavolo. Si era scusato col commesso, era corso a casa a prenderli. Là, sul tavolo, accanto ai soldi, aveva trovato dei fogli. Di quelli da grandi, scritti fitti e con parole complicate che Seokjin non capiva del tutto. Per curiosità li aveva presi, sfogliati e non serviva essere adulti per capire cosa c'era scritto. Una richiesta di divorzio. Cosa aveva provato di preciso in quel momento, Seokjin non lo ricordava. Ricordava di averli rimessi apposto, di aver sentito i passi della madre, di aver preso i soldi e di essere scappato fuori prima che la madre potesse accorgersi di lui. Ricordava di aver preso una merendina in più, perché il cioccolato probabilmente avrebbe alleviato quella sensazione di bruciore al cuore, allo stomaco, quel senso di soffocamento, quella paura improvvisa. Seduto in classe, senza riuscire a sentire assolutamente nulla di quello che il maestro stava spiegando con la sua voce stridula, Seokjin pensò che forse, quella mattina, sarebbe stato meglio non essere tornato indietro e per una volta rimanere con la pancia vuota. C'erano stati altri momenti del genere. Era capitato che si ritrovasse nel bel mezzo di un litigio e il disagio in quei casi non lo abbandonava per ore. Una volta, quando ancora lavorava in una caffetteria, era tornato indietro perché si era dimenticato di prendere la busta con i dolci avanzati dalla giornata. Era entrato nel momento in cui la sua collega era scoppiata a piangere, davanti al loro capo. La avevano appena licenziata. Seokjin ricordava l'imbarazzo, il disagio e la preoccupazione. Ricordava di averla aspettata fuori, di averla quasi obbligata ad andare a cenare fuori con lui. Ricordava le ragioni egoistiche che aveva inventato per fare in modo che venisse con lui, ricordava lo sguardo della ragazza che probabilmente stava pensando a quanto fosse insensibile e freddo a fare certe richieste in quel momento. Seokjin le aveva offerto la cena, aveva passato l'intera serata, nonostante la stanchezza, a inventare battute e giochi di parole finchè lei non aveva riso. Solo allora aveva sentito quel peso al petto farsi un po' più leggero.
L'anno scorso, poi, Seokjin aveva lasciato il telefono a casa del suo fidanzato. Ancora si malediceva, dopo un anno, per essere tornato indietro. A volte, avrebbe dovuto abbandonare gli oggetti in questione al proprio destino. O aspettare che glieli riportassero. Perché quando era tornato a prendere il cellulare, aprendo la porta di casa con le chiavi che il suo fidanzato - no, che il bastardo - gli aveva regalato solo poche settimane prima, lo aveva trovato occupato a sbattersi un altro nel letto. Seokjin ricordava di essere rimasto immobile per un attimo. Poi, era entrato in camera come nulla fosse, ignorando i balbettii e le scuse del ragazzo. Aveva preso il suo cellulare, aveva tolto le chiavi dal portachiavi e gliele aveva lanciate addosso. Prima di andarsene per sempre da quella casa, aveva prima fatto una piccola deviazione in cucina - ignorando del tutto l'altro, che si era alzato e ancora nudo provava ad afferrarlo, a pregarlo, a chiedergli di parlare - e aveva recuperato dalla dispensa e dal frigo tutto quello che nei giorni scorsi aveva preparato per lui, incluso la vaschetta di kimchi che la madre di Seokjin aveva preparato e che Seokjin, per amore, aveva dato in parte a quell'essere che aveva perso ogni diritto a mangiare ciò che aveva preparato con tanta cura. Ancor meno era degno di mangiare il kimchi di sua madre.
«Ma stai scherzando?».
Ricordava che l'altro, a questo punto, si era fermato a guardarlo come se fosse impazzito e si stesse comportando in modo infantile. Forse addirittura glielo aveva detto, mentre Seokjin imbustava le sue cose. Solo a quel punto si era degnato di rivolgergli uno sguardo, glaciale.
«No. Non permetterò che tu insudici la mia cucina e il kimchi di mamma».
Avrebbe voluto urlare. Avrebbe voluto sbraitare, chiedergli come aveva anche solo potuto pensare di fare una cosa del genere. Chiedergli come aveva osato anche solo di chiedere di perdonarlo pochi momenti prima, come aveva osato toccargli il braccio, la spalla, come osava anche solo guardarlo ancora. Ma Seokjin decise che come non meritava più neanche un boccone della sua cucina, non meritava più neanche il suono della sua splendida voce. Né la visione della sua splendida faccia. Così, con un sorriso di sufficienza e affacciandosi nella camera a salutare chiunque fosse l'amante augurandogli un buon proseguimento, se ne andò. Aspettò di essere a casa di Jimin per scoppiare a piangere e urlare tutte le cose che si era tenuto dentro. Jimin lo lasciò urlare e piangere, rimanendo in silenzio, semplicemente stringendolo dolcemente a sé e preparandogli una cioccolata calda.
Ora, era successo di nuovo. Aveva scordato qualcosa, era tornato a prenderla il giorno dopo e Seokjin desiderava nuovamente non essere tornato.
«Ti avevo detto che arrivavo entro dieci minuti!» urlò, frustato, il tono che andava alzandosi sul finire della frase, l'espressione un misto tra innervosito, incredulo ed esasperato.
«Ops».
Un sorrisetto malizioso e divertito, senza il minimo pentimento. Seokjin forse avrebbe dovuto aspettarselo. Non tanto per la maledizione. Era implicito nel messaggio che gli era stato inviato da Jimin quando gli aveva scritto. 'Taetae è qui'. Seokjin si era illuso che quel messaggio non significasse 'Taetae è qui, sotto di me, sopra la tua felpa e i tuoi documenti su cui abbiamo anche rovesciato dell'acqua perché il mondo smette di esistere quando siamo insieme'.
Seokjin si era portato una mano alle tempie, si era lasciato sfuggire un verso di frustrazione e qualche parola confusa e affrettata di rimprovero e si era rintanato in cucina, dopo aver urlato a quei due disgraziati di rivestirsi. In fretta, possibilmente.
Jimin ebbe la decenza di stampargli una nuova copia dei documenti e compilarli di nuovo al posto suo. Seokjin finì per rimanere con loro un paio d'ore, mentre la sua povera felpa rosa veniva lavata e disinfettata in lavatrice.
«Hyung, hyung, posso occuparmi io di decorare il ristorante?» esclamò Taehyung, con gli occhi che brillavano a quella prospettiva, saltellando sulla sedia della cucina. Seokjin non sembrava condividere l'entusiasmo del più giovane - ma Jimin già ridacchiava tra sé e sé consapevole che nonostante il deciso e netto no di Seokjin in quel momento, gli avrebbe permesso di dargli una mano e gli avrebbe lasciato scegliere decorazioni, mobili, forse anche il colore delle pareti.
Era un progetto a cui Seokjin lavorava da anni. Non avrebbe saputo dire se fosse il sogno della sua vita aprire il proprio ristorante, non sembrava qualcosa da poter definire tale. Era qualcosa che voleva, qualcosa per la quale aveva lavorato duramente per anni, in certi momenti lavorando anche in due posti diversi contemporaneamente, qualcosa che finalmente stava per realizzarsi. Un locale piccolo, in una piazzetta un po' appartata, ma a Seokjin piaceva. I documenti gli servivano proprio a quello, alcuni permessi per avvicinarsi ancora di più all'apertura anche se tutta quella burocrazia gli faceva venire il mal di testa e anche se era sicuro che avrebbe vomitato se avesse dovuto compilare un altro foglio.
«Se non ci sono altri ritardi, dovrebbe essere pronto per l'apertura entro i prossimi due mesi... Stanno finendo alcuni lavori, poi dovremo pulire e sistemare le ultime cose».
«...dovremo?».
Con un urletto indignato, Seokjin si rivolse verso i due marmocchi, spalancando gli occhi.
«Lavorerete lì anche voi, ovviamente mi darete una mano a pulire e sistemare! Ah, non ci posso credere, i giovani d'oggi...».
I due ragazzi in questione fecero finta di lamentarsi per un po', prima di lasciarsi andare a una risata. Era sempre divertente vedere gli scoppi del loro amico, almeno quando non era serio. Era evidente, infatti, un certo scintillio di divertimento nel suo sguardo, ogni volta che li riprendeva a quel modo e scherzavano tra di loro. Quando finalmente tornò a casa, i nuovi documenti e la felpa lavata e profumata con sé, Seokjin si ripromise di fare ancora più attenzione a non lasciare più niente indietro. Non voleva più sorprese da quella strana maledizione.
STAI LEGGENDO
Life is good, love is warm
RomanceKim Seokjin, dopo aver finalmente aperto il ristorante che sognava, ha solo due grandi problemi nella sua vita. Il primo è il pub situato esattamente accanto al suo locale, con la musica troppo alta e dei proprietari più interessati a bere e a scher...