Confrigo.

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Sirius non andava a Godric's Hollow da dodici anni, ormai.

Dodici anni passati ad Azkaban a scontare una pena che non gli apparteneva, ma che sentiva di meritarsela tutta: aveva spinto il suo migliore amico nelle mani di Voldemort.

Come non aveva potuto capire che la spia fosse Peter?

Lo aveva visto, in diversi momenti, sfregarsi la mano sul braccio sinistro e assumere un'espressione terrorizzata, però non gli aveva dato peso.

Si era reso conto, in più occasioni, che durante i duelli contro i Mangiamorte lui non li colpiva mai. Aveva sempre giustificato quest'azione con la paura che Minus potesse provare durante le battaglie, paure che tutti provavano e che a volte facevano sbagliare.

Aveva notato come avesse iniziato ad agitarsi quando all'interno dell'Ordine si era cominciato a vociferare il doppio gioco di qualcuno, ma in quel momento tutti erano preoccupati e intimoriti dalla possibilità di essere traditi.

Sirius si era accorto di tutto, eppure la sua fiducia cieca nell'amicizia lo aveva portato a ignorare tutti quegli indizi che uno sprovveduto come Minus si lasciava scappare facilmente.

Ora, fuggitivo e sotto forma di cane, Felpato si aggirava nel cimitero di Godric's Hollow.
Sapeva che era ricercato ancor più di prima, visto che Harry e Hermione lo avevano salvato dal bacio del dissennatore, tuttavia non poteva più aspettare.

James Potter e Lily Evans.
Eccole, le due freddi lapide si ergevano davanti ai suoi neri occhi canini che, però, piangevano lacrime salate contenenti il più comune dei sentimenti umani: il dolore, la disperazione.

Sirius pensò di tornare ad Azkaban. Voleva che gli risucchiassero l'anima poiché avrebbe fatto meno male, poiché quella sofferenza lancinante che stava provando era insostenibile e, in quel modo, sarebbe sparita.
Un corpo senz'anima.
Questo sentiva di meritarsi realmente.

Se avesse potuto parlare, il cane avrebbe detto a James quanto Harry gli somigliasse, ma che gli occhi erano identici a quelli della madre. Sirius se lo immaginava già il suo migliore amico che lo metteva a tacere su quel particolare, seppur in cuor suo era consapevole di quanto Ramoso ne sarebbe stato felice in quanto amava terribilmente gli occhi della moglie.

Gli avrebbe voluto dire che Harry faceva parte della squadra di Quidditch e che era un cercatore, proprio come lo era stato lui, anzi, era decisamente più bravo del padre e ciò avrebbe scatenato una partita improvvisata nel giardino dietro casa cosicché James potesse dimostrare ancora il suo valore.

Sirius desiderava dire molte cose al migliore amico, ma non poteva sia perché Potter era morto sia perché Black non era potuto essere il padrino che Harry meritava.

Strofinò il muso con dolcezza contro il marmo freddo chiedendo perdono a Ramoso di tutti i peccati commessi.
Gli stava chiedendo perdono, certo di non meritarselo, per quello che era successo a lui e alla sua famiglia. Si stava scusando per non essere stato lì nel momento del bisogno, non era stato lì a proteggere suo fratello.

Sirius sarebbe voluto morire prima di James, non glielo aveva mai detto, ma lo pensava fin da adolescente: senza Potter lui era irrimediabilmente incompleto.

E così si sentiva.

Nessun tassello era al posto giusto: respirava solo perché sapeva di starsi avvicinando all'ultimo respiro, mangiava solo perché doveva mantenersi in vita per scontare la condanna che doveva scontare, beveva sperando che nel bicchiere ci fosse il più potente dei veleni.

Se aveva acquisito un po' della voglia di vivere, era solo per merito di Harry il quale conosceva la verità e con lui anche Remus.

Il cane si accasciò davanti alle tombe dei suoi migliori amici, guaendo, promise loro che avrebbe adempiuto al ruolo di padrino proteggendo Harry fino alla fine.
Sarebbe morto pur di salvarlo.

Un caldo soffio di vento estivo accarezzò il pelo dell'animale e Sirius ne era certo: quelli erano Lily e James che lo avevano perdonato.

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