Capitolo 5

549 28 15
                                    


Quello scambio di messaggi gli aveva ridato un minimo di speranza. Quel "ci vediamo domani" aveva fatto spuntare un sorriso sul suo volto, che si era protratto per tutta la mattina, mentre sistemava la casa, lasciata nel caos. La presenza di Giovanni, Eva e in parte di Sana avevano contribuito a peggiorarne lo stato, negli ultimi giorni. Sua madre avrebbe detto che sembrava "una barca pronta a partire" da quante cose in giro avevano lasciato tutti. Questo, però, gli aveva permesso di non pensare troppo al fatto che tra poche ore avrebbe rivisto Niccolò e lo avrebbe accolto in casa, sperando che questo lo avrebbe aiutato a ricordare. Si era concentrato sul sistemare la stanza degli ospiti (se così si poteva chiamare quella specie di sgabuzzino dove avevano accampato un letto a una piazza e mezza ma contornata da tutti gli impicci della casa) ed era andato a fare la spesa. Per l'ora di pranzo era tutto pronto e con un sospiro soddisfatto si guardò intorno, ma si rese conto che non c'era più nulla da fare se non attendere. Aveva chiesto ai genitori di Niccolò di mandargli un messaggio quando fossero usciti dall'ospedale con il ragazzo, in modo da avere il tempo di prepararsi, ma erano quasi le due e il suo telefono era ancora silenzioso, così decise di farsi una doccia e rilassare un po' i nervi tesi.

E alla fine rimase in cucina, guardando l'orologio al muro. Dove, pochi minuti dopo le tre e mezza il suo telefono trillò, avvisandolo dell'arrivo di un messaggio.

Quando sentì il suono del citofono aprì senza nemmeno chiedere chi fosse

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Quando sentì il suono del citofono aprì senza nemmeno chiedere chi fosse. Non riusciva a smettere di sorridere, quando lo vide uscire dall'ascensore un po' ammaccato e curvo, ma sempre bellissimo.

Niccolò entrò e si guardò intorno come fosse la prima volta che vedesse quell'appartamento.

"Me la ricordavo diversa questa casa."

"L'abbiamo personalizzata, diciamo così. I mobili sono praticamente tutti nostri."

"Lo vedo. Possiamo parlare un momento?"

Martino annuì e lo portò nella camera degli ospiti, dove attese che l'altro parlasse. Iniziò a sentire l'ansia prendere posto nel petto, invadergli i polmoni e spezzargli il respiro. Osservò Niccolò fissare ogni dettaglio di quella stanza, quasi cercasse di ricordarsi qualcosa, senza riuscirci.

"Ecco... Sono venuto qui perché lo psichiatra ha insistito, secondo lui devo tornare in ambienti familiari, tipo questo. Però... non è che sia proprio a mio agio qui."

"Che posso fare per farti sentire a tuo agio?"

"Ti spiace se per qualche giorno vado dai miei?"

Fu un pugno nello stomaco per Martino, ma non poteva pretendere che l'altro si comportasse diversamente. Per lui era fondamentalmente un estraneo con cui gli era stato detto di dover vivere, non sapeva nulla di loro e di quello che avevano costruito e vissuto insieme.

"No, va bene. Te l'ho scritto ieri, voglio solo starti vicino come posso. Se vuoi andare dai tuoi genitori per qualche giorno e riprenderti un attimo, okay. Però, ti va se ti faccio vedere casa e magari ceniamo qui, prima che vai?"

RAMES - Ti vedo anche ad occhi chiusiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora